"Prisoners" di Denis Villeneuve. Con Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Maria Bello, Viola Davis, Terrence Howard, Melissa Leo, Paul Dano, David Dastmalchian. USA 2013 ★★★+
Film a due facce questo noir girato dal regista franco-canadese nella provincia USA, in una cittadina piuttosto squallida e apparentemente tranquilla della Pennsylvania, in un clima cupo, autunnale, dominato da colori scialbi e da una pioggia incessante, che prende le mosse dalla sparizione da casa di due bambine di sei anni uscite a giocare mentre i genitori di entrambe stavano festeggiando il Giorno del Tacchino, ossia del Ringraziamento. I sospetti cadono inizialmente su un ragazzo subnormale che era stato visto aggirarsi nella zona a bordo di un camper, ma la mancanza di prove costringe Loki, uno strano poliziotto tatuato e con un'espressione scimmiesca (Gyllenhaal: che non finisce di convincermi), a rilasciarlo, suscitando l'ira di Keller, il padre (bianco e devoto) di una delle due bimbe che, da bravo yankee affetto dalla paranoia di essere accerchiato da un mondo ostile, pensa di sostituirsi alla polizia (peraltro bloccata da inettitudine, menefreghismo e burocrazia) per condurre le indagini per conto suo. Così finisce per sequestrare il primo sospettato cercando di estorcergli una confessione mediante pestaggi e sevizie varie che vedono coinvolti a diversi gradi anche i genitori dell'altra bimba, mentre la moglie di Keller opta per la soluzione "Mother's Little Helper", ossia gli psicofarmaci; nel frattempo Loki, che ha finora risolto tutti i casi assegnatogli e, nonostante l'aspetto, l'eloquio e le movenze non è del tutto idiota, segue altre piste e man mano scopre che la cittadina nasconde più di uno scheletro nell'armadio, anzi: in sacrestia e perfino, letteralmente, in cantina. Alla fine di una serie di svolte a sorpresa sempre più improbabili nell'indagine, riesce a recuperare le due bimbe e a identificare il colpevole (con una sensazione di dejà vu dal sapore vagamente hitchcockiano), già scoperto poco prima da Keller, il padre "faso tutto mi", ma suo malgrado. Film a due facce, dicevo: perché se come thriller "Prisoners" è alquanto improbabile, con una sceneggiatura a tratti lacunosa per cui, come spesso succede in pellicole del genere, si finisce per perdere il filo, Villeneuve usa in realtà il genere nella sua versione tipicamente hollywoodiana per descrivere metaforicamente lo stato di smarrimento di cui sono preda gli USA in generale, con personaggi che sono tutti quanti prigionieri di qualcosa, a cominciare dai propri stessi dubbi, impauriti dalla perdita di una fede che fa da sottofondo a tutta la vicenda e che li lascia senza bussola, incapaci di decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato, cosa bene e cosa male, perfino riguardo all'uso della tortura per ottenere informazioni: cosa che del resto riguarda la Grande Nazione sedicente paladina dei diritti umani ed esportatrice di democrazia sulla canna dei fucili, o meglio a mezzo drone, nella sua stessa essenza. Ed è nel senso di inquietudine che permane uscendo dalla sala, chiedendosi se si ha a che fare con gente alienata oppure riconducibile alla ragione, che sta l'aspetto meritevole del film.
Film a due facce questo noir girato dal regista franco-canadese nella provincia USA, in una cittadina piuttosto squallida e apparentemente tranquilla della Pennsylvania, in un clima cupo, autunnale, dominato da colori scialbi e da una pioggia incessante, che prende le mosse dalla sparizione da casa di due bambine di sei anni uscite a giocare mentre i genitori di entrambe stavano festeggiando il Giorno del Tacchino, ossia del Ringraziamento. I sospetti cadono inizialmente su un ragazzo subnormale che era stato visto aggirarsi nella zona a bordo di un camper, ma la mancanza di prove costringe Loki, uno strano poliziotto tatuato e con un'espressione scimmiesca (Gyllenhaal: che non finisce di convincermi), a rilasciarlo, suscitando l'ira di Keller, il padre (bianco e devoto) di una delle due bimbe che, da bravo yankee affetto dalla paranoia di essere accerchiato da un mondo ostile, pensa di sostituirsi alla polizia (peraltro bloccata da inettitudine, menefreghismo e burocrazia) per condurre le indagini per conto suo. Così finisce per sequestrare il primo sospettato cercando di estorcergli una confessione mediante pestaggi e sevizie varie che vedono coinvolti a diversi gradi anche i genitori dell'altra bimba, mentre la moglie di Keller opta per la soluzione "Mother's Little Helper", ossia gli psicofarmaci; nel frattempo Loki, che ha finora risolto tutti i casi assegnatogli e, nonostante l'aspetto, l'eloquio e le movenze non è del tutto idiota, segue altre piste e man mano scopre che la cittadina nasconde più di uno scheletro nell'armadio, anzi: in sacrestia e perfino, letteralmente, in cantina. Alla fine di una serie di svolte a sorpresa sempre più improbabili nell'indagine, riesce a recuperare le due bimbe e a identificare il colpevole (con una sensazione di dejà vu dal sapore vagamente hitchcockiano), già scoperto poco prima da Keller, il padre "faso tutto mi", ma suo malgrado. Film a due facce, dicevo: perché se come thriller "Prisoners" è alquanto improbabile, con una sceneggiatura a tratti lacunosa per cui, come spesso succede in pellicole del genere, si finisce per perdere il filo, Villeneuve usa in realtà il genere nella sua versione tipicamente hollywoodiana per descrivere metaforicamente lo stato di smarrimento di cui sono preda gli USA in generale, con personaggi che sono tutti quanti prigionieri di qualcosa, a cominciare dai propri stessi dubbi, impauriti dalla perdita di una fede che fa da sottofondo a tutta la vicenda e che li lascia senza bussola, incapaci di decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato, cosa bene e cosa male, perfino riguardo all'uso della tortura per ottenere informazioni: cosa che del resto riguarda la Grande Nazione sedicente paladina dei diritti umani ed esportatrice di democrazia sulla canna dei fucili, o meglio a mezzo drone, nella sua stessa essenza. Ed è nel senso di inquietudine che permane uscendo dalla sala, chiedendosi se si ha a che fare con gente alienata oppure riconducibile alla ragione, che sta l'aspetto meritevole del film.
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