"Sangue del mio sangue" di Marco Bellocchio. Con Pier Giorgio Bellocchio, Roberto Herlitzka, Lidiya Liberman, Fausto Russo Alesi, Alberto Cracco, Toni Bertorelli, Bruno Cariello, Elena e Alberto Bellocchio, Alba Rohrwacher, Federica Fracassi, Ivan Franek, Patrizia Bettini, Sebastiano Filocamo, Filippo Timi. Italia 2015 ★★★★½
Da "bellocchiano" storico, ammetto di non essere obiettivo nel giudicare un film del regista con cui sento di condividere più che con altri non solo pressoché in toto il modo di pensare, ma anche sensibilità, gusti e alcuni vezzi, che me lo rendono famigliare nel senso più proprio del termine. Per quanto "Sangue del mio sangue" non sia un capolavoro cinematografico, né aspiri ad esserlo, è un film suggestivo, girato da un maestro, a tratti potente, a tratti lieve ed esilarante, che si inserisce nel filone più strettamente "bobbiese", dal luogo di nascita di Marco Bellocchio, la bella cittadina del Piacentino dove ogni estate tiene il laboratorio per giovani "Fare cinema" e cura il Bobbio Film Festival, a cui appartengono Vacanze in Val Trebbia, Sorelle e Sorelle Mai nonché lo stesso I pugni in tasca, a mio avviso una pietra miliare, girato in parte, come i precedenti, nella casa della madre dell'autore. Due vicende si intrecciano a distanza di 400 anni nello stesso luogo, le ex carceri di Bobbio, già convento di clausura, che appartenevano al monastero di San Colombano, e lo stesso fiume, il Trebbia: quelle di suor Benedetta, murata viva perché la si voleva far passare per posseduta dal demonio per compiacere la famiglia di un soldato di ventura, appartenente alla potente famiglia Mai, il cui fratello prete era stato sedotto dalla ragazza e fu poi sepolto in terra sconsacrata, e quella attuale di un maggiorente del paese, un conte chiamato "il Vampiro" (un grandissimo Roberto Herlitzka), che ha reso lo stesso luogo (l'ex convento di clausura) la sua dimora abusiva dove vive in incognito in una sorta di autoreclusione volontaria, la cui quieta esistenza, come quella degli altri paesani di cui conosce ogni vizio e che consiste in un andazzo di piccoli traffici e imbrogli, viene turbato dall'arrivo di un altro Mai, un sedicente ispettore della Regione, che vorrebbe vendere l'immobile a un ricco musicista russo a scopo speculativo. E' la globalizzazione (bellezza!) che giunge anche a Bobbio (ma Bobbio pur nel suo piccolo è il mondo) e minaccia il quieto vivere, fatto di traffici e favori ma tutto sommato più umano della logica mercatista a oltranza che tutto appiattisce: un mondo che ormai è stato travolto. Il conte-vampiro smaschera l'impostore, ma nulla può contro il "progresso", così come l'ex soldato di ventura, diventato cardinale, nulla può contro la donna, una Benedetta giovane e luminosa, uscita più bella di prima da una "muratura" durata decenni. Le due vicende sono intrecciate per più di un motivo, a cominciare dagli attori, fra cui due figli del regista, Pier Giorgio ed Elena e il fratello Alberto (pure gli altri sono, sostanzialmente, di famiglia), ma anche per altri temi che ricorrono nei film di Bellocchio: la famiglia, il potere, la religione, il ruolo della donna, la colpa, la corruzione, benché vengano raccontate in maniera pressoché opposta, passando dalla tensione e da una cupezza quasi caravaggesca della storia secentesca alle scherzosa ironia sulla grottesca e scoraggiante dimensione odierna. Tratto comune, e perdurante nella produzione di Bellocchio, la vena di una certa follia tipicamente bobbiese. E ben venga la follia e perfino la truffa, ma soprattutto la fantasia e la libertà d'espressione, piuttosto che il rimbecillimento e l'annichilimento globalizzati.
Da "bellocchiano" storico, ammetto di non essere obiettivo nel giudicare un film del regista con cui sento di condividere più che con altri non solo pressoché in toto il modo di pensare, ma anche sensibilità, gusti e alcuni vezzi, che me lo rendono famigliare nel senso più proprio del termine. Per quanto "Sangue del mio sangue" non sia un capolavoro cinematografico, né aspiri ad esserlo, è un film suggestivo, girato da un maestro, a tratti potente, a tratti lieve ed esilarante, che si inserisce nel filone più strettamente "bobbiese", dal luogo di nascita di Marco Bellocchio, la bella cittadina del Piacentino dove ogni estate tiene il laboratorio per giovani "Fare cinema" e cura il Bobbio Film Festival, a cui appartengono Vacanze in Val Trebbia, Sorelle e Sorelle Mai nonché lo stesso I pugni in tasca, a mio avviso una pietra miliare, girato in parte, come i precedenti, nella casa della madre dell'autore. Due vicende si intrecciano a distanza di 400 anni nello stesso luogo, le ex carceri di Bobbio, già convento di clausura, che appartenevano al monastero di San Colombano, e lo stesso fiume, il Trebbia: quelle di suor Benedetta, murata viva perché la si voleva far passare per posseduta dal demonio per compiacere la famiglia di un soldato di ventura, appartenente alla potente famiglia Mai, il cui fratello prete era stato sedotto dalla ragazza e fu poi sepolto in terra sconsacrata, e quella attuale di un maggiorente del paese, un conte chiamato "il Vampiro" (un grandissimo Roberto Herlitzka), che ha reso lo stesso luogo (l'ex convento di clausura) la sua dimora abusiva dove vive in incognito in una sorta di autoreclusione volontaria, la cui quieta esistenza, come quella degli altri paesani di cui conosce ogni vizio e che consiste in un andazzo di piccoli traffici e imbrogli, viene turbato dall'arrivo di un altro Mai, un sedicente ispettore della Regione, che vorrebbe vendere l'immobile a un ricco musicista russo a scopo speculativo. E' la globalizzazione (bellezza!) che giunge anche a Bobbio (ma Bobbio pur nel suo piccolo è il mondo) e minaccia il quieto vivere, fatto di traffici e favori ma tutto sommato più umano della logica mercatista a oltranza che tutto appiattisce: un mondo che ormai è stato travolto. Il conte-vampiro smaschera l'impostore, ma nulla può contro il "progresso", così come l'ex soldato di ventura, diventato cardinale, nulla può contro la donna, una Benedetta giovane e luminosa, uscita più bella di prima da una "muratura" durata decenni. Le due vicende sono intrecciate per più di un motivo, a cominciare dagli attori, fra cui due figli del regista, Pier Giorgio ed Elena e il fratello Alberto (pure gli altri sono, sostanzialmente, di famiglia), ma anche per altri temi che ricorrono nei film di Bellocchio: la famiglia, il potere, la religione, il ruolo della donna, la colpa, la corruzione, benché vengano raccontate in maniera pressoché opposta, passando dalla tensione e da una cupezza quasi caravaggesca della storia secentesca alle scherzosa ironia sulla grottesca e scoraggiante dimensione odierna. Tratto comune, e perdurante nella produzione di Bellocchio, la vena di una certa follia tipicamente bobbiese. E ben venga la follia e perfino la truffa, ma soprattutto la fantasia e la libertà d'espressione, piuttosto che il rimbecillimento e l'annichilimento globalizzati.
"...E ben venga la follia e perfino la truffa, ma soprattutto la fantasia e la libertà d'espressione, piuttosto che il rimbecillimento l'annichilamento globalizzato."
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