martedì 23 agosto 2016

In viaggio con me stesso


Due giorni fa, tornando verso casa, in Friuli, dopo una settimana a zonzo per sfuggire alla sagra ferragostana che si celebra annualmente nel borgo in cui abito, in macchina sotto una sequenza di acquazzoni in serie che mi inseguivano da Salisburgo fino a San Daniele, a tratti con caratteristiche monsoniche, riflettevo ancora una volta sul senso di serenità, energia, sicurezza che mi pervade quando sono in viaggio, anche nelle condizioni più avverse. Non che dei temporali estivi siano situazioni estreme e pericolose: ne ho vissute di altre ben più preoccupanti, ma non è comunque gradevole percorrere trecento chilometri facendo aquaplaning, per quanto su una strada che conosco a memoria. Sballottato di qui e di là da scrosci d'acqua a secchiate e folate di vento, tra nuvole così basse da costringermi ad accendere i fendinebbia, mi veniva da sorridere al pensiero di quanto mi fossi sentito bene e a mio agio in tutti i momenti di questa mia breve, ma pur sempre intensa e variegata escursione accuratamente "contromano" proprio nei giorni di massimo "carnaio" dell'anno, quelli che culminano col pranzo famigliare di Ferragosto, magari sotto forma di pic-nic, o con la tradizionale abbuffata di lasagne o frittata di maccheroni in spiaggia. Una rilassante visita amicale di un paio di giorni lungo la Riviera del Brenta; trasferimento a Monaco di Baviera per un affaruzzo, con tanto di allegra serata in compagnia di me stesso, quindi ottima, in un tipico Biergarten; spostamento in Austria facendo la prima Bier-Pause sulla piazza principale di Braunau sull'Inn, la città che dette i natali (quasi per caso, dato che la sua famiglia si trasferì poco dopo a Linz) ad Adolf Hitler, e che ancora ne porta il fardello, come se ne avesse la colpa, e che invece possiede un gradevolissimo centro storico medievale oltre ad essere abitata da persone affabili; poi ospite come sempre in famiglia (al momento, di fatto, composta da un mio cugino di primo grado, mio coetaneo, e dai suoi figli) in un suggestivo villaggio in mezzo ai boschi nel cuore dell'Innviertel; nei quattro giorni successivi, due puntate a Salisburgo, una a trovare una mia cara cugina in trasferta anche lei, ma da Vienna; un'altra da un'amica; ancora un pranzo con un'altra amica d'infanzia; alcune puntate a Mattighofen, dove era nata ed era tornata ad abitare mia madre, e dove ancora ho parenti, amici e conoscenti. Socializzando, quindi, per quanto venga reputato un orso, ma pur sempre muovendomi da solo. Un'attitudine innata, rafforzata dal fatto di essere figlio unico ma non viziato, e dall'indole, che mi hanno indotto fin da piccolo a cavarmela e organizzarmi per conto mio: rimango interdetto quando vedo genitori che portano i figli a scuola fino all'adolescenza inoltrata, magari in macchina, mentre a sei anni ci andavo (e pure buona parte dei miei compagni) da solo a piedi o coi mezzi pubblici e, senz'altro una volta compiuti i dodici, mi spostavo da Milano all'Austria o al Friuli in treno e senza accompagnamento. Fin da allora non ho mai più trascorso una vacanza estiva con i miei (qualche viaggio vero e proprio, di tipo culturale, sì) e dai 14 anni in su ho sempre avuto in tasca la tessera degli ostelli della gioventù (austriaca: me la faceva ogni anno mio nonno materno) e in estate prendevo quella dell'Inter-Rail (fu all'epoca l'equivalente dell'attuale Erasmus, con la differenza che durava un mese per volta e si faceva fra stazioni, treni, autostop strategici e ostelli) come tanti altri della mia generazione, che incontravo in giro per un'Europa che, ancora divisa da confini, avevo già girato in gran parte prima di compiere i 18 anni (età per prendere la patente e fare il servizio militare di leva: maggiorenni lo si diventava a 21) e percepivo come