giovedì 11 maggio 2017

Lear di Edward Bond


"Lear di Edward Bond". Traduzione di Tommaso Spinelli; adattamento e regia di Lisa Ferlazzo Natoli; scene di Luca Brinchi, Fabiana Di Marco, Daniele Spanò; costumi di Gianluca Falaschi; realizzazione immagini a china Francesca Mariani.
Con Elio De Capitani, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Alice Palazzi, Pilar Perez Aspa, Diego Sepe, Franceso Villano. 
Suono di Alessandro Ferroni e Umberto Fiore; disegno video di Maddalena Parise. 
Coproduzione Teatro di Roma/Tealtro dell'Elfo/Lacasadargilla.
Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 7 maggio scorso.
Presentata lo scorso autunno a Roma in una prima versione, con Danilo Negrelli nei panni dl Lear, questa rilettura del 1971 della tragedia di Shakespeare da parte di Edward Bond era stata riproposta in cartellone al Teatro India di Roma nel mese scorso per poi trasferirsi a Milano, questa volta con Elio De Capitani, nel teatro di cui quest'ultimo è presidente, fino a domenica scorsa. Un testo non facile, quello di uno dei maggiori drammaturghi inglesi contemporanei in cui, all'interno di una parabola sui rapporti di forza, pubblici quanto privati, che sfociano nella violenza, viene messa in rilievo soprattutto l'essenza stessa del potere, la sua natura comunque perversa, da qualsiasi parte si origini. Lear, per difenderlo, erige un gigantesco muro, ed elimina chiunque venga soltanto sospettato di sabotarne la costruzione; altrettanto ossessionate dal potere, gli si rivoltano contro le due figlie Bodice e Fontanelle, che si sposano con due suoi acerrimi nemici contro la sua volontà, dando il via a un regime se possibile ancora più dispotico e a guerre e violenze senza fine. Deposto e fuggitivo tra i boschi, Lear viene accolto da un giovane, pacifico popolano, coltivatore e allevatore di maiali e, controvoglia dalla moglie Cordelia (che nella tragedia shakespeariana era la terza figlia di Lear). Quando Lear comincia a ravvedersi sui suoi trascorsi, il ragazzo viene ucciso e il re viene riacciuffato, internato come malato di mente e accecato. A sua volta Cordelia capeggia un'ennesima rivoluzione, beninteso nel nome del popolo, tornando a sua volta ad erigere lo stesso muro per proteggerlo dagli avversari. Adattando il testo alla rappresentazione, Ferlazzo Natoli ha avuto l'accortezza di non fare riferimenti all'attualità,  ché il discorso sulla natura del potere per definizione non ha tempo e per quante giustificazioni o ragioni d'essere esso stesso si dia, ideologiche, religiose o scientifiche, si traduce sempre, inevitabilmente ne ovunque nella sopraffazione di chi lo detiene e lo esercita nei confronti e a discapito di chi lo subisce. La platea di questi ultimi può essere più o meno estesa, i metodi possono essere più o meno disgustosi, ma quel che non cambia è la sua sostanza, indipendentemente in nome di chi o cosa  lo si eserciti e a quale titolo, e la degenerazione nella perversione consequenziale; per sottrarsene non rimane che affidarsi all'immaginazione e, in definitiva, all'arte che mostra i re e i vari tiranni sotto altro nome in tutta la loro nudità. Gli originali 35 personaggi shakespeariani vengono distribuiti fra gli otto attori, dove il solo De Capitani, capace di rendere i lati più contraddittoriamente umani di Lear, si limita a un ruolo: ne deriva una certa difficoltà a seguire la vicenda, già contorta di suo, ma le scritte proiettate su teloni posti in corrispondenza di ognuno alla sia entrata in scena aiutano allo scopo. La scena è spoglia, quasi post-atomica, dall'aspetto di un cantiere in continua costruzione, con strutture metalliche in movimento che la trasformano a seconda delle situazioni; inquietanti i suoni, spesso stridii metallici, di sottofondo e le sciabolate di luce che illuminano a tratti il pubblico come a chiamarlo sul palcoscenico. Bravissimi tutti e applausi convinti, abbondanti e meritati anche alla regista, salita sul palco assieme agli interpreti a fine spettacolo. 

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