venerdì 31 gennaio 2020

In piedi nel caos


"In piedi nel caos" di Véronique Olmi. Traduzione di Monica Capuani, regìa di Elio De Capitani. Con Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Carolina Cametti, Marco Bonadei. Scene e costumi di Carlo Sala; suono di GIuseppe Marzoli; luci di Nando Frigerio. Produzione Teatro dell'Elfo. Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 2 febbraio.
"Non sarà una passeggiata - mi aveva avvertito Elio De Capitani, incontrato al bar del teatro prima dello spettacolo di cui è regista -. Ci ho messo tutto me stesso, e questo ho chiesto agli attori" e così è stato: impegnativo e coinvolgente sia per il pubblico della Sala Fassbinder, raccolta e col pubblico pressoché in scena, sia per gli interpreti, in particolare Katia (un'appassionata e intensa Carolina Cametti, autrice di una prestazione a dir poco atletica per l'energia profusa, per cui non stupisce che dopo due ore e un quarto fosse stremata), giovane moglie di Yuri (Antonio Di Genio), tornato con una gamba in frantumi dalla guerra sporca condotta dal governo russo in Cecenia negli anni Novanta, che come quasi tutti i reduci si rifiuta di parlare di quanto ha vissuto durante un'esperienza che si sforza di dimenticare con massicce dosi di alcol scadente, non riuscendo più a comunicare né a parole, né fisicamente con la giovane moglie. Un angosciante dramma d'amore, dunque, che si svolge a Mosca, nel 1995, all'interno di una kommunalka, un appartamento condiviso di sovietica memoria, quella incarnata da babushka (Cristina Crippa), la figlia dei nobili ex proprietari espropriati e spediti in Siberia in epoca staliniana, che ne è una sorta di governante. Un altro inquilino è Grisha (Marco Bonadei), un traffichino punk abbastanza losco con cui Katia innesca un rapporto ambiguo e sessualmente compensativo per la mancanza di desiderio del marito, da cui rimane incinta e a cui chiede, quando questi a sua volta verrà arruolato per la guerra, di raccontare quello che vi avviene, ossia ciò che per Yuri rappresenta l'indicibile: la verità. Sono questi i quattro personaggi che animano la scena, rappresentata da una cucina squallida, dove echeggiano rumori, girano scarafaggi, ma sembrano molti di più, anche perché ce ne sono altri che vengono soltanto nominati, a cominciare dal padre di Yuri, ex bolscevico, immobilizzato a letto, accudito da Katia, la cui sopravvivenza è indispensabile perché titolare di una pensione senza cui il ménage della kommunalka non potrebbe tirare avanti. Sferzate di luce, suoni cupi e talvolta ossessivi, il tutto rende l'atmosfera angosciosa: i lati più oscuri e anche sordidi dei personaggi, con le loro esigenze e rimostranze reciproche vengono a contrasto in maniera particolarmente intensa a causa della convivenza forzata, eppure rimane sempre in vita una speranza di miglioramento in ognuno di essi, nonostante tutto. L'esistenza umana è una lotta, ricordare è indispensabile ma lo è anche saper dimenticare, per sopravvivere e andare avanti. Tratto da una pièce dell'autrice francese Véronique Olmi, che avendo anche ascendenze slave conosce bene le caratteristiche dello "spirito russo", il dramma ha comunque una valenza universale ed è di rara intensità. Scenografia più che realistica, luci e suoni esemplari, interpretazioni di altissimo livello ed intensità. Grazie Maestro e grazie a tutti gli Elfi

Nessun commento:

Posta un commento