Ero a Sofia, il 1° gennaio del 2007, quando Bulgaria e Romania fecero il loro ingresso nell’Unione Europea, che ai tempi giudicavo essere alquanto forzato e precipitoso, ma che alla fine mi era sembrato positivo visto l’entusiasmo generale della gente del luogo e la situazione disastrata dei due Paesi: un’adeguata iniezione di fondi per rinnovare o creare infrastrutture fatiscenti o inesistenti non poteva che portare miglioramenti, così come l’obbligo dei governanti di adeguarsi a uno standard minimo di decenza, ma da questo punto di vