"I due Papi" (The Two Popes) di Fernando Meirelles. Con Jonathan Pryce, Anthony Hopkins, Juan Minujín, Sidney Cole II, Thomas D. Williams, Federico Torre, Pablo Trimarchi, Maria Ucedo, Matthew T. Reynolds e altri. USA 2019 ★★★-
Mah: godibile ma non del tutto convincente. E' il secondo film dove la figura di Jorge Mario Bergoglio, pontefice in carica, è la figura centrale (qui in coabitazione con Josef Ratzinger) e in cui si fa cenno, tramite suggestivi flash-back che comprendo anche filmati d'epoca, ai suoi controversi anni da Provinciale dei Gesuiti in Argentina durante gli anni della dicta-dura (1976/83), che riprendono quanto già detto da Daniele Luchetti nel suo Chiamatemi Francesco, e paradossalmente i rilievi che si possono fare a Meirelles sono assai simili a quelli già fatti a suo tempo al regista romano: l'impianto poco cinematografico, con le cadenze e il ritmo tipici delle serie TV. Ben fatta, certamente e, in questo caso, con una coppia di interpreti di prim'ordine, con Pryce che a tratti sembra più Bergoglio di Bergoglio stesso e Hopkins che accentua i tratti caratteriali e fisici da mastino del Pastore Tedesco. Immaginando un incontro a Castel Gandolfo tra i due religiosi, che più diversi non potevano essere per visione e caratteri, alla vigilia delle dimissioni di Benedetto XVI dopo un periodo, dal 2010 al 2013, in cui la chiesa cattolica è travolta dagli scandali, dalle accuse di pedofilia alle vicende dello IOR fino al caso vatileaks, con la fuga di documenti segreti e l'arresto del maggiordomo personale del Papa, il regista lavora di fantasia rendendo però verosimili sia i motivi sia la vicenda, che inizia con un "dialogo tra sordi", con il Papa reggente che, resosi conto di non essere più in grado di governare la baracca, vede nel cardinale argentino quello che potrebbe prendersi la rogna perché piace alla gente, riesce a comunicarci e forse ha la forza di imporre le riforme necessarie per arginare l'emorragia di fedeli, e l'altro che aveva preso l'aereo per Roma apposta per presentare e far firmare al pontefice le carte in cui chiede le dimissioni da cardinale di Buenos Aires e primate d'Argentina per tornare a essere un semplice sacerdote, e termina, dopo une serie di colloqui in cui i due si annusano e scambiano battute che rivelano tutta la dedizione ottusa e la pignoleria teutonica dell'uno e il guapismo e l'esuberanza nonché le passioni sudacas e in particolare porteñas dell'altro, con la confessione, in piena regola, reciproca, proprio nella Cappella Sistina dove già nel 2005, in occasione del conclave seguito alla morte di Giovanni Paolo II, che avrebbe eletto Ratzinger, le due linee che rappresentavano, conservatrice e progressista, si erano scontrate. Alla fine, riconoscendo i rispettivi errori e difetti, i due uomini si scoprono meno diversi di quel che pensassero, e l'epilogo sarà sul divano, davanti allo schermo, a vedere Germania-Argentina, finale del Mundial brasiliano del luglio 2014, scatenandosi nel tifo calcistico. Detto dei due grandi interpreti nei ruoli dei due Papi, dell'ironia e leggerezza che pervade il film, la parte in cui Bergoglio ripercorre gli anni giovanili e, in particolare, il periodo oscuro in cui fu a capo della Compagnia di Gesù del suo Paese quando, fiero avversario della Teologia della Liberazione, tolse il suo appoggio ai preti attivi nelle vilas miserias perseguitati dal regime militare, pur essendo fondamentali per conoscere il personaggio risulta un corpo estraneo alla pellicola, anzi: sembrano presi proprio da un altro film, quello di Luchetti per l'appunto. Il risultato è una via di mezzo fra questo e la serie The Pope di Sorrentino, di cui sta per andare in onda su SKY la seconda stagione, e il cui risultato, alla fine, credo possa essere migliore. Ritengo comunque che valga la pena vederlo.
