"Le cose che verranno" (L'avenir) di Mia Hansen Love. Con Isabelle Huppert, André Marcon, Roman Kolinka, Edith Scob, Sarah Lepicard e altri. Francia 2016 ★★★★-
Di solito il cinema francese tende a focalizzarsi più sul parlato che sulle immagini: quando un film è supportato da una sceneggiatura di prim'ordine e da una trama che regge si può assistere a delle tenzoni verbali di rara intensità e vivacità, altrimenti si scade nel chiacchiericcio e nell'incessante e spesso fastidioso parlarsi addosso dei personaggi. Qui la trama è semplice, lineare e robusta: la vita di Nathalie, una ultracinquantenne insegnante di filosofia in un liceo parigino, appassionata della sua materia e moglie, madre e figlia equilibrata e affidabile, che subisce una brusca sterzata quando nell'arco di poche settimane il marito, anche lui filosofo (ma del genere trombone), l'abbandona per andare a vivere con una donna molto più giovane dopo 25 anni di matrimonio e la madre, che ha accudito finché ha potuto a domicilio, muore dopo che è stata costretta a farla ricoverare in una casa di riposo. Anche i figli sono ormai fuori casa da tempo, e così si trova nella condizione di dover affrontare una condizione di libertà a cui per tutta la sua vita non era mai stata abituata. A salvarla dalla depressione o da una crisi di identità proprio la materia che ama e insegna, la filosofia: maestra di vita quanto la storia, cui fornisce gli strumenti per interpretarla e darle un senso, nonché ginnastica e terapia della mente, che si pone le domande sull'essere e l'esistere indispensabili per individuare e inquadrare i problemi, pesarli, analizzandone le cause per ipotizzare delle soluzioni percorribili, un'abitudine mentale che Nathalie ha da sempre e le fa vedere le cose con chiarezza, senza chiudersi in sé stessa ma confrontandosi in modo non dogmatico con gli avvenimenti e col prossimo. In questo percorso, che compie da sola salvo la compagnia di Pandora, la vecchia gatta nera e obesa ereditata dalla madre, a cui pure è allergica (e che come lei trova un suo nuovo equilibrio, passando da animale di compagnia domestico alla vita in campagna) e il rapporto intellettuale con Fabien, un suo brillante ex allievo di tendenze anarchiche che si è ritirato a vivere nelle Prealpi del Vercors ad allevare capre e scrivere saggi filosofici, Nathalie si apre a una nuova dimensione della sua esistenza rafforzata, anziché diminuita. La registra accompagna Nathalie tra la scuola dove insegna, la sua casa, quella della madre, quella della famiglia del marito in Bretagna a cui si era affezionata, quella di Fabien e dei suoi amici, sempre attiva e pronta a citare, senza mai diventare fastidiosamente saccente, il pensiero dei filosofi che ama e a discuterlo. Non c'è alcuna gravità e insistenza, nella maniera in cui la giovane e brava regista racconta questo percorso: il suo film ha una sua grazia lieve senza essere mai lezioso; attento senza essere pedante; didascalico quanto può (e vuole) esserlo un film sulla vita di un'insegnate di filosofia che si immedesima nel suo ruolo (e su un'interprete straordinariamente credibile come Isabelle Huppert, mai sufficientemente lodata) però mai saccente. Un film riuscito e più che discreto.
Di solito il cinema francese tende a focalizzarsi più sul parlato che sulle immagini: quando un film è supportato da una sceneggiatura di prim'ordine e da una trama che regge si può assistere a delle tenzoni verbali di rara intensità e vivacità, altrimenti si scade nel chiacchiericcio e nell'incessante e spesso fastidioso parlarsi addosso dei personaggi. Qui la trama è semplice, lineare e robusta: la vita di Nathalie, una ultracinquantenne insegnante di filosofia in un liceo parigino, appassionata della sua materia e moglie, madre e figlia equilibrata e affidabile, che subisce una brusca sterzata quando nell'arco di poche settimane il marito, anche lui filosofo (ma del genere trombone), l'abbandona per andare a vivere con una donna molto più giovane dopo 25 anni di matrimonio e la madre, che ha accudito finché ha potuto a domicilio, muore dopo che è stata costretta a farla ricoverare in una casa di riposo. Anche i figli sono ormai fuori casa da tempo, e così si trova nella condizione di dover affrontare una condizione di libertà a cui per tutta la sua vita non era mai stata abituata. A salvarla dalla depressione o da una crisi di identità proprio la materia che ama e insegna, la filosofia: maestra di vita quanto la storia, cui fornisce gli strumenti per interpretarla e darle un senso, nonché ginnastica e terapia della mente, che si pone le domande sull'essere e l'esistere indispensabili per individuare e inquadrare i problemi, pesarli, analizzandone le cause per ipotizzare delle soluzioni percorribili, un'abitudine mentale che Nathalie ha da sempre e le fa vedere le cose con chiarezza, senza chiudersi in sé stessa ma confrontandosi in modo non dogmatico con gli avvenimenti e col prossimo. In questo percorso, che compie da sola salvo la compagnia di Pandora, la vecchia gatta nera e obesa ereditata dalla madre, a cui pure è allergica (e che come lei trova un suo nuovo equilibrio, passando da animale di compagnia domestico alla vita in campagna) e il rapporto intellettuale con Fabien, un suo brillante ex allievo di tendenze anarchiche che si è ritirato a vivere nelle Prealpi del Vercors ad allevare capre e scrivere saggi filosofici, Nathalie si apre a una nuova dimensione della sua esistenza rafforzata, anziché diminuita. La registra accompagna Nathalie tra la scuola dove insegna, la sua casa, quella della madre, quella della famiglia del marito in Bretagna a cui si era affezionata, quella di Fabien e dei suoi amici, sempre attiva e pronta a citare, senza mai diventare fastidiosamente saccente, il pensiero dei filosofi che ama e a discuterlo. Non c'è alcuna gravità e insistenza, nella maniera in cui la giovane e brava regista racconta questo percorso: il suo film ha una sua grazia lieve senza essere mai lezioso; attento senza essere pedante; didascalico quanto può (e vuole) esserlo un film sulla vita di un'insegnate di filosofia che si immedesima nel suo ruolo (e su un'interprete straordinariamente credibile come Isabelle Huppert, mai sufficientemente lodata) però mai saccente. Un film riuscito e più che discreto.
Nessun commento:
Posta un commento