Seconda giornata di proiezioni, e quattro i titoli in gara: mi sono limitato a tre, saltando "Lillian", dell'austriaco Andreas Horvath, che racconta l'incredibile viaggio di ritorno in patria di Lillian Alling, un'emigrata russa a New York, avvenuto nel 1927 via terra, attraversando il Continente Nordamericano fino all'Alaska per varcare lo Stretto di Bering: a tutt'oggi risulta dispersa. In programma alle 22, ho preferito rinunciarvi per arrivare relativamente risposato alla tirata che mi aspetta domani. Su registri diversi, e tutti e tre i film a cui ho assistito ieri, da un punto di vista prevalentemente ma non esclusivamente femminile, parlano di rapporti, d'amore e di famiglia e, qualitativamente, piuttosto alto, si equivalgono. Il primo a essere proiettato è stato
Asimetrija (Asimmetria), di Maša Nešković, 36 enne esordiente regista belgradese, una coproduzione di Serbia-Slovenia e Italia 2019. Con un montaggio suggestivo, intreccia le diverse fasi di un relazione sentimentale nello stesso momento (una calda estate dai tempi sospesi) e nella stessa città (la bella capitale serba): in fieri da parte di due adolescenti; l'innamoramento nel caso di due giovani vicini di casa che prima di incontrarsi di persona si "conoscono" attraverso i suoni prodotti nelle rispettive abitazioni e le incursioni di un gatto (animale onnipresente nell'universo balcanico); la separazione (forse momentanea, come da auspicio dell'autrice presente in sala, che ha parlato di una sceneggiatura aperta da completarsi da parte dello spettatore) separazione di una coppia di mezza età dopo vent'anni di matrimonio: in tutti e tre i casi il legame è profondo ed è presente l'aspetto della cura e dell'attenzione all'altro; di spessore le interpretazioni, più toccanti quelle dei sue separandi e stupefacente, per naturalezza, quella dei due ragazzini, che hanno contribuito non poco a modificare la parte a loro assegnata durante le riprese coi loro suggerimenti e la loro spontaneità, come ha tenuto a sottolineare Maša Nešković, specie il ragazzo, completamente digiuno di recitazione: un vero talento naturale.
Il secondo "Bashtata" (Il padre), di Kristina Grozeva e Petar Valchanov, Bulgaria-Grecia 2019,
prendendo spunto da un episodio realmente accaduto, racconta in chiave tra il grottesco e il comico, e con tocchi di umor nero, il rapporto tra un padre artista, egocentrico e visionario e il figlio realista, pubblicitario e incapace di uscire da un ruolo di dipendenza fino a quando non riesce a comunicare, davanti a una marea di mele cotogne da trasformare un squisita confettura (anche questa, come il gatto, una presenzasimbolica molto balcanica). Dopo il funerale della rispettiva moglie e madre, il telefono cellulare di quest'ultima continua a suonare su quello della zia e vicina di casa: per scoprire l'arcano e rimettersi in contatto con la consorte e scoprire il senso dell'ultima telefonata tra di loro, rimasta a metà perché lui l'aveva interrotta per un diverbio, Vasili, un pittore che nega di essere divenuto tale e famoso a suo tempo col sostegno di un parente che era stato un alto dirigente dell'allora partito comunista al potere, vuole a tutti i costi recarsi da una sorta di santone e costringe di fatto il figlio Pavel, oberato da rogne sul lavoro e dalle continue chiamate della moglie, nella fase finale di una gravidanza delicata per via dell'età matura, a seguirlo nella demenziale avventura, purché non si cacci nei guai. Decisamente divertente e bene interpretato da Ivan Barnev (che ha presentato il film) e Ivan Savov (scelti senza nemmeno fare un provino) mentre per la grande Margita Gosheva basta la presenza in voce (quella della moglie di Pavel: per il resto è una pellicola tutta al maschile, anche se la figura femminile è immanente), Bashtata dipinge efficacemente anche altri aspetti della realtà bulgara, dalla sostituzione, nella creduloneria delle gente, del potere comunista con ogni sorta di ciarlatani e truffatori, ai guasti nei rapporti e nella comprensione dovuti alla comunicazione per mezzo esclusivamente telefonico, che è invece un fenomeno planetario.
Il terzo, infine, "Odnaždj v Trubčevske" (C'era una volta a Trubčevsk) di Larisa Sadilova, Russia 2019 è la storia di un adulterio in una piccola città (molto caratteristica, peraltro) della Russia Sud-Occidentale: la coppia di fedifraghi, vicini di casa, trova il modo di frequentarsi durante il percorso che lui, camionista, fa con una certa regolarità da Brjansk a Mosca, dove lei racconta alla famiglia di andare in corriera, a vendere capi d'abbigliamento, dai guanti ai cappellini ai maglioni, confezionai a mano (lo spunto alla regista e scenografa è venuta dall'essere venuta a conoscenza di un fatto vero: lei si faceva lasciare lungo il percorso in un luogo prestabilito e lui la raccoglieva passando come se fosse un'autostoppista); per un motivo o per l'altro c'è sempre qualche intoppo e in una piccola comunità dove tutti si conoscono è inevitabile che le tresche vengano prima o poi alla luce: tanto per cambiare sarà la donna a prendere una decisione, mentre l'uomo è in affanno, indeciso e assalito dai sensi di colpa e sarà lei ad averla vinta, ma non come ci si potrebbe immaginare. Bel film, che ha anche il pregio di mostrarci una Russia vera, diversa da quella in formato cartolina, è alla fine quello che mi è piaciuto di più dei tre e quello a cui ho asegnato il voto più alto della giornata.
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