Mah: godibile ma non del tutto convincente. E' il secondo film dove la figura di Jorge Mario Bergoglio, pontefice in carica, è la figura centrale (qui in coabitazione con Josef Ratzinger) e in cui si fa cenno, tramite suggestivi flash-back che comprendo anche filmati d'epoca, ai suoi controversi anni da Provinciale dei Gesuiti in Argentina durante gli anni della dicta-dura (1976/83), che riprendono quanto già detto da Daniele Luchetti nel suo Chiamatemi Francesco, e paradossalmente i rilievi che si possono fare a Meirelles sono assai simili a quelli già fatti a suo tempo al regista romano: l'impianto poco cinematografico, con le cadenze e il ritmo tipici delle serie TV. Ben fatta, certamente e, in questo caso, con una coppia di interpreti di prim'ordine, con Pryce che a tratti sembra più Bergoglio di Bergoglio stesso e Hopkins che accentua i tratti caratteriali e fisici da mastino del Pastore Tedesco. Immaginando un incontro a Castel Gandolfo tra i due religiosi, che più diversi non potevano essere per visione e caratteri, alla vigilia delle dimissioni di Benedetto XVI dopo un periodo, dal 2010 al 2013, in cui la chiesa cattolica è travolta dagli scandali, dalle accuse di pedofilia alle vicende dello IOR fino al caso vatileaks, con la fuga di documenti segreti e l'arresto del maggiordomo personale del Papa, il regista lavora di fantasia rendendo però verosimili sia i motivi sia la vicenda, che inizia con un "dialogo tra sordi", con il Papa reggente che, resosi conto di non essere più in grado di governare la baracca, vede nel cardinale argentino quello che potrebbe prendersi la rogna perché piace alla gente, riesce a comunicarci e forse ha la forza di imporre le riforme necessarie per arginare l'emorragia di fedeli, e l'altro che aveva preso l'aereo per Roma apposta per presentare e far firmare al pontefice le carte in cui chiede le dimissioni da cardinale di Buenos Aires e primate d'Argentina per tornare a essere un semplice sacerdote, e termina, dopo une serie di colloqui in cui i due si annusano e scambiano battute che rivelano tutta la dedizione ottusa e la pignoleria teutonica dell'uno e il guapismo e l'esuberanza nonché le passioni sudacas e in particolare porteñas dell'altro, con la confessione, in piena regola, reciproca, proprio nella Cappella Sistina dove già nel 2005, in occasione del conclave seguito alla morte di Giovanni Paolo II, che avrebbe eletto Ratzinger, le due linee che rappresentavano, conservatrice e progressista, si erano scontrate. Alla fine, riconoscendo i rispettivi errori e difetti, i due uomini si scoprono meno diversi di quel che pensassero, e l'epilogo sarà sul divano, davanti allo schermo, a vedere Germania-Argentina, finale del Mundial brasiliano del luglio 2014, scatenandosi nel tifo calcistico. Detto dei due grandi interpreti nei ruoli dei due Papi, dell'ironia e leggerezza che pervade il film, la parte in cui Bergoglio ripercorre gli anni giovanili e, in particolare, il periodo oscuro in cui fu a capo della Compagnia di Gesù del suo Paese quando, fiero avversario della Teologia della Liberazione, tolse il suo appoggio ai preti attivi nelle vilas miserias perseguitati dal regime militare, pur essendo fondamentali per conoscere il personaggio risulta un corpo estraneo alla pellicola, anzi: sembrano presi proprio da un altro film, quello di Luchetti per l'appunto. Il risultato è una via di mezzo fra questo e la serie The Pope di Sorrentino, di cui sta per andare in onda su SKY la seconda stagione, e il cui risultato, alla fine, credo possa essere migliore. Ritengo comunque che valga la pena vederlo.
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