"Zoran, il mio nipote scemo" di Matteo Oleotto. Con Giuseppe Battiston, Teco Celio, Rok Presnicar, Marjuta Slamic, Roberto Citran, Riccardo Maranzana, Jan Cvitokovic, Ariella Reggio. Italia, Slovenia 2013 ★★★★
Non potevo che celebrare a Udine la doverosa prima visione di questo film friulano come pochi altri, anche in onore del suo protagonista principale, che in città è nato, un Giuseppe Battiston ben più oversized di quanto sia in realtà (e non è un fuscello), vero mattatore della pellicola anche se non prevarica mai gli altri interpreti, anzi: per contrasto li esalta. Qui è Paolo Bressan, un burbero quarantenne senza arte né parte, attaccabrighe e dedito alla menzogna, che conduce un'esistenza sostanzialmente alcolica in un micropaese in provincia di Gorizia, a ridosso del confine sloveno (siamo dalle parti di Doberdò del Lago e delle Valli del Natisone, che mi sono assai familiari), lavorando svogliatamente alla mensa di un ospizio per anziani e trascorrendo il resto della giornata sbevazzando e facendo il gradasso all'osteria di Gustino (un Teco Celio perfetto) e facendo stalking ai danni della ex moglie Stefania, ora sposata con Alfio, un brav'uomo che lo aiuta e gli è addirittura amico (Roberto Citran). La sua vita cambia quando, alla morte di Anijeta, una zia che viveva al di là del confine, gli viene temporaneamente affidato suo malgrado Zoran, in attesa degli adempimenti burocratici per essere accolto in una casa-famiglia. Sedicenne timidissimo e impacciato che si nasconde dietro a delle lenti sproporzionate e si esprime in un italiano aulico, si rivela un vero asso delle freccette, capacità che lo zio sfrutta per vincere una serie di gare locali con in palio salami, formaggi e bottiglie, fino a intravedere la possibilità di conquistare il titolo mondiale ai campionati che si svolgono a Glasgow e intascare 50 mila sterline con cui "svoltare" e fuggire finalmente dal "buco" in cui vive, per cui si scopre improvvisamente affezionato al nipote, di cui diviene allenatore e manager. In realtà rimane il cinico cialtrone di sempre, anche se i compaesani e l'ex moglie stessa lo vedono cambiato in meglio, tanto da farlo convincere della possibilità di un ritorno di Stefania all'ovile. Resosi conto del malinteso, e reduce da una sbronza epica quanto solitaria, comincerà a fare i conti con sé stesso e a relazionarsi per davvero anche col nipote che è tutt'altro che scemo, ma soprattutto affezionato allo zio Bressan. Una pellicola molto gradevole, applaudita all'ultimo Festival di Venezia e vincitrice del pubblico della "Settimana della critica", ben girata e recitata, ambientata in un contesto per nulla conosciuto se non da chi vive da queste parti o vi è originario: ironica, garbata nonostante l'aura paesana, con una punta asprigna e ruvida come la gente e i paesaggi di qua, insomma il bouquet del teràn, il rosso tipico del Carso.
Non potevo che celebrare a Udine la doverosa prima visione di questo film friulano come pochi altri, anche in onore del suo protagonista principale, che in città è nato, un Giuseppe Battiston ben più oversized di quanto sia in realtà (e non è un fuscello), vero mattatore della pellicola anche se non prevarica mai gli altri interpreti, anzi: per contrasto li esalta. Qui è Paolo Bressan, un burbero quarantenne senza arte né parte, attaccabrighe e dedito alla menzogna, che conduce un'esistenza sostanzialmente alcolica in un micropaese in provincia di Gorizia, a ridosso del confine sloveno (siamo dalle parti di Doberdò del Lago e delle Valli del Natisone, che mi sono assai familiari), lavorando svogliatamente alla mensa di un ospizio per anziani e trascorrendo il resto della giornata sbevazzando e facendo il gradasso all'osteria di Gustino (un Teco Celio perfetto) e facendo stalking ai danni della ex moglie Stefania, ora sposata con Alfio, un brav'uomo che lo aiuta e gli è addirittura amico (Roberto Citran). La sua vita cambia quando, alla morte di Anijeta, una zia che viveva al di là del confine, gli viene temporaneamente affidato suo malgrado Zoran, in attesa degli adempimenti burocratici per essere accolto in una casa-famiglia. Sedicenne timidissimo e impacciato che si nasconde dietro a delle lenti sproporzionate e si esprime in un italiano aulico, si rivela un vero asso delle freccette, capacità che lo zio sfrutta per vincere una serie di gare locali con in palio salami, formaggi e bottiglie, fino a intravedere la possibilità di conquistare il titolo mondiale ai campionati che si svolgono a Glasgow e intascare 50 mila sterline con cui "svoltare" e fuggire finalmente dal "buco" in cui vive, per cui si scopre improvvisamente affezionato al nipote, di cui diviene allenatore e manager. In realtà rimane il cinico cialtrone di sempre, anche se i compaesani e l'ex moglie stessa lo vedono cambiato in meglio, tanto da farlo convincere della possibilità di un ritorno di Stefania all'ovile. Resosi conto del malinteso, e reduce da una sbronza epica quanto solitaria, comincerà a fare i conti con sé stesso e a relazionarsi per davvero anche col nipote che è tutt'altro che scemo, ma soprattutto affezionato allo zio Bressan. Una pellicola molto gradevole, applaudita all'ultimo Festival di Venezia e vincitrice del pubblico della "Settimana della critica", ben girata e recitata, ambientata in un contesto per nulla conosciuto se non da chi vive da queste parti o vi è originario: ironica, garbata nonostante l'aura paesana, con una punta asprigna e ruvida come la gente e i paesaggi di qua, insomma il bouquet del teràn, il rosso tipico del Carso.
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