il mio ambiente naturale e, quella del "me in viaggio", la mia dimensione più autentica e in cui mi sentivo più a mio agio. In questo senso, in mezzo secolo non è cambiato nulla, e l'approccio è sempre rimasto lo stesso: il viaggio inteso non tanto come avventura ma come modalità del mio essere, una condizione naturale, che mi dà sicurezza. E che mi riconduce "al punto". Una certezza che non mi ha mai abbandonato, una condizione a cui so di poter fare sempre ritorno, "centrandomi" su me stesso, e a cui sono ricorso quasi in modo terapeutico soprattutto nei momenti decisivi, o di maggiore sbalestramento della mia vita, e non sono stati pochi. In un periodo giovanile in cui soffrivo ricorrentemente di attacchi di panico (esperienza orrenda), allora "a mia insaputa", questi sparivano d'incanto non appena montassi su un mezzo di locomozione che mi portasse altrove da Milano, fosse solo a Genova per vedere il mare: in quel periodo ho battuto a tappeto l'intera penisola iberica e poi il resto dell'Europa che mi mancava, nonché l'Italia, in compagnia e da solo; così ho fatto in tutte le occasioni in cui stavo per esplodere (o implodere), avevo dei dubbi, dovevo fare delle scelte importanti. L'unica volta in cui malauguratamente ho rinunciato è stato prima di sposarmi, e infatti si dimostrò presto un'idea assai infelice: se avessi riflettuto prima sul perché non avessi mai convissuto prima in vita mia con qualcuno, e perfino da bambino soffrivo nell'avere i miei genitori intorno, non sentendomi mai a mio agio nel fare in loro presenza le cose, pur normalissime, che mi piacevano (a cominciare dal leggere, studiare, scrivere, ascoltare musica o suonare), e mi fossi "ascoltato", come mi capita sempre, appunto, quando viaggio, con ogni probabilità non avrei commesso quell'errore. Che si tradusse, cinque anni dopo, in sofferenza, al momento della inevitabile separazione, durante l'annus horribilis che fu per me il 1998, la prima metà del quale segnò, poco dopo, anche la morte di mia madre con quel che ne conseguì. Quest'ultimo avvenimento mi lasciò (amici e parenti a parte) del tutto da solo e ne uscii, guarda caso, ancora una volta viaggiando, su e giù ancora tra Austria e Friuli a sistemare le faccende in sospeso prendendole letteralmente in mano, e con ciò anche un me stesso decisamente strabaltato e fuori fase, e si concluse, ricordo, con due settimane portoghesi, con base a Lisbona (ed era un ritorno) e, successivamente, con un mese in Argentina (altro ritorno, e sempre rigorosamente de per mi). Il che non significa che mi decida a mettermi in movimento soltanto in "stato di necessità", quando sento l'inquietudine salire o vengo preso da dubbi di varia natura: lo faccio anche quando sono particolarmente contento e rilassato, e pure quando sto benissimo a casa mia, dove pure godo, per lo più, della mia beata solitudine a meno che non sia per mia scelta, e l'ho fatto ancora alcuni mesi fa andando in Sudamerica e la settimana scorsa per questo breve giro, e come prevedo di farlo la prossima tornando ancora una volta nella mia amata Dalmazia. Non disprezzo fare le vacanze, e talvolta condividere un viaggio vero e proprio, con qualcuno (che dev'essermi molto caro), ma la pace e pienezza che provo quando viaggio con me stesso è una  sensazione impagabile, di cui continuo a sentire il bisogno per sapere chi sono.

1 commento:

  1. Ieri sera ho visto il film The Lobster: per quanto straniante in alcuni passaggi, potresti averne scritto tu trama e sceneggiatura, a leggere quanto dichiari.
    Ti è mai capitato, ad esempio, di sentirti "cacciato" dal popolo in fila per due?
    Non sarà per sfuggire a queste "cacce" al singolo, che hai sviluppato la passione per il randagismo che ti fa sentire tanto bene?

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