"In un posto bellissimo" di Giorgia Cecere. Con Isabella Ragonese, Alessio Boni, Paolo Sassanelli, Piera Degli Esposti, Michele Griffo, Faisal Abbaoui, Tatiana Lepre, Teresa Acerbis. Italia 2015 ★
Tanto era stato convincente "Il primo incarico", film d'esordio, del 2011, di Giorgia Cecere, quanto non lo è questa sua seconda prova, che pure si avvale, come la prima, dell'ottima interpretazione di Isabella Ragonese, ma non basta una brava attrice, anzi due (Piera Degli Esposti in una piccola parte) e un bravo attore (Paolo Sassanelli nel ruolo del timido istruttore di scuola guida) per fare un buon film. Certamente non contribuisce l'espressività da tubero di Alessio Boni, nel ruolo di Andrea, il fedifrago (ma solo un pochino, ché si tratta di una storia passata e scoperta grazie a un'accenno della suocera) marito di Lucia, una donna timida, concentrata sul suo matrimonio, il figlio adolescente e il negozio di fiori che gestisce assieme a una socia nel centro di Asti, delegando tutto il resto al coniuge. In sostanza il film racconta la progressiva presa di coscienza, che sembra prendere piede solo dopo l'incontro di Lucia con Faysal, un maghrebino che vende paccottiglia nei pressi del suo negozio. In sostanza, in un crescendo di spigolature il cui significato viene lasciato in buona parte alla più che volonterosa immaginazione dello spettatore, vengono alla luce piccoli traumi del passato e del presente che hanno chiuso Lucia in un mondo all'apparenza perfetto, e di cui lei prende man mano coscienza liberandosi, in qualche modo, delle catene che lei stessa si è stretta addosso. Peccato che il tutto avvenga con una lentezza esasperante e con alcune svolte del tutto incongruenti: Tommaso, il figlio, onnipresente nelle prime inquadrature, in cui la madre si rivede allo specchio, sparisce dal film fino al quarto d'ora finale; non si capiscono i rapporti di Lucia né coi suoi genitori né con la madre di un'amica di gioventù che pare di capire sia scomparsa in un incidente; non mancano luoghi comuni come l'immancabile scena in discoteca onnipresente in ogni film italiota, e la Cecere non ci fa mancare nemmeno l'imbarazzante esibizione della povera Ragonese in un penoso "karaoke" nel corso di una serata "di vita" e di tentato recupero assieme al marito Andrea, che nell'occasione oltre all'espressione da tubero riesce ad assumere pure quella del carciofo. Una serie di passaggi privi di senso e di una logica fino al colpo di scena finale in cui Lucia, come fulminata sulla via di Damasco, segue una sconosciuta fino su un autobus che si perde nella notte nebbiosa perché ha qualcosa da dirle. Successivamente, in un'altra stagione, torna ad Asti e si capisce che è andata a vivere in una città diversa, forse con la misteriosa donna del bus, magari perché si era resa conto di essere lesbica, e che ha mollato il negozio, il marito e i figli. Ma chi può dirlo? Di certo, dopo 20' di film si comincia a guardare con ansia l'orologio e i 102' di durata sembrano tre ore. A meno che non siate masochisti, un trituramento di coglioni da manuale.
Tanto era stato convincente "Il primo incarico", film d'esordio, del 2011, di Giorgia Cecere, quanto non lo è questa sua seconda prova, che pure si avvale, come la prima, dell'ottima interpretazione di Isabella Ragonese, ma non basta una brava attrice, anzi due (Piera Degli Esposti in una piccola parte) e un bravo attore (Paolo Sassanelli nel ruolo del timido istruttore di scuola guida) per fare un buon film. Certamente non contribuisce l'espressività da tubero di Alessio Boni, nel ruolo di Andrea, il fedifrago (ma solo un pochino, ché si tratta di una storia passata e scoperta grazie a un'accenno della suocera) marito di Lucia, una donna timida, concentrata sul suo matrimonio, il figlio adolescente e il negozio di fiori che gestisce assieme a una socia nel centro di Asti, delegando tutto il resto al coniuge. In sostanza il film racconta la progressiva presa di coscienza, che sembra prendere piede solo dopo l'incontro di Lucia con Faysal, un maghrebino che vende paccottiglia nei pressi del suo negozio. In sostanza, in un crescendo di spigolature il cui significato viene lasciato in buona parte alla più che volonterosa immaginazione dello spettatore, vengono alla luce piccoli traumi del passato e del presente che hanno chiuso Lucia in un mondo all'apparenza perfetto, e di cui lei prende man mano coscienza liberandosi, in qualche modo, delle catene che lei stessa si è stretta addosso. Peccato che il tutto avvenga con una lentezza esasperante e con alcune svolte del tutto incongruenti: Tommaso, il figlio, onnipresente nelle prime inquadrature, in cui la madre si rivede allo specchio, sparisce dal film fino al quarto d'ora finale; non si capiscono i rapporti di Lucia né coi suoi genitori né con la madre di un'amica di gioventù che pare di capire sia scomparsa in un incidente; non mancano luoghi comuni come l'immancabile scena in discoteca onnipresente in ogni film italiota, e la Cecere non ci fa mancare nemmeno l'imbarazzante esibizione della povera Ragonese in un penoso "karaoke" nel corso di una serata "di vita" e di tentato recupero assieme al marito Andrea, che nell'occasione oltre all'espressione da tubero riesce ad assumere pure quella del carciofo. Una serie di passaggi privi di senso e di una logica fino al colpo di scena finale in cui Lucia, come fulminata sulla via di Damasco, segue una sconosciuta fino su un autobus che si perde nella notte nebbiosa perché ha qualcosa da dirle. Successivamente, in un'altra stagione, torna ad Asti e si capisce che è andata a vivere in una città diversa, forse con la misteriosa donna del bus, magari perché si era resa conto di essere lesbica, e che ha mollato il negozio, il marito e i figli. Ma chi può dirlo? Di certo, dopo 20' di film si comincia a guardare con ansia l'orologio e i 102' di durata sembrano tre ore. A meno che non siate masochisti, un trituramento di coglioni da manuale.
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