"Dopo la guerra" di Annarita Zambrano. Con Giuseppe Battiston, Barbora Bobulova, Charlotte Cétaire, Fabrizio Ferracane, Elisabetta Piccolomini e altri. Francia, Italia, Belgio 2017 ★★½
Film d'esordio di Annarita Zambrano, e presentato nella sezione Un certain regard a Cannes l'anno scorso, come tale può andare, e "passa l'esame" per come è girato e per le interpretazioni, mentre suscita perplessità sia per le sceneggiatura, zoppicante e farcita di frasi fatte, specie quando si parla di politica, sia per l'improbabile sequenza di colpi di scena che danno un tocco adrenalinico a una pellicola che ha nel lato intimistico il suo punto di forza: il risultato è che si muove un po' troppo nell'ambito dello sceneggiato televisivo. Siamo nel 2002, quando a Bologna viene ucciso un giuslavorista che insegna all'università e l'attentato viene rivendicato dalle Forze Armate Rivoluzionarie, un gruppo che porta le stesso nome di quello attivo negli anni Settanta e fondato da Marco Lamberti, rifugiatosi da vent'anni in Francia in base alla Dottrina Mitterrand rifacendosi una vita (il riferimento è a Marco Biagi e a un buon numero di ex terroristi che hanno riparato a Parigi e dintorni), ma i tempi sono cambiati, l'uomo (Battiston in un ruolo sofferto), che è diventato un apprezzato intellettuale nel Paese che lo ospita, viene tirato in ballo per il nuovo omicidio e la Francia ora è propensa a concedere l'estradizione: così Marco, decide che è tempo di cambiare aria, procurarsi documenti falsi e filarsela in Nicaragua, trascinando nella sua fuga anche Viola, l'unico legame che gli è rimasto dopo la morte della moglie, dato che dalla sua fuga dall'Italia non ha più avuto contatti con la famiglia d'origine. La quale a sua volta viene nuovamente coinvolta dall'omicidio del docente perché a Bologna non ci si è dimenticati: la madre, ammutolita da il dolore per la perdita di due figli: oltre a Marco, autoesiliato, il fratello, anche lui terrorista, ucciso in uno scontro a fuoco; la figlia (l'immancabile Barbora Bobulova: stavolta le fanno interpretare un'insegnate di italiano al liceo, va bene che ha un accento neutro... In compenso come nevrotica perennemente depressa è perfettamente in parte); infine il marito di lei, un pubblico ministero che si occupa meritoriamente di cause sull'amianto e candidato a diventare procuratore generale. Film intimista, come accennato, si concentra sulle "colpe che ricadono su chi resta": da un lato Viola, che con Marco parla esclusivamente in francese, e pressoché nulla sa sia del passato sia delle intenzioni del padre, venendone vagamente a conoscenza grazie a una giornalista che lo va a intervistare, la quale viene coinvolta nella fuga decisa dal latitante e strappata alla scuola, al suo ambiente, alle sue amicizie; dall'altro l'anziana madre di Marco, oggetto di un atto intimidatorio nella sua bella casa sui colli bolognesi; la sorella, costretta a prendersi un'aspettativa dal preside della scuola dove insegna (e chiamata a rapporto dalla bidella mentre sta svolgendo lezione: cosa improbabile perfino in Italia) per la reazione dei genitori dei suoi alunni dopo l'omicidio del docente; infine il cognato, che rinuncia alla candidatura a procuratore generale. Lato positivo del film, la sensazione di disagio e sospensione che induce, rendendo partecipi di una situazione che, per come la si rigiri, non è stata affrontata e quindi risolta e ha mietuto vittime in ogni direzione, anche tra chi, essendo legato per parentela a ex combattenti irrigiditi nel loro dogmatismo come Marco, viene fatto carico, per così dire, di una sorta di responsabilità obiettiva. E' possibile lasciarsi alle spalle il passato? Voltare pagina? Se sì, come? Domande inevase, e non solo per cattiva volontà, e che tornano attuali proprio in questi giorni in cui cade il quarantesimo dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in Via Fani. Non era pretesa del film darvi una risposta, ma colpisce nel segno quando sull'argomento induce alla riflessione.
