"La bottega dei suicidi" (Le Magasins des suicides) di Patrice Leconte. Francia, Canada, Belgio 2012 ★★★
Film d'animazione tratto dall'omonimo romanzo di Jean Teulé, che ne è anche sceneggiatore e produttore, è fatto molto bene, ha una grafica accattivante e accurata, bei colori e fa passare gradevolmente 80', ma la storiella, che pure si presterebbe a un massiccio esercizio di umor nero e sarcasmo a tratti surreale, di cui Leconte è un maestro ("Il marito della parrucchiera", "Ridicule" e "L'uomo del treno" per tutti), è abbastanza esile e risulta alla fine eccessivamente "buonista". Gli spunti originali non mancano: siamo in una deprimente metropoli contemporanea dove dominano grigiore opprimente, palazzoni, traffico, inquinamento, infelicità e una crisi che pare irreversibile, e in un'atmosfera orwelliana dove perfino i suicidi compiuti sul suolo pubblico vengono perseguiti e salatamente multati, c'è un'oasi colorata: una bottega d'epoca specializzata in materiali per aiutare la gente che non ne può più di vivere a farla finita. Manco a dirlo, in un periodo del genere tutto va a gonfie vele per la famiglia Tuvache, che la gestisce. I membri ricordano in qualche modo quelli della mitica, inarrivabile famiglia Addams e hanno bandito la gioia dalla loro vita: non a caso il padre si chiama Miscimà, e i due figli depressi Marilyn e Vincent, tutti nomi di noti suicidi, mentre l'unica garrula è Lucrèce (suppongo ispirata alla Borgia), la moglie e madre, mai in crisi nel suo ruolo finché dà alla luce Alan, che fin dalla nascita è il ritratto dell'ottimismo e della gioia di vivere e solo per questo porta scompiglio nel tran tran famigliare. Siccome siamo in Francia, non finisce a tarallucci e vino bensì a crêpes al Grand Marnier, quando il giovane Tuvache, insieme a quattro compagni di scuola allegri e ben disposti alla vita (e a cambiare le cose) come lui, prende in mano la situazione. Il messaggio, condivisibilissimo, è che è ora di darsi una sveglia, prendere in mano il proprio destino, non farsi dominare dalla paura, che è il migliore strumento che qualsiasi potere ha a disposizione perché si insinua sottopelle al punto che siamo noi stessi ad autoprodurla fino a rimanerne schiavi e non farsi manipolare, però da Leconte mi sarei aspettato qualche volo pindarico in più e maggiore cattiveria.
Film d'animazione tratto dall'omonimo romanzo di Jean Teulé, che ne è anche sceneggiatore e produttore, è fatto molto bene, ha una grafica accattivante e accurata, bei colori e fa passare gradevolmente 80', ma la storiella, che pure si presterebbe a un massiccio esercizio di umor nero e sarcasmo a tratti surreale, di cui Leconte è un maestro ("Il marito della parrucchiera", "Ridicule" e "L'uomo del treno" per tutti), è abbastanza esile e risulta alla fine eccessivamente "buonista". Gli spunti originali non mancano: siamo in una deprimente metropoli contemporanea dove dominano grigiore opprimente, palazzoni, traffico, inquinamento, infelicità e una crisi che pare irreversibile, e in un'atmosfera orwelliana dove perfino i suicidi compiuti sul suolo pubblico vengono perseguiti e salatamente multati, c'è un'oasi colorata: una bottega d'epoca specializzata in materiali per aiutare la gente che non ne può più di vivere a farla finita. Manco a dirlo, in un periodo del genere tutto va a gonfie vele per la famiglia Tuvache, che la gestisce. I membri ricordano in qualche modo quelli della mitica, inarrivabile famiglia Addams e hanno bandito la gioia dalla loro vita: non a caso il padre si chiama Miscimà, e i due figli depressi Marilyn e Vincent, tutti nomi di noti suicidi, mentre l'unica garrula è Lucrèce (suppongo ispirata alla Borgia), la moglie e madre, mai in crisi nel suo ruolo finché dà alla luce Alan, che fin dalla nascita è il ritratto dell'ottimismo e della gioia di vivere e solo per questo porta scompiglio nel tran tran famigliare. Siccome siamo in Francia, non finisce a tarallucci e vino bensì a crêpes al Grand Marnier, quando il giovane Tuvache, insieme a quattro compagni di scuola allegri e ben disposti alla vita (e a cambiare le cose) come lui, prende in mano la situazione. Il messaggio, condivisibilissimo, è che è ora di darsi una sveglia, prendere in mano il proprio destino, non farsi dominare dalla paura, che è il migliore strumento che qualsiasi potere ha a disposizione perché si insinua sottopelle al punto che siamo noi stessi ad autoprodurla fino a rimanerne schiavi e non farsi manipolare, però da Leconte mi sarei aspettato qualche volo pindarico in più e maggiore cattiveria.
Recensione che, vista la calura esterna, fa apprezzare meglio un po' di humor "ghiacciato".
RispondiEliminaPeccato l'incitazione a "prendere in mano il proprio destino, non farsi dominare dalla paura"...
Ecchediamine! Cos'è più rinfrescante di un bel brivido di paura?