"Sicario" di Denis Villeneuve. Con Emily Blunt, Benico Del Toro, Josh Brolin, John Bernthal, Jeffrey Donovan e altri. USA 2015 ★★★★-
Una conferma di questo regista franco-canadese che, dopo La donna che canta e soprattutto Prisoners (mentre non è ancora uscito in Italia Enemy), non è più da considerarsi una promessa: sicuro dietro la macchina da presa e abile nel raccontare una storia tenendo costante la tensione e l'attenzione dello spettatore oltre che bravo a scegliersi interpreti adatti al ruolo, ha la particolarità di avvalersi di volta in volta di un genere cinematografico, rimanendo fedele ai relativi canoni, per raccontare anche e soprattutto i lati nascosti e non confessati di una società o frammento di essa, e di riuscirci sempre in maniera convincente senza essere mai pedante e didascalico. In questo caso utilizza il film d'azione, e in particolare il filone "lotta al narcotraffico" (e viene in mente innanzitutto il classico Traffic; ma anche il recente La regola del gioco, che non vale Sicario), per fare affiorare la zona d'ombra e il "non detto" e lo fa attraverso il disagio e i conflitti di quei suoi personaggi, a loro volta complessi e contraddittori, che vi vengono in contatto. Qui è il caso di Kate, giovane e idealista agente del FBI, che dopo un'azione in cui per caso vengono scoperti una trentina di cadaveri vittime della guerra tra cartelli della droga (siamo al confine fra USA e Messico), interpretata dalla brava Emily Blunt, viene arruolata dalla CIA e usata come esca in una serie di azioni "coperte" oltre frontiera, che fanno parte di una strategia inconfessabile, ossia di usare mezzi profondamente illegali non tanto per combattere il narcotraffico (cosa che dalle stesse alte sfere di un Paese che ha il maggior numero di consumatori e tossicodipendenti al mondo è ritenuta inutile e impossibile), ma almeno per controllarlo riducendo quanto più possibile il danno, anche avvalendosi, come nel caso del film, di un sicario, un agente esterno: nella fattispecie un ex pubblico ministero colombiano a cui i "cartelli" hanno sterminato la famiglia e la cui motivazione, più che il denaro, è la vendetta: personaggio interpretato da un tenebroso quanto efficace Benicio Del Toro, perfetto nel ruolo quasi quanto Josh Brolin, capo delle operazioni e cinico agente della CIA che gira in infradito, a mio giudizio il migliore di un cast comunque all'altezza. Rimangono a lungo impresse le riprese dei paesaggi desertici ai confini tra Arizona e Sonora nonché Texas e Chihuaha, e decisamente inquietanti quelle delle aree urbane di Nogales e Ciudad Juarez, che rendono perfettamente l'idea di quel che da anni succede quotidianamente da quelle parti: quindi a una vicenda raccontata in modo fluido e comprensibile nonostante la sua complessità, si aggiungono un'ottima fotografia e un'adeguata la colonna sonora, senza bisogno di strafare.
Una conferma di questo regista franco-canadese che, dopo La donna che canta e soprattutto Prisoners (mentre non è ancora uscito in Italia Enemy), non è più da considerarsi una promessa: sicuro dietro la macchina da presa e abile nel raccontare una storia tenendo costante la tensione e l'attenzione dello spettatore oltre che bravo a scegliersi interpreti adatti al ruolo, ha la particolarità di avvalersi di volta in volta di un genere cinematografico, rimanendo fedele ai relativi canoni, per raccontare anche e soprattutto i lati nascosti e non confessati di una società o frammento di essa, e di riuscirci sempre in maniera convincente senza essere mai pedante e didascalico. In questo caso utilizza il film d'azione, e in particolare il filone "lotta al narcotraffico" (e viene in mente innanzitutto il classico Traffic; ma anche il recente La regola del gioco, che non vale Sicario), per fare affiorare la zona d'ombra e il "non detto" e lo fa attraverso il disagio e i conflitti di quei suoi personaggi, a loro volta complessi e contraddittori, che vi vengono in contatto. Qui è il caso di Kate, giovane e idealista agente del FBI, che dopo un'azione in cui per caso vengono scoperti una trentina di cadaveri vittime della guerra tra cartelli della droga (siamo al confine fra USA e Messico), interpretata dalla brava Emily Blunt, viene arruolata dalla CIA e usata come esca in una serie di azioni "coperte" oltre frontiera, che fanno parte di una strategia inconfessabile, ossia di usare mezzi profondamente illegali non tanto per combattere il narcotraffico (cosa che dalle stesse alte sfere di un Paese che ha il maggior numero di consumatori e tossicodipendenti al mondo è ritenuta inutile e impossibile), ma almeno per controllarlo riducendo quanto più possibile il danno, anche avvalendosi, come nel caso del film, di un sicario, un agente esterno: nella fattispecie un ex pubblico ministero colombiano a cui i "cartelli" hanno sterminato la famiglia e la cui motivazione, più che il denaro, è la vendetta: personaggio interpretato da un tenebroso quanto efficace Benicio Del Toro, perfetto nel ruolo quasi quanto Josh Brolin, capo delle operazioni e cinico agente della CIA che gira in infradito, a mio giudizio il migliore di un cast comunque all'altezza. Rimangono a lungo impresse le riprese dei paesaggi desertici ai confini tra Arizona e Sonora nonché Texas e Chihuaha, e decisamente inquietanti quelle delle aree urbane di Nogales e Ciudad Juarez, che rendono perfettamente l'idea di quel che da anni succede quotidianamente da quelle parti: quindi a una vicenda raccontata in modo fluido e comprensibile nonostante la sua complessità, si aggiungono un'ottima fotografia e un'adeguata la colonna sonora, senza bisogno di strafare.
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