Film d'esordio di Annarita Zambrano, e presentato nella sezione Un certain regard a Cannes l'anno scorso, come tale può andare, e "passa l'esame" per come è girato e per le interpretazioni, mentre suscita perplessità sia per le sceneggiatura, zoppicante e farcita di frasi fatte, specie quando si parla di politica, sia per l'improbabile sequenza di colpi di scena che danno un tocco adrenalinico a una pellicola che ha nel lato intimistico il suo punto di forza: il risultato è che si muove un po' troppo nell'ambito dello sceneggiato televisivo. Siamo nel 2002, quando a Bologna viene ucciso un giuslavorista che insegna all'università e l'attentato viene rivendicato dalle Forze Armate Rivoluzionarie, un gruppo che porta le stesso nome di quello attivo negli anni Settanta e fondato da Marco Lamberti, rifugiatosi da vent'anni in Francia in base alla Dottrina Mitterrand rifacendosi una vita (il riferimento è a Marco Biagi e a un buon numero di ex terroristi che hanno riparato a Parigi e dintorni), ma i tempi sono cambiati, l'uomo (Battiston in un ruolo sofferto), che è diventato un apprezzato intellettuale nel Paese che lo ospita, viene tirato in ballo per il nuovo omicidio e la Francia ora è propensa a concedere l'estradizione: così Marco, decide che è tempo di cambiare aria, procurarsi documenti falsi e filarsela in Nicaragua, trascinando nella sua fuga anche Viola, l'unico legame che gli è rimasto dopo la morte della moglie, dato che dalla sua fuga dall'Italia non ha più avuto contatti con la famiglia d'origine. La quale a sua volta viene nuovamente coinvolta dall'omicidio del docente perché a Bologna non ci si è dimenticati: la madre, ammutolita da il dolore per la perdita di due figli: oltre a Marco, autoesiliato, il fratello, anche lui terrorista, ucciso in uno scontro a fuoco; la figlia (l'immancabile Barbora Bobulova: stavolta le fanno interpretare un'insegnate di italiano al liceo, va bene che ha un accento neutro... In compenso come nevrotica perennemente depressa è perfettamente in parte); infine il marito di lei, un pubblico ministero che si occupa meritoriamente di cause sull'amianto e candidato a diventare procuratore generale. Film intimista, come accennato, si concentra sulle "colpe che ricadono su chi resta": da un lato Viola, che con Marco parla esclusivamente in francese, e pressoché nulla sa sia del passato sia delle intenzioni del padre, venendone vagamente a conoscenza grazie a una giornalista che lo va a intervistare, la quale viene coinvolta nella fuga decisa dal latitante e strappata alla scuola, al suo ambiente, alle sue amicizie; dall'altro l'anziana madre di Marco, oggetto di un atto intimidatorio nella sua bella casa sui colli bolognesi; la sorella, costretta a prendersi un'aspettativa dal preside della scuola dove insegna (e chiamata a rapporto dalla bidella mentre sta svolgendo lezione: cosa improbabile perfino in Italia) per la reazione dei genitori dei suoi alunni dopo l'omicidio del docente; infine il cognato, che rinuncia alla candidatura a procuratore generale. Lato positivo del film, la sensazione di disagio e sospensione che induce, rendendo partecipi di una situazione che, per come la si rigiri, non è stata affrontata e quindi risolta e ha mietuto vittime in ogni direzione, anche tra chi, essendo legato per parentela a ex combattenti irrigiditi nel loro dogmatismo come Marco, viene fatto carico, per così dire, di una sorta di responsabilità obiettiva. E' possibile lasciarsi alle spalle il passato? Voltare pagina? Se sì, come? Domande inevase, e non solo per cattiva volontà, e che tornano attuali proprio in questi giorni in cui cade il quarantesimo dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in Via Fani. Non era pretesa del film darvi una risposta, ma colpisce nel segno quando sull'argomento induce alla riflessione.
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