"Si muore tutti demoscristiani" di Il Terzo segreto di Satira. Con Marco Ripoldi, Massimilano Loizzi , Walter Leonardi, Renato Avallone, Valentina Ludovini, Paolo Rossi e altri. Italia 2017 ★★★+
Film divertente quello d'esordio per questo collettivo di autori satirici diventati famosi in rete per i loro video dissacranti sulle dinamiche del mondo della politica, che si può dire riuscito benché i tempi di un lungometraggio siano diversi da quello loro abituali, per certi versi autobiografico. Racconta infatti la vicenda di tre amici, Stefano, Fabrizio ed Enrico, titolari di una piccola casa di produzione che si destreggia tra servizi di matrimoni e video impegnati nel politico e nel sociale (esilarante la preparazione di un filmato per il 25 Aprile su incarico di sindacato e ANPI, che vuole rappresentare un "Quarto Stato" attualizzato, con tanto di coppie gay e perfino transgender con figli: grandioso il cameo di Paolo Rossi, oltre a quelli di Peter Gomez, Lilli Gruber e Andrea Scanzi), che per la prima volta hanno l'occasione di svoltare quando per 150 mila euro viene loro commissionato un servizio su una ONLUS che si occupa di accoglienza, dall'indicativo nome di Africando: peccato che il suo amministratore delegato sia caduto sotto inchiesta per aver utilizzato a proprio favore buona parte dei 35 euro che lo Stato versa all'ente per ogni migrante che "assiste", da qui i dubbi etici che assalgono i nostri tre eroi, e che vengono man mano "democristianamente" abbattuti da considerazioni personali: per uno, in perenne attesa di diventare docente universitario, la casa troppo piccola con un figlio in arrivo; per l'altro, il riscatto di fronte a un suocero mobiliere brianzolo che lo considera un nullafacente senza arte né parte, ossia un "artista"; per l'altro ancora, che sopravvive affittando la propria stanza nell'appartamento che condivide con l'amico d'infanzia imbecille attraverso Airbnb, una battaglia persa con la propria coscienza, soprattutto dopo un'analisi per una volta obiettiva del proprio passato politico. Il film parte in quarta e si inceppa un po' in vista del finale per colpa di una sceneggiatura incerta, ma coglie nel segno sia per la parodia, sia per la morale poco consolatoria che se ne trae. E' sostanzialmente un film di milanesoidi, sui milanesoidi e per milanesoidi, efficace soprattutto quando sbeffeggia, non so quanto volontariamente, il modo di parlare e i tic di quelli di sinistra, che gravitano attorno alla Zona Uno e alla Zona Tre (segnatamente Porta Venezia/Città Studi, le uniche dove il PD conquista la maggioranza relativa) della città coi loro rituali, ma in grado di raggiungere pure una platea lontana dal capoluogo lombardo, anche perché il suo linguaggio è stato divulgato negli ultimi tre decenni su scala nazionale da radio commerciali come Deejay, 101 e 105 nonché dalle reti Mediaset. Chiarisco che utilizzo il termine milanesoide in senso obiettivo prima ancora che negativo, intendendo la stragrande maggioranza dei nati a Milano dagli anni Settanta in poi, senza differenze di sesso, religione, etnia e colore e che hanno vissuto l'adolescenza nei Favolosi Anni Ottanta, quelli della Milano da bere: la generazione di Renzi e Salvini, per intenderci; nonché quelli che vi si sono stabiliti da post-adoloescenti a cose fatte, ossia quando la città oltre al cervello si era ormai bevuta anche la sua identità, da Tangentopoli in poi, per carpirne le mirabolanti nuove opportunità nello sfavillante mondo del terziario, della pubblicità e della moda con annessi e connessi: la Milano dei creativi e della finanza. Sopravvive, nel gruppo del Terzo segreto di Satira, qualcosa della vena surreale della migliore comicità milanese, che va da Umberto Simonetta a Beppe Viola a Cochi e Renato ed Enzo Jannacci transitando dal Derby ma anche da Gaber e Fo, ma in forma, per l'appunto, milanesoide. Manca la nebbia in riva ai Navigli, insomma: per il resto, avanti così! (il titolo, comunque, è quanto mai veritiero su scala nazionale).
