"Gold - La grande truffa" (Gold) di Stephen Gagan. Con Matthew McConaughey, Edgar Ramirez, Bryce Dallas Howard, Michael Landes, Toby Kebbell , Carey Stoll, Bill Camp, Rachael Taylor e altri. USA 2016 ★★★★+
Nei panni della Black Bear, la casa di produzione statunitense di Gold, citerei per danni Eagle Pictures, i distributori italiani del film, che hanno pensato bene di aggiungere al titolo originale una postilla che è a tutti gli effetti uno spoiler, svelando fin dall'inizio ciò che nel film, che prende spunto da una intricata, incredibile vicenda realmente accaduta sul finire degli anni Ottanta, viene reso esplicito solo nei minuti finali. Quella dei titoli demenziali dei film stranieri, anche quando come nel caso di Gold una traduzione letterale benché non necessaria sarebbe stata più che sufficiente, è una sciagurata costante nostrana che non viene meno nemmeno quando si dimostra del tutto controproducente: un peccato, per un film riuscito, teso, dai ritmi giusti, pieno di svolte imprevedibili e tuttavia aderente alla realtà. Siamo alla fine degli anni Ottanta e Kenny Wells, erede di una gloriosa società mineraria del Nevada che ha preso in mano dopo la morte del suo amato padre, sta vedendo svanire tutte le sue fortune e dirige l'azienda famigliare, assieme a un manipolo di fidati impiegati, usando un bar come ufficio. Nei fumi dell'alcol, risvegliandosi da un sogno, gli torna in mente un geologo conosciuto anni prima, Micheal Acosta, che sembra aver scoperto una vena d'oro nelle montagne del Kalimantan, nel Borneo indonesiano, e lo raggiunge là impegnando gli ori della moglie per pagarsi viaggio e soggiorno e gli propone di finanziarlo nella sua impresa, e alla fine riesce anche a raccogliere il denaro necessario per procedere ai carotaggi e alle analisi. Nella giungla, i due affrontano una serie di peripezie degne di Fitzcarraldo, Wells torna negli USA dopo che nemmeno una grave forma di malaria è riuscito a fermarlo, tutto sembra crollare finché dall'Indonesia giunge la conferma che sì, la vena d'oro è stata trovata. La grande finanza se ne accorge, punta sul cavallo che appare vincente e la compagnia di Wells viene quotata a Wall Street: ma ciò che la muove è pura furia speculativa, mentre le motivazioni di Kenny hanno più a vedere con una rivalsa personale e con un omaggio alla figura del padre, e diverse ancora quelle di Acosta, spirito avventuriero e, a modo suo sovversivo. Non aggiungo altro per non aggiungere spoiler a spoiler, ma si tratta di un gran bel film, verrebbe da dire "come quelli di una volta", ossia l'epoca presa in considerazione, trenta anni fa, in cui convergono avventura, azione, dramma, descrizione accurata di luoghi e spazi diversi a sottolineare i contrasti di cui sono fatti gli USA: il Nevada, l'ambiente rustico della provincia di frontiera che conserva nella memoria i carri degli avventurieri che giungenvano al'Ovest e che, come il padre e i nonni di Kenny, letteralmente" grattavano le montagne con le unghie", e la rutilante New York del lusso smodato. Ottima la regìa e indovinato un cast dove ognuno fa la sua parte al meglio ma uno spicca di gran lunga sugli altri: un Matthew McConaughey che dà letteralmente "corpo" a Kenny, un personaggio sempre al limite del crollo ma che non si arrende mai, forte a modo suo di un idealismo in cui l'oro è metafora di sfida e di ricerca di riscatto, morale più che materiale.
Nei panni della Black Bear, la casa di produzione statunitense di Gold, citerei per danni Eagle Pictures, i distributori italiani del film, che hanno pensato bene di aggiungere al titolo originale una postilla che è a tutti gli effetti uno spoiler, svelando fin dall'inizio ciò che nel film, che prende spunto da una intricata, incredibile vicenda realmente accaduta sul finire degli anni Ottanta, viene reso esplicito solo nei minuti finali. Quella dei titoli demenziali dei film stranieri, anche quando come nel caso di Gold una traduzione letterale benché non necessaria sarebbe stata più che sufficiente, è una sciagurata costante nostrana che non viene meno nemmeno quando si dimostra del tutto controproducente: un peccato, per un film riuscito, teso, dai ritmi giusti, pieno di svolte imprevedibili e tuttavia aderente alla realtà. Siamo alla fine degli anni Ottanta e Kenny Wells, erede di una gloriosa società mineraria del Nevada che ha preso in mano dopo la morte del suo amato padre, sta vedendo svanire tutte le sue fortune e dirige l'azienda famigliare, assieme a un manipolo di fidati impiegati, usando un bar come ufficio. Nei fumi dell'alcol, risvegliandosi da un sogno, gli torna in mente un geologo conosciuto anni prima, Micheal Acosta, che sembra aver scoperto una vena d'oro nelle montagne del Kalimantan, nel Borneo indonesiano, e lo raggiunge là impegnando gli ori della moglie per pagarsi viaggio e soggiorno e gli propone di finanziarlo nella sua impresa, e alla fine riesce anche a raccogliere il denaro necessario per procedere ai carotaggi e alle analisi. Nella giungla, i due affrontano una serie di peripezie degne di Fitzcarraldo, Wells torna negli USA dopo che nemmeno una grave forma di malaria è riuscito a fermarlo, tutto sembra crollare finché dall'Indonesia giunge la conferma che sì, la vena d'oro è stata trovata. La grande finanza se ne accorge, punta sul cavallo che appare vincente e la compagnia di Wells viene quotata a Wall Street: ma ciò che la muove è pura furia speculativa, mentre le motivazioni di Kenny hanno più a vedere con una rivalsa personale e con un omaggio alla figura del padre, e diverse ancora quelle di Acosta, spirito avventuriero e, a modo suo sovversivo. Non aggiungo altro per non aggiungere spoiler a spoiler, ma si tratta di un gran bel film, verrebbe da dire "come quelli di una volta", ossia l'epoca presa in considerazione, trenta anni fa, in cui convergono avventura, azione, dramma, descrizione accurata di luoghi e spazi diversi a sottolineare i contrasti di cui sono fatti gli USA: il Nevada, l'ambiente rustico della provincia di frontiera che conserva nella memoria i carri degli avventurieri che giungenvano al'Ovest e che, come il padre e i nonni di Kenny, letteralmente" grattavano le montagne con le unghie", e la rutilante New York del lusso smodato. Ottima la regìa e indovinato un cast dove ognuno fa la sua parte al meglio ma uno spicca di gran lunga sugli altri: un Matthew McConaughey che dà letteralmente "corpo" a Kenny, un personaggio sempre al limite del crollo ma che non si arrende mai, forte a modo suo di un idealismo in cui l'oro è metafora di sfida e di ricerca di riscatto, morale più che materiale.
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