domenica 12 gennaio 2020

Giornate budapestifere


Inizio dell'anno all'insegna della memoria, grata, nei confronti del mai abbastanza rimpianto Impero austro-ungarico e della nostalgia neanche troppo immaginaria per una civiltà che sì, si poteva chiamare europea, almeno da un punto di vista culturale, cosa che oggi non è, sia per il risorgere dei nazionalismi che, scatenando il primo conflitto mondiale (e creando le premesse del secondo nonché il definitivo avvento dell'egemonia americana), avevano causato la dissoluzione della monarchia danubiana e, di conseguenza, l'elemento che consentiva la coesistenza degli Stati del Vecchio Continente in una situazione di relativo equilibrio; sia perché, se non le persone (salvo per i cittadini dell'area Schengen), sicuramente le idee circolavano molto più velocemente e proficuamente un secolo fa di quanto non facciano ora nell'era di internet e della comunicazione immediata, e la conoscenza reciproca, pur nella diversità (probabilmente proprio grazie al suo riconoscimento, mentre oggi si fa di tutto per negarla), era molto più profonda allora, senza la necessità di dover teorizzare la tolleranza a ogni costo, come fosse un obbligo morale. 



Con la scusa di una rapida visita-parenti e della bellissima mostra Caravaggio e Bernini allestita fino al 19 gennaio al Kunsthistorisches Museum, ho fatto prima tappa due giorni a Vienna, città che conosco piuttosto bene e dove mi reco abbastanza frequentemente, per poi spostarmi nell'altra capitale della Duplice Monarchia, Budapest, una città che ho sempre amato fin dalla prima volta in cui ci andai assieme ai miei genitori e a mio cugino Italo nel 1964, dove mancavo dalla metà degli anni Ottanta, prima della caduta del Muro di Berlino, per un soggiorno che si è protratto per un'intera settimana. 


Pest vista da Buda
Un tempo che vale la pena dedicarle, per prenderne i ritmi che, pur essendo sostenuti come in qualsiasi metropoli moderna, non sono mai esasperati e per assaporarne la dimensione, che rimane pur sempre umana, a differenza dei termitai asiatici o africani e dei non-luoghi che sono gli agglomerati urbani dell'America del Nord (e, ormai, anche di parte di quella centro-meridionale). Non che la globalizzazione, con le sue catene di negozi, che coprono tutti i settori dall'abbigliamento, all'alimentazione, ai prodotti per la casa e, ovviamente, la ristorazione, abbia risparmiato il cuore della Mitteleuropa, e che Vienna e Budapest non siano afflitte dal turismo di massa (oltre a statunitensi e asiatici, folte le schiere di italiani e spagnoli, che di solito però si muovono in piccoli gruppi di famigliari o di amici), ma in maniera meno molesta e insopportabile della vicina Praga o, peggio, di Venezia, Firenze e Roma per quanto riguarda le città d'arte italiane, o Milano per lo shopping modaiolo e l'effimero. 


Buda vista da Pest
Confesso che uno stimolo per tornarci è stato lo spot pubblicitario, che avevo giustamente supposto essere oltraggioso, della Opel per una sua vettura, guarda caso un SUV, decantandone le sospensioni che reggono perfino le strade, "notoriamente sconnesse", di Budapest: che se avesse preso di mira le condizioni di quelle di Roma o di Parigi, sicuramente peggiori di quelle della capitale magiara, avrebbe causato rivolte di popolo (sovranista) e rottura delle relazioni diplomatiche, ma trattandosi dell'Ungheria, per quanto "orbanizzata", essendo un Paese che non si perde in sciocchezze, ha dignitosamente soprasseduto. Insomma: strade in ordine, ben tenute, pulite; ubiqua presenza di piste ciclabili; mezzi pubblici che funzionano alla perfezione: quattro linee del metrò, oltre a quelle dei treni suburbani; bus blu, tram gialli e filobus rossi che, lungo percorsi razionali e corsie preferenziali, consentono di raggiungere ogni angolo della città celermente e, quando attorno alle 23 termina il servizio regolare, sono efficacemente sostituiti dalle linee notturne. Insomma, per chi ha avuto modo di verificare lo stato delle cose, la pubblicità della Opel è risultata fuori luogo e controproducente: del resto si sa che quando i tedeschi vogliono mettersi a fare i simpatici a tutti i costi, risultano perlopiù grevi e inopportuni. 


