"Per amor vostro di Giuseppe M. Gaudino. Con Valeria Golino, Massimiliano Gallo, Adriano Giannini, Elisabetta Mirra, Edoardo Creò, Daria D'Isanto, Salvatore Cantalupo, Rosaria Di Cicco. Italia 2015 ★+
Ottime le intenzioni del regista (che torna al cinema con un lungometraggio a quasi vent'anni di distanza dalla sua opera prima, Giro di lune tra terra e mare, del 1997, ambientata a Pozzuoli, suo luogo di nascita) che, mettendo in scena in una maniera che deve molto al teatro (sperimentale) le contraddizioni di una donna "che è cosa da niente", racconta simbolicamente quelle della città in cui si svolge la vicenda (Napoli). Originale il modo in cui lo fa e l'impasto con la narrazione a voce (e musica) fuori campo che talvolta l'accompagna e la fusione con elementi della classica "sceneggiata"; suggestivo il bianco e nero delle immagini che conferisce un tocco "neorealista", interrotto da squarci di colore in alcuni momenti "topici": si, va beh, però che palle, se l'effetto è guardare l'orologio dopo solo una mezz'ora dall'inizio della proiezione. Tanta buona volontà e un dispiego di energie e di mezzi imponente per un risultato contraddittorio quanto Anna (il personaggio principale) e la realtà partenopea. Tutto il film è impostato su Valeria Golino, la cui interpretazione le è valsa la Coppa Volpi come migliore attrice al recente Festival di Venezia, il che la dice lunga sui criteri utilizzati dalla giuria di quest'ultima edizione, che tutto è tranne che un'attrice, perché non è mai lei ad adattarsi al personaggio che interpreta, ma è quest'ultimo a diventare, invariabilmente, Valeria Golino, con i suoi tic, le sue movenze nevrotiche ed esagerate, la sua voce urticante (a nulla temo le servirebbe, dopo 20 e passa anni di carriera, un corso di dizione, nemmeno in napoletano): il confronto con la sua più illustre concittadina, Sofia Loren, peraltro infinitamente più fascinosa di lei ancora a 80 e rotti anni, è impietoso in tutti i sensi, e in effetti Anna, nella sua irresolutezza, nel non voler vedere, è irritante quanto la Golino che le presta il volto e il corpo. Finita in un carcere minorile per espiare una colpa del fratello mezzo scemo, Anna Ruotolo perde le sfrontatezza e risolutezza che aveva da ragazzina in nome di un "tirare a campare" assieme ai tre figli, di cui uno sordomuto, che la porta a diventare cieca sul come il marito (stronzo e violento di suo) faccia a procurarsi il danaro senza lavorare: è un usuraio e contribuisce a mandare in rovina gente affetta dal vizio del gioco. Lei sa, perché tutto il circondario glielo fa sapere e la tratta con disprezzo, ma fa finta di non saperlo. Il suo "riscatto" (apparente) comincia quando viene assunta come "suggeritrice" in una televisione, dove viene apprezzata dai colleghi e anche dagli attori di una telenovela che viene girata in città, tipo "Un posto al sole", e prende corpo, assieme alla sicurezza in sé stessa, quando l'attore protagonista, un bietolone con lo sguardo spermatico (il bravo Adriano Giannini, figlio di cotanto padre), fa mostra di invaghirsi di lei: peccato che sia in combutta, o semplicemente in debito, non si capisce bene, col marito di Anna, che lei ha appena denunciato alla polizia. Mi fermo qui, perché la sceneggiata finisce con un tentativo di suicidio che si risolve felicemente in un fallimento, con tanto di esplosione di colore e soprattutto coi titoli di coda che scorrono per altri cinque interminabili minuti (ho fatto in tempo ad andare in bagno e uscirne che fluivano ancora): è finita, anche questa è andata. Quanto spreco di talento, anche da parte del regista, che sicuramente conosce il fatto suo, ma finisce per diventare masturbatorio allo sfinimento e menarla ossessivamente con le sue fantasie e fissazioni. Ultima notazione, tutti gli altri interpreti indistintamente, a cominciare dal marito di Anna, interpretato da Massimilano Gallo, al figlio sordomuto, sono più bravi ed empatici della Golino. Per amor vostro, evitatelo: io vi ho avvertito.
