"Richard Jewell" di Clint Eastwood. Con Paul Walter Hauser, Sam Rockwell, Kathy Bates, Olivia Wilde, Nina Arianda, Jon Hamm, Dexter Tills, Wayne Duvall e altri. USA 2019 ★★★★½
Il Grande Vecchio del cinema USA, a 89 anni suonati, rimane sempre una garanzia e torna dietro la macchina da presa, stavolta senza recitare lui stesso da protagonista ma affidandone il ruolo a un volto semisconosciuto, Paul Walter Hauser (già apprezzato in Tonya), che interpreta Richard Jewell, protagonista di una storia vera e molto americana: eroe per tre giorni per aver impedito che l'esplosione di una bomba piazzata in uno zainetto sotto a una panchina del Centennial Olympic Park ad Atlanta durante un concerto che si teneva in concomitanza coi Giochi del 1996 avesse conseguenze ben più gravi di quelle che ha avuto (due morti e alcune decine di feriti) e poi azzannato per tre mesi da una stampa cinica e gaglioffa perché sospettato di esserne l'autore. Il tutto per una soffiata da parte di un ispettore dell'FBI (Jon Hamm: perfetto) a una ambiziosa cronista affamata di scoop (Olivia Wilde: brava davvero) secondo cui Jewell, un trentenne della Georgia sovrappeso e mammone, con la vocazione di proteggere il prossimo, da sempre desideroso di entrare in polizia e con un'ammirazione incondizionata (e suicida) verso i tutori dell'ordine, potesse corrispondere al profilo psicologico dell'aspirante eroe da poliziotto fallito qual era ritenuto: per questo si sarebbe fatto assumere come guardia di sicurezza dall'AT&T, una delle aziende che sponsorizzava i giochi, piazzando lui stesso l'ordigno. Facendo ricerche (a senso unico) sul suo passato erano emersi alcuni suoi eccessi di zelo quando era sorvegliante presso un campus universitario e da lì in poi gli avvoltoi dell'informazione stampata e televisiva si sono scatenati assediando la villetta dove abitava con la madre, mentre l'FBI e le altre polizie procedevano con perquisizioni a tappeto, analisi di ogni traccia possibile, reiterati tentativi di ingannarlo e fargli rilasciare dichiarazioni compromettenti, a cui Jewell rischiò più volte di abboccare proprio per la fiducia che nutriva in chiunque incarnasse l'autorità se non lo avesse bloccato Watson Bryant (nel film l'ottimo Sam Rockwell), un avvocato che aveva conosciuto una decina d'anni prima in uno dei suoi lavori precedenti, l'unico che non lo avesse preso in giro per la sua mole e le sue aspirazioni apparentemente infantili: invece che "palla di lardo" o "sfigato" l'aveva soprannominato "radar" per la sua meticolosità e capacità di osservazione. Fu la sua fortuna ricordarsi di lui e rivolgersi a questo legale di provincia per un consiglio su un contratto che gli era stato subito proposto per un libro nei giorni immediatamente successivi all'attentato, quando era ancora idolatrato dai media: gli bastò un colloquio a quattr'occhi e la verifica del tempo occorrente per il percorso che Jewell avrebbe dovuto fare sul luogo dell'attentato se avesse collocato lui lo zaino con l'esplosivo per essere certo della sua innocenza, mentre il suo cliente fino all'ultimo rimase incredulo di fronte al fatto che simili abusi e tanto accanimento da parte dei giornalisti nei suoi confronti potesse accadere proprio nella "sua" America. Ancora una volta Clint Eastwood racconta una storia vera ed emblematica, basandosi su un articolo che la scrittrice e giornalista Marie Brenner scrisse sulla vicenda nel febbraio del 1997 per Vanity Fair, (suoi anche i pezzi alla base dei soggetti di Insider di Michael Mann e il recente A Private War), che mette il dito nella piaga di un'informazione sensazionalista, senza scrupoli, criminalmente superficiale, quanto mai attuale in tempi di gogne mediatiche, per non parlare dei "poteri forti" che agiscono per conto (e all'ombra, nonché spesso all'insaputa) del governo. Ritmo, rigore, essenzialità, potenza delle immagini e scelta degli interpreti (degna di menzione Kathy Bates nel ruolo di Bo Jewell, la madre) come sempre i punti di forza del grande Clint, il bluesman del cinema, che colpisce sempre dritto al cuore. Avercene di uomini della sua coerenza, coraggio, lucidità. Meglio un onesto conservatore (mai reazionario e men che mai razzista) come lui che racconta il suo a Paese per quello che è, nelle sue contraddizioni, che decine decine di Sundancefestivalieri "indie" che rappresentano quella frangia minoritaria che è convinta di esserne la parte migliore: anche il pur grande (non sempre) Woody Allen ha questo difetto. Quella che, con la sua presunzione, andando dietro ai vari Clinton e Obama ha consentito il trionfo di Bush prima e, come se non fosse bastato, Trump oggi, pronto a fare il bis. Richard Jewell riuscì alla fine a entrare in polizia e morì d'infarto a 44 anni, nel 2007.
