"Sole a catinelle" di Gennaro Nunziante. Con Checco Zalone, Aurore Erguy, Miriam Dalmazio, Robert Dancs, Ruben Aprea, Valeria Cavalli, Marco Paolini e altri. Italia 2013 ★★+
Ero in dubbio se contribuire al record di incasso di questa terza pellicola targata "Checcozalone", ma un buco di tre ore in una Milano piovosa in attesa di un treno ieri l'altro mi hanno portato a sciogliere gli indugi e a chiudermi in una sala cinematografica, al buio. E cominciamo da quello che non va già all'apparire sullo schermo della sigla Merdusa Film: un volume audio assordante, marchio di fabbrica Fininvest-MerdaSet e, di conseguenza, l'impianto prettamente televisivo della pellicola. Come plot, taglio (raffazzonato) delle riprese, accozzaglia di luoghi comuni: la vicenda narra di un padre pugliese che vive e lavora al Nord, precisamente a Padova (e non a Vicenza dove più di un "critico" ha collocato la location, facendosi ingannare dalla targa dell'auto usata dal protagonista), pressappochista, inaffidabile, "imprenditore di sé stesso" (fa il rappresentante di scope elettriche), che fa sfoggio della sua ignoranza senza ritegno, ottimista allo spasimo, tipico prodotto del ventennio berlusconiano, in via di separazione dalla moglie a causa della sua inguaribile cialtronaggine (si indebita fino al collo contando sul suo presunto talento per permettersi un livello di vita incongruo e insostenibile, votato all'inseguimento del gadget e del prodotto di tendenza), fedele però alla parola data: aveva promesso al figlio di dieci anni, Nicolò, una vacanza da favola se fosse stato promosso a pieni voti e la manterrà dopo che è andato a ritirarne la pagella di tutti dieci. Manterrà involontariamente, perché all'inizio lo porterà in Molise, mendicando ospitalità presso una vecchia zia bigotta e spilorcia che non vede da trent'anni, ma una serie di vicissitudini lo porterà a frequentare Zoe, ricca rampolla di una stirpe di industriali (guarda caso proprietari della fabbrica dove la moglie di Zalone è stata messa in cassa integrazione), nella sua villa-agriturismo alternativo in Toscana, che gli serberà eterna gratitudine per avere "sbloccato" il figlio, coetaneo di Nicolò, affetto da "mutismo selettivo" (causato da padre cinematografaro e stronzo). Insomma, inevitabile lo Happy End, ma la trama è ovviamente il pretesto per dare sfogo all'indubbio talento di Luca Medici, in arte Checco Zalone, il quale, non ci sono santi, è l'unico in Italia, a parte forse Antonio Albanese, in grado di andare oltre alla dimensione dello sketch e reggere da solo un intero film: a mio parere è, in tutto e per tutto, l'Alberto Sordi del 2000 (capace come lui anche di cantare e di scrivere testi demenziali e all'altezza), perfetto interprete dell'italiano medio dei suoi tempi, con la differenza che Sordi in buona parte lo era lui stesso e Zalone è più cattivo e, secondo me, più acuto, intelligente e meno banale: mette consapevolmente il dito nella piaga, anche se fa finta di no. Alla fine mi sono abbastanza divertito, e il giudizio non del tutto negativo è dovuto esclusivamente a lui e, in misura minore, a due comprimari come Valeria Cavalli e Marco Paolini, mentre mi auguro che l'esordio cinematografico di Aurore Erguy rimanga tale e che torni a occuparsi di cinema dall'altra parte dello schermo.
Ero in dubbio se contribuire al record di incasso di questa terza pellicola targata "Checcozalone", ma un buco di tre ore in una Milano piovosa in attesa di un treno ieri l'altro mi hanno portato a sciogliere gli indugi e a chiudermi in una sala cinematografica, al buio. E cominciamo da quello che non va già all'apparire sullo schermo della sigla Merdusa Film: un volume audio assordante, marchio di fabbrica Fininvest-MerdaSet e, di conseguenza, l'impianto prettamente televisivo della pellicola. Come plot, taglio (raffazzonato) delle riprese, accozzaglia di luoghi comuni: la vicenda narra di un padre pugliese che vive e lavora al Nord, precisamente a Padova (e non a Vicenza dove più di un "critico" ha collocato la location, facendosi ingannare dalla targa dell'auto usata dal protagonista), pressappochista, inaffidabile, "imprenditore di sé stesso" (fa il rappresentante di scope elettriche), che fa sfoggio della sua ignoranza senza ritegno, ottimista allo spasimo, tipico prodotto del ventennio berlusconiano, in via di separazione dalla moglie a causa della sua inguaribile cialtronaggine (si indebita fino al collo contando sul suo presunto talento per permettersi un livello di vita incongruo e insostenibile, votato all'inseguimento del gadget e del prodotto di tendenza), fedele però alla parola data: aveva promesso al figlio di dieci anni, Nicolò, una vacanza da favola se fosse stato promosso a pieni voti e la manterrà dopo che è andato a ritirarne la pagella di tutti dieci. Manterrà involontariamente, perché all'inizio lo porterà in Molise, mendicando ospitalità presso una vecchia zia bigotta e spilorcia che non vede da trent'anni, ma una serie di vicissitudini lo porterà a frequentare Zoe, ricca rampolla di una stirpe di industriali (guarda caso proprietari della fabbrica dove la moglie di Zalone è stata messa in cassa integrazione), nella sua villa-agriturismo alternativo in Toscana, che gli serberà eterna gratitudine per avere "sbloccato" il figlio, coetaneo di Nicolò, affetto da "mutismo selettivo" (causato da padre cinematografaro e stronzo). Insomma, inevitabile lo Happy End, ma la trama è ovviamente il pretesto per dare sfogo all'indubbio talento di Luca Medici, in arte Checco Zalone, il quale, non ci sono santi, è l'unico in Italia, a parte forse Antonio Albanese, in grado di andare oltre alla dimensione dello sketch e reggere da solo un intero film: a mio parere è, in tutto e per tutto, l'Alberto Sordi del 2000 (capace come lui anche di cantare e di scrivere testi demenziali e all'altezza), perfetto interprete dell'italiano medio dei suoi tempi, con la differenza che Sordi in buona parte lo era lui stesso e Zalone è più cattivo e, secondo me, più acuto, intelligente e meno banale: mette consapevolmente il dito nella piaga, anche se fa finta di no. Alla fine mi sono abbastanza divertito, e il giudizio non del tutto negativo è dovuto esclusivamente a lui e, in misura minore, a due comprimari come Valeria Cavalli e Marco Paolini, mentre mi auguro che l'esordio cinematografico di Aurore Erguy rimanga tale e che torni a occuparsi di cinema dall'altra parte dello schermo.
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