Ottime le intenzioni del regista (che torna al cinema con un lungometraggio a quasi vent'anni di distanza dalla sua opera prima, Giro di lune tra terra e mare, del 1997, ambientata a Pozzuoli, suo luogo di nascita) che, mettendo in scena in una maniera che deve molto al teatro (sperimentale) le contraddizioni di una donna "che è cosa da niente", racconta simbolicamente quelle della città in cui si svolge la vicenda (Napoli). Originale il modo in cui lo fa e l'impasto con la narrazione a voce (e musica) fuori campo che talvolta l'accompagna e la fusione con elementi della classica "sceneggiata"; suggestivo il bianco e nero delle immagini che conferisce un tocco "neorealista", interrotto da squarci di colore in alcuni momenti "topici": si, va beh, però che palle, se l'effetto è guardare l'orologio dopo solo una mezz'ora dall'inizio della proiezione. Tanta buona volontà e un dispiego di energie e di mezzi imponente per un risultato contraddittorio quanto Anna (il personaggio principale) e la realtà partenopea. Tutto il film è impostato su Valeria Golino, la cui interpretazione le è valsa la Coppa Volpi come migliore attrice al recente Festival di Venezia, il che la dice lunga sui criteri utilizzati dalla giuria di quest'ultima edizione, che tutto è tranne che un'attrice, perché non è mai lei ad adattarsi al personaggio che interpreta, ma è quest'ultimo a diventare, invariabilmente, Valeria Golino, con i suoi tic, le sue movenze nevrotiche ed esagerate, la sua voce urticante (a nulla temo le servirebbe, dopo 20 e passa anni di carriera, un corso di dizione, nemmeno in napoletano): il confronto con la sua più illustre concittadina, Sofia Loren, peraltro infinitamente più fascinosa di lei ancora a 80 e rotti anni, è impietoso in tutti i sensi, e in effetti Anna, nella sua irresolutezza, nel non voler vedere, è irritante quanto la Golino che le presta il volto e il corpo. Finita in un carcere minorile per espiare una colpa del fratello mezzo scemo, Anna Ruotolo perde le sfrontatezza e risolutezza che aveva da ragazzina in nome di un "tirare a campare" assieme ai tre figli, di cui uno sordomuto, che la porta a diventare cieca sul come il marito (stronzo e violento di suo) faccia a procurarsi il danaro senza lavorare: è un usuraio e contribuisce a mandare in rovina gente affetta dal vizio del gioco. Lei sa, perché tutto il circondario glielo fa sapere e la tratta con disprezzo, ma fa finta di non saperlo. Il suo "riscatto" (apparente) comincia quando viene assunta come "suggeritrice" in una televisione, dove viene apprezzata dai colleghi e anche dagli attori di una telenovela che viene girata in città, tipo "Un posto al sole", e prende corpo, assieme alla sicurezza in sé stessa, quando l'attore protagonista, un bietolone con lo sguardo spermatico (il bravo Adriano Giannini, figlio di cotanto padre), fa mostra di invaghirsi di lei: peccato che sia in combutta, o semplicemente in debito, non si capisce bene, col marito di Anna, che lei ha appena denunciato alla polizia. Mi fermo qui, perché la sceneggiata finisce con un tentativo di suicidio che si risolve felicemente in un fallimento, con tanto di esplosione di colore e soprattutto coi titoli di coda che scorrono per altri cinque interminabili minuti (ho fatto in tempo ad andare in bagno e uscirne che fluivano ancora): è finita, anche questa è andata. Quanto spreco di talento, anche da parte del regista, che sicuramente conosce il fatto suo, ma finisce per diventare masturbatorio allo sfinimento e menarla ossessivamente con le sue fantasie e fissazioni. Ultima notazione, tutti gli altri interpreti indistintamente, a cominciare dal marito di Anna, interpretato da Massimilano Gallo, al figlio sordomuto, sono più bravi ed empatici della Golino. Per amor vostro, evitatelo: io vi ho avvertito.
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