Il Mercato centrale coperto
Tornando a Budapest, mi sono preso tutto il tempo per girarla in lungo e in largo, a cominciare dai mercati (e non solo quello Centrale, al coperto, costruito nel 1897 e restaurato negli anni 90, quindi per me una novità ); rivedere i capolavori del Museo di Belle Arti, organizzato in modo esemplare, il Castello, il Parlamento, ma anche visitare per la prima volta la Casa del Terrore, ossia il palazzo di fine '800 lungo il centrale Viale Andrassy che fu sede della polizia politica prima nazista e poi comunista, trasformata nel 2002 in Museo e Monumento alla memoria: pochi ricordano, soprattutto asinistra, che un primo tentativo di sovietizzazione l'Ungheria lo subì già nel 1919 ad opera di Bela Kun, quattro mesi noti come Terrore Rosso seguiti alla sconfitta nella guerra e alla disgregazione dell'Impero, che vaccinarono per sempre il Paese da qualsiasi virus bolscevico, con la conseguenza di suscitare una reazione speculare, nota come Terrore Bianco, fino alla nascita delle Croci Frecciate filonaziste nel 1935, che portarono il Paese alla seconda sconfitta in vent'anni; quel che successe dal dopoguerra in poi, fino al 1989, e l'invasione dei Paesi Fratelli del Patto di Varsavia in risposta ai moti rivoluzionari del 1956 (a suo tempo sostenuta dal PCI e lodata dall'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) dovrebbe essere di dominio comune, sempre che gli attuali libri di storia contemporanea ne facciano cenno. 


Museo Casa del Terrore
Altra "prima volta", e che raccomando altrettanto vivamente, è stata una doverosa puntata al Museo Ospedale nella Roccia - Bunker Antiatomico, aperto nel 2007 e situato sotto il castello di Buda. Il primo fu costruito a partire dal 1939 e terminato nel 1944 come ospedale chirurgico d'emergenza sfruttando gli oltre 10 chilometri di grotte e cunicoli situati a una profondità tra i 10 e i 15 metri sotto la superficie collinare, si estendeva per 2300 metri quadrati ed entrò in funzione pochi mesi prima del sanguinoso assedio di Budapest da parte dell'Armata Rossa fra l'ottobre del 1944 e il febbraio del 1945 per  tornare nuovamente in funzione durante la rivoluzione del 1956; successivamente, in piena Guerra Fredda, venne esteso e reso operativo anche in caso di attacco nucleare: entrambe le parti sono oggi vedibili con una visita guidata condotta in modo esemplare. Infine, un'altra primizia  per il sottoscritto: il ricco e curatissimo Museo della Fondazione Viktor Vasarely a Obuda, da non perdere. Questo per la parte culturale e d'aggiornamento; non potevano mancare i piaceri della tavola, in un paese dalle solide tradizioni enogastronomiche, patria del gulyas (inteso come una zuppa d'origine rustega) e del pörkölt (quello che gli austriaci chiamano gulasch e noi spezzatino, con abbondante aggiunta di cipolle e paprika) accompagnato dai tipici galuska, gnocchetti di farina, uova e acqua, versione magiara degli spätzle tirolesi; 


Pörkölt e galuska
nonché delle palacsinte, al cui confronto le crêpes francesi sono un insulto alimentare insipido e cartonato e di un'infinità di dolci tra cui strudel (anche in versione salata, però), torte (la Dobos quella che apprezzo di più, mentre l'imperatrice Sissi, venerata in Ungheria come Erzsébeth ancor più che in Austria o nella natìa Baviera (a lei sono intitolati il ponte più elegante e due statue, una nel cuore di Buda e l'altra in quello di Pest), prediligeva la Gerbeau


