"Il diritto di uccidere" (Eye in The Sky) di Gavin Hood. Con Helen Mirren, Aaron Paul, Alan Rickman, Barkhad Abdi, Phoebe Fox, Iain Glen e altri. Gran Bretagna 2015 ★★★★½
Non stupisce che questo film scomodo, inquietante, rigoroso, ben fatto e magnificamente interpretato da un cast tutto all'altezza della situazione trovi spazio per uscire, quasi clandestinamente, in questo ultimo scorcio di estate, nelle more delle ultime riproposizioni della scorsa stagione cinematografica e prima che abbia inizio la prossima, per merito di una benemerita casa distribuzione indipendente, la romana Teodora: infatti affronta con estrema efficacia un tema quanto mai attuale e delicato, che non è soltanto, e principalmente, quello del "diritto di uccidere" all'epoca di una guerra asimmetrica generalizzata condotta attraverso i droni, come suggerisce il discutibile titolo scelto per l'edizione italiana, quanto quello della sorveglianza, ossia dell'intrusione, attraverso l'utilizzo delle moderne tecnologia informatiche, come indica correttamente il titolo in inglese, e dell'essere sotto osservazione da parte di chi la pratica. Un colonnello dell'esercito inglese, Catherine Powell, una grandiosa Helen Mirren, grazie all'utilizzo di un drone comandato da una base nel lontano deserto del Nevada, negli USA, ha individuato in un sobborgo di Nairobi, in Kenia, controllato dalle milizie integraliste somale di Al Shabaab, una pericolosa terrorista di cittadinanza britannica convertita al jihad a cui dà la caccia da anni; con lei altri tre terroristi che sono nella lista nera della Casa Bianca: l'occasione di eliminarli tutti diventa una necessità quando, utilizzando in loco degli altri congegni elettronici camuffati da insetti-spia, scopre che all'interno della casa dove si trovano i terroristi si sta preparando un attentato per mezzo di due kamikaze dotati di giubbotti esplosivi, ma non solo c'è il problema di condurre un'attacco in un Paese alleato, ma uno dei jihadisti ha pure la cittadinanza americana e, per ultimo, proprio nel momento in cui la militare inglese è riuscita a ottenere tutti i permessi per ordinare ai piloti americani del drone di sganciare il missile letale, appena fuori dall'edificio, e nel raggio d'azione dell'ordigno, compare una bambina keniota che monta una bancarella per vendere delle pagnotte: l'ufficiale statunitense che deve schiacciare il bottone chiede una verifica della valutazione dei danni collaterali e da lì la vicenda prosegue in "tempo reale" e in collegamento diretto tra la sala operativa dove si trova la Powell in Inghilterra, gli uffici di Whitehall dove si tiene una riunione tra il suo superiore, il generale Benson interpretato da Alan Rickman, recentemente scomparso, e i consulenti giuridici e poltiici nonché i membri del governo competenti e infine il bunker della base statunitense. Da lì in poi si mette in atto uno scabroso quanto altamente verosimile gioco di scaricabarile in cui per motivi diversamente validi ciascuno evita di prendere una decisione rinviando sistematicamente all'istanza superiore (ma, talvolta, anche a quella inferiore per scaricarsi la coscienza). Non si tratta solamente di fare una scelta operativa in base a un calcolo percentuale delle probabilità e a una valutazione con tale criterio apparentemente obiettivo del danno collaterale, ma anche, se non soprattutto, in considerazione dell'impatto di quest'ultimo sull'opinione pubblica, da cui a loro volta i protagonisti, così dediti a intrufolarsi con i mezzi più moderni forniti dalla tecnologia nell'intimità altrui, sono a loro volta tenuti sotto osservazione, attraverso alcuni media sempre più attrezzati che, come dimostrano wikileaks e il caso Snowden, potrebbero sfuggire al controllo e svelare verità e procedure difficili da difendere politicamente ed eticamente. Temi delicati e connessi, proposti in forma di thriller mozzafiato e coinvolgente: ulteriore merito del film è quello di non dare risposte ma di essere da stimolo per riflessioni che non possono lasciare indifferenti il pubblico. Complimenti.