Il Grande Vecchio del cinema USA, a 89 anni suonati, rimane sempre una garanzia e torna dietro la macchina da presa, stavolta senza recitare lui stesso da protagonista ma affidandone il ruolo a un volto semisconosciuto, Paul Walter Hauser (già apprezzato in Tonya), che interpreta Richard Jewell, protagonista di una storia vera e molto americana: eroe per tre giorni per aver impedito che l'esplosione di una bomba piazzata in uno zainetto sotto a una panchina del Centennial Olympic Park ad Atlanta durante un concerto che si teneva in concomitanza coi Giochi del 1996 avesse conseguenze ben più gravi di quelle che ha avuto (due morti e alcune decine di feriti) e poi azzannato per tre mesi da una stampa cinica e gaglioffa perché sospettato di esserne l'autore. Il tutto per una soffiata da parte di un ispettore dell'FBI (Jon Hamm: perfetto) a una ambiziosa cronista affamata di scoop (Olivia Wilde: brava davvero) secondo cui Jewell, un trentenne della Georgia sovrappeso e mammone, con la vocazione di proteggere il prossimo, da sempre desideroso di entrare in polizia e con un'ammirazione incondizionata (e suicida) verso i tutori dell'ordine, potesse corrispondere al profilo psicologico dell'aspirante eroe da poliziotto fallito qual era ritenuto: per questo si sarebbe fatto assumere come guardia di sicurezza dall'AT&T, una delle aziende che sponsorizzava i giochi, piazzando lui stesso l'ordigno. Facendo ricerche (a senso unico) sul suo passato erano emersi alcuni suoi eccessi di zelo quando era sorvegliante presso un campus universitario e da lì in poi gli avvoltoi dell'informazione stampata e televisiva si sono scatenati assediando la villetta dove abitava con la madre, mentre l'FBI e le altre polizie procedevano con perquisizioni a tappeto, analisi di ogni traccia possibile, reiterati tentativi di ingannarlo e fargli rilasciare dichiarazioni compromettenti, a cui Jewell rischiò più volte di abboccare proprio per la fiducia che nutriva in chiunque incarnasse l'autorità se non lo avesse bloccato Watson Bryant (nel film l'ottimo Sam Rockwell), un avvocato che aveva conosciuto una decina d'anni prima in uno dei suoi lavori precedenti, l'unico che non lo avesse preso in giro per la sua mole e le sue aspirazioni apparentemente infantili: invece che "palla di lardo" o "sfigato" l'aveva soprannominato "radar" per la sua meticolosità e capacità di osservazione. Fu la sua fortuna ricordarsi di lui e rivolgersi a questo legale di provincia per un consiglio su un contratto che gli era stato subito proposto per un libro nei giorni immediatamente successivi all'attentato, quando era ancora idolatrato dai media: gli bastò un colloquio a quattr'occhi e la verifica del tempo occorrente per il percorso che Jewell avrebbe dovuto fare sul luogo dell'attentato se avesse collocato lui lo zaino con l'esplosivo per essere certo della sua innocenza, mentre il suo cliente fino all'ultimo rimase incredulo di fronte al fatto che simili abusi e tanto accanimento da parte dei giornalisti nei suoi confronti potesse accadere proprio nella "sua" America. Ancora una volta Clint Eastwood racconta una storia vera ed emblematica, basandosi su un articolo che la scrittrice e giornalista Marie Brenner scrisse sulla vicenda nel febbraio del 1997 per Vanity Fair, (suoi anche i pezzi alla base dei soggetti di Insider di Michael Mann e il recente A Private War), che mette il dito nella piaga di un'informazione sensazionalista, senza scrupoli, criminalmente superficiale, quanto mai attuale in tempi di gogne mediatiche, per non parlare dei "poteri forti" che agiscono per conto (e all'ombra, nonché spesso all'insaputa) del governo. Ritmo, rigore, essenzialità, potenza delle immagini e scelta degli interpreti (degna di menzione Kathy Bates nel ruolo di Bo Jewell, la madre) come sempre i punti di forza del grande Clint, il bluesman del cinema, che colpisce sempre dritto al cuore. Avercene di uomini della sua coerenza, coraggio, lucidità. Meglio un onesto conservatore (mai reazionario e men che mai razzista) come lui che racconta il suo a Paese per quello che è, nelle sue contraddizioni, che decine decine di Sundancefestivalieri "indie" che rappresentano quella frangia minoritaria che è convinta di esserne la parte migliore: anche il pur grande (non sempre) Woody Allen ha questo difetto. Quella che, con la sua presunzione, andando dietro ai vari Clinton e Obama ha consentito il trionfo di Bush prima e, come se non fosse bastato, Trump oggi, pronto a fare il bis. Richard Jewell riuscì alla fine a entrare in polizia e morì d'infarto a 44 anni, nel 2007.
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