Torta Gerbeau e la golosissima Erzsébet Királiné/Sissi
specialità dell'omonimo caffè di Pest dove si recava abitualmente quando era in visita in città; e il dolce nazionale per definizione, il Somloi galuska, una versione molto arricchita dei profiteroles nostrani. Per l'ulteriore benessere mentale e fisico, last but not at least, bazzicate quattro giorni su sei durante il mio soggiorno, le terme, ché Budapest già nel 1934 aveva vinto il titolo di città balneare: non risultano altre grandi città al mondo dove siano presenti oltre cento fonti di acqua termale. I primi ad accorgersene, e a costruirle  (portando così la civiltà, oltre alle strade), furono naturalmente i romani, che si insediarono ad Aquincum, nell'attuale Obuda (Buda vecchia), sulla riva destra del Danubio, di cui rimangono i resti; poi i turchi, che durante la dominazione ottomana (1541-1686) a Buda ne eressero due che sopravvivono tuttora, e sono le mie preferite: le Kiraly innanzitutto e le Rudas; le Lukacs, infine quelle più note e frequentate, Gellértsempre a Buda, e le immense Széchenyi, a Pest, quasi una città termale, in stile Art Nouveau. Molti visitatori stranieri, ovviamente, ma rimane alla larga il turistame massificato, almeno per quanto riguarda quelle più piccole, e comunque prevalenza di indigeni, tanto è un'abitudine consolidata dei budapestini quella di “passare le acque” per rilassarsi, che fa parte del loro dna. 


I bagni termali Kiraly, a Buda
Ultima notazione: è vero, l'Ungheria vota a destra, di Viktor Orban si può dire tutto il male possibile (e lo fanno anche i locali) ma fino a un certo punto: resta il fatto che sia un Paese vivibile, e la sua capitale una città aperta e ospitale dove non ho avuto alcuna sensazione di razzismo latente: abbondano, come da noi, negozi e ristoranti prevalentemente turchi e cinesi, buona rappresentanza anche di vietnamiti, molte le facce esotiche e in particolare dai tratti gitani, non mancano persone di colore ma non si vedono giovani schiavizzati dalle mafie nigeriane o senegalesi bivaccare diuturnamente davanti a supermercati, ristoranti e bar a fare la questua; non si viene assediati da torme di bangladesi che tentano di vendere rose perfino ai single o improbabili trappole volanti fluorescenti in ogni piazza vagamente frequentata, che nemmeno viene infestata da improbabili mimi immobilizzati che spuntano come funghi in un bosco dopo una pioggia estiva; molestati da musicanti ed elemosinatori da mezzo pubblico o strimpellatori da trattoria; non c'è traccia dei suq nelle stazioni della sotterranea e nemmeno a cielo aperto come a Milano o Roma e francamente non se ne sente la mancanza: non ho assistito a una rissa, a un tentativo di scippo, nemmeno a un alterco verbale nell'arco di una settimana e stando in giro tutto il giorno, eppure la presenza della polizia è molto ridotta rispetto alle nostre abitudini, sicuramente più discreta e al contempo efficace, probabilmente più seria. Però c'è sempre qualche pirla pronto a teorizzare il boicottaggio dell'Ungheria perché sono tutti fassisti e rassisti, manco fosse il Cile di Pinochet o la Birmania prima di Aung san suu kyi (ah no, questa non va più bene perché non ama gli islamici) o il Nicaragua di Daniel Ortega (ma quello invece sì perché è un compagno!) O no?


Lájos Kossuth utca

2 commenti:

  1. Eh sì, vien voglia di andarci, anche se sospetto che tu abbia scelto forse il giusto momento dell'anno per evitare il turistume invadente...

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  2. Budapest rimane tra le città che ho visitato la mia preferita, ci andai anchio nella metà degli anni 80, mi fermai per 3 giorni e, tra le altre cose, feci incetta di sigari cubani, lp e bellissime sciarpe di seta. L'ho girata in lungo e in largo trascurando i musei (non li amo) ma apprezzando l'ottima tradizionale cucina e l'atmosfera unica che Vienna e altri posti (tranne Bilbao) mi hanno dato. Sebbene fosse verso la fine di Agosto c'erano pochi turisti e un solo italiano incontrato in un'osteria che però viveva lì. Colazione al Gerbaud con una magnificenza di torte alla crema e prezzi per noi ridicoli all'epoca.
    Mi piacerebbe tornarci valutando bene il periodo.
    p.s. Quanto a Orban fa comunque gli interessi del suo Paese non come i nostri venduti a Bruxelles e alla Germania.
    Mandi

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