Non stupisce che questo film scomodo, inquietante, rigoroso, ben fatto e magnificamente interpretato da un cast tutto all'altezza della situazione trovi spazio per uscire, quasi clandestinamente, in questo ultimo scorcio di estate, nelle more delle ultime riproposizioni della scorsa stagione cinematografica e prima che abbia inizio la prossima, per merito di una benemerita casa distribuzione indipendente, la romana Teodora: infatti affronta con estrema efficacia un tema quanto mai attuale e delicato, che non è soltanto, e principalmente, quello del "diritto di uccidere" all'epoca di una guerra asimmetrica generalizzata condotta attraverso i droni, come suggerisce il discutibile titolo scelto per l'edizione italiana, quanto quello della sorveglianza, ossia dell'intrusione, attraverso l'utilizzo delle moderne tecnologia informatiche, come indica correttamente il titolo in inglese, e dell'essere sotto osservazione da parte di chi la pratica. Un colonnello dell'esercito inglese, Catherine Powell, una grandiosa Helen Mirren, grazie all'utilizzo di un drone comandato da una base nel lontano deserto del Nevada, negli USA, ha individuato in un sobborgo di Nairobi, in Kenia, controllato dalle milizie integraliste somale di Al Shabaab, una pericolosa terrorista di cittadinanza britannica convertita al jihad a cui dà la caccia da anni; con lei altri tre terroristi che sono nella lista nera della Casa Bianca: l'occasione di eliminarli tutti diventa una necessità quando, utilizzando in loco degli altri congegni elettronici camuffati da insetti-spia, scopre che all'interno della casa dove si trovano i terroristi si sta preparando un attentato per mezzo di due kamikaze dotati di giubbotti esplosivi, ma non solo c'è il problema di condurre un'attacco in un Paese alleato, ma uno dei jihadisti ha pure la cittadinanza americana e, per ultimo, proprio nel momento in cui la militare inglese è riuscita a ottenere tutti i permessi per ordinare ai piloti americani del drone di sganciare il missile letale, appena fuori dall'edificio, e nel raggio d'azione dell'ordigno, compare una bambina keniota che monta una bancarella per vendere delle pagnotte: l'ufficiale statunitense che deve schiacciare il bottone chiede una verifica della valutazione dei danni collaterali e da lì la vicenda prosegue in "tempo reale" e in collegamento diretto tra la sala operativa dove si trova la Powell in Inghilterra, gli uffici di Whitehall dove si tiene una riunione tra il suo superiore, il generale Benson interpretato da Alan Rickman, recentemente scomparso, e i consulenti giuridici e poltiici nonché i membri del governo competenti e infine il bunker della base statunitense. Da lì in poi si mette in atto uno scabroso quanto altamente verosimile gioco di scaricabarile in cui per motivi diversamente validi ciascuno evita di prendere una decisione rinviando sistematicamente all'istanza superiore (ma, talvolta, anche a quella inferiore per scaricarsi la coscienza). Non si tratta solamente di fare una scelta operativa in base a un calcolo percentuale delle probabilità e a una valutazione con tale criterio apparentemente obiettivo del danno collaterale, ma anche, se non soprattutto, in considerazione dell'impatto di quest'ultimo sull'opinione pubblica, da cui a loro volta i protagonisti, così dediti a intrufolarsi con i mezzi più moderni forniti dalla tecnologia nell'intimità altrui, sono a loro volta tenuti sotto osservazione, attraverso alcuni media sempre più attrezzati che, come dimostrano wikileaks e il caso Snowden, potrebbero sfuggire al controllo e svelare verità e procedure difficili da difendere politicamente ed eticamente. Temi delicati e connessi, proposti in forma di thriller mozzafiato e coinvolgente: ulteriore merito del film è quello di non dare risposte ma di essere da stimolo per riflessioni che non possono lasciare indifferenti il pubblico. Complimenti.
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