Film divertente quello d'esordio per questo collettivo di autori satirici diventati famosi in rete per i loro video dissacranti sulle dinamiche del mondo della politica, che si può dire riuscito benché i tempi di un lungometraggio siano diversi da quello loro abituali, per certi versi autobiografico. Racconta infatti la vicenda di tre amici, Stefano, Fabrizio ed Enrico, titolari di una piccola casa di produzione che si destreggia tra servizi di matrimoni e video impegnati nel politico e nel sociale (esilarante la preparazione di un filmato per il 25 Aprile su incarico di sindacato e ANPI, che vuole rappresentare un "Quarto Stato" attualizzato, con tanto di coppie gay e perfino transgender con figli: grandioso il cameo di Paolo Rossi, oltre a quelli di Peter Gomez, Lilli Gruber e Andrea Scanzi), che per la prima volta hanno l'occasione di svoltare quando per 150 mila euro viene loro commissionato un servizio su una ONLUS che si occupa di accoglienza, dall'indicativo nome di Africando: peccato che il suo amministratore delegato sia caduto sotto inchiesta per aver utilizzato a proprio favore buona parte dei 35 euro che lo Stato versa all'ente per ogni migrante che "assiste", da qui i dubbi etici che assalgono i nostri tre eroi, e che vengono man mano "democristianamente" abbattuti da considerazioni personali: per uno, in perenne attesa di diventare docente universitario, la casa troppo piccola con un figlio in arrivo; per l'altro, il riscatto di fronte a un suocero mobiliere brianzolo che lo considera un nullafacente senza arte né parte, ossia un "artista"; per l'altro ancora, che sopravvive affittando la propria stanza nell'appartamento che condivide con l'amico d'infanzia imbecille attraverso Airbnb, una battaglia persa con la propria coscienza, soprattutto dopo un'analisi per una volta obiettiva del proprio passato politico. Il film parte in quarta e si inceppa un po' in vista del finale per colpa di una sceneggiatura incerta, ma coglie nel segno sia per la parodia, sia per la morale poco consolatoria che se ne trae. E' sostanzialmente un film di milanesoidi, sui milanesoidi e per milanesoidi, efficace soprattutto quando sbeffeggia, non so quanto volontariamente, il modo di parlare e i tic di quelli di sinistra, che gravitano attorno alla Zona Uno e alla Zona Tre (segnatamente Porta Venezia/Città Studi, le uniche dove il PD conquista la maggioranza relativa) della città coi loro rituali, ma in grado di raggiungere pure una platea lontana dal capoluogo lombardo, anche perché il suo linguaggio è stato divulgato negli ultimi tre decenni su scala nazionale da radio commerciali come Deejay, 101 e 105 nonché dalle reti Mediaset. Chiarisco che utilizzo il termine milanesoide in senso obiettivo prima ancora che negativo, intendendo la stragrande maggioranza dei nati a Milano dagli anni Settanta in poi, senza differenze di sesso, religione, etnia e colore e che hanno vissuto l'adolescenza nei Favolosi Anni Ottanta, quelli della Milano da bere: la generazione di Renzi e Salvini, per intenderci; nonché quelli che vi si sono stabiliti da post-adoloescenti a cose fatte, ossia quando la città oltre al cervello si era ormai bevuta anche la sua identità, da Tangentopoli in poi, per carpirne le mirabolanti nuove opportunità nello sfavillante mondo del terziario, della pubblicità e della moda con annessi e connessi: la Milano dei creativi e della finanza. Sopravvive, nel gruppo del Terzo segreto di Satira, qualcosa della vena surreale della migliore comicità milanese, che va da Umberto Simonetta a Beppe Viola a Cochi e Renato ed Enzo Jannacci transitando dal Derby ma anche da Gaber e Fo, ma in forma, per l'appunto, milanesoide. Manca la nebbia in riva ai Navigli, insomma: per il resto, avanti così! (il titolo, comunque, è quanto mai veritiero su scala nazionale).
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