domenica 19 gennaio 2020

31 Trieste Film Festival - 1° round


E' entrata nel vivo ieri la 31ª edizione del Trieste Film Festival, progetto di grande successo di Alpe Adria Cinema, dopo la serata inaugurale di venerdì 17 con la presentazione fuori concorso, di A Hidden Life di Terrence Malick, a cui ho rinunciato con sollievo perché non posseggo lo stomaco per reggere 173' dei micidiali pipponi del regista statunitense, questa volta in formato esportazione, nel raccontare la vicenda dell'obiettore di coscienza austriaco Joseph Jägerstätter, condannato a morte dai nazisti per tradimento nel 1943. Dei tre film in gara fra i lungometraggi proiettati ieri, il migliore mi è sembrato "Nech je svetlo" (Che sia fatta luce), di Marc Škop, Solvacchia-Repubblica Ceca, 
che ha messo tutta la sua esperienza di ottimo documetarista per raccontare con estremo realismo la vicenda di Milan, gastarbeiter come muratore nella vicina Baviera, che al ritorno per le ferie natalizie nel suo villaggio natale dell'Alta Slovacchia viene a sapere che il figlio maggiore, un adolescente che frequenta il liceo, è coinvolto nella morte di un compagno, suicida dopo essere stato vittima di un rito iniziatico da parte di un gruppo paramilitare di impronta reazionaria e nazionalista, che monopolizza, bullizzandola, tutta la gioventù del paese, anche con la connivenza della chiesa locale: fenomeno che, assicura il regista, coinvolge tutta la Slovacchia, specie nelle zone rurali ma che è presente anche nella capitale Bratislava, dove si mimetizza più facilmente; alcune inchieste hanno portato all'uccisione dei cronisti che le avevano condotte, tanto da far ipotizzare l'esistenza di una sorta di Stato nello Stato che pone il silenziatore su tutto. Oltre a mettere in luce (come da titolo) una vicenda-tipo, Škop illustra anche la vita di queste comunità periferiche, il ruolo delle donne, che quando non vanno in Austria a fare le badanti si occupano della produzione casearia integrando così le rimesse dei mariti che vanno a fare gli stagionali all'estero ma parla soprattutto del ruolo dell'educazione e dell'esempio dei genitori: Milan ha avuto e ha tuttora un rapporto difficile con una sorte di padre-padrone, e voluto avere con i suoi una relazione completamente diversa, ma la sua esperienza ha lasciato tracce velenose. Un film con molti spunti che vengono tutti trattati con equilibrio, lineare, pulito, che va all'essenziale, scarnificato: non a caso il regista ha preferito lasciarlo senza commento musicale. Notevole interpretazione di Milan Kondrik nei panni dell'omonimo protagonista, ma anche di Zuzana Konečná in quelli della moglie (omonima anche lei). Secondo film, di buon livello ma un po' meno convincente "Monstri (Mostri)" - Romania,opera prima del comunque promettente rumeno Marius Olteanu,
che racconta il modo in cui una coppia sulla quarantina, dopo dieci anni di convivenza, affronta per l'appunto i propri "mostri": pur amandosi e rispettandosi, non potrebbero avere esigenze profonde più diverse, che vengono illustrate in modo suggestivo, seguendo prima Dana e poi Arthur, i due protagonisti (inquadrandoli con un formato verticale che esalta i primi piani, e così sottolinea anche le notevoli interpretazioni, rispettivamente, di Judith State, già apprezzata nell'ottimo Sieranevada e Cristian Popa) in una nottata a Bucarest che precede il chiarimento (quando l'inquadratura a tutto campo, nel formato consueto, li ritrae insieme) e il momento della decisione se continuare la convivenza o affrontare quella che sarebbe, nella loro condizione, la più grande prova d'amore reciproca ossia di lasciarsi. Terzo e ultimo film in concorso della giornata Ivana cea Groaznica (Ivana la Terribile) - Romania-Serbia, di tono opposto ai precedenti, apparentemente giocoso e caotico (si notano tracce di Kusturica: si tratta del il comune spirito serbo che anima il film) ma che si occupa anche qui di relazioni: sia quelle famigliari, sentimentali e amicali della protagonista, che è la stessa bravissima regista e attrice Ivana Mladenović, sia quelle dei due Paesi confinanti, Serbia (dove Ivana è nata, a Kladovo, città di frontiera sul Danubio) e Romania (ha studiato, vive e lavora a Bucarest) e, con esse, i conflitti, anche generazionali.
Lo fa, prendendo spunto da un problema di salute personale, per cui aveva deciso di trascorrere l'estate di due anni fa nella cittadina natale, coinvolgendo tutta la sua vera famiglia e la cerchia di amici e conoscenti (il padre veterinario, la madre casalinga e coi piedi per terra, la nonna, la cui casa è stata realmente invasa dalla troupe, arrivata in buona parte dalla Romania, e dove è stato girato il film: eccezionale, e spassosi quanto realistici i dialoghi). Il risultato è un "casino" ben organizzato, una baraonda al contempo divertente e profonda, che fa ridere quanto fa riflettere. La pellicola, che è all'altezza della prima anche se di genere completamente diverso, ha avuto un'ottimo successo a Locarno ed è purtroppo l'ultima occasione per vedere all'opera Anca Pop, coetanea di Ivana, che interpreta sé stessa: un personaggio rock decisamente notevole della scena rumena, tragicamente scomparsa nel dicembre del 2018, annegata dopo essere finita in macchina nel Danubio, il fiume che divide, ma unisce pure i due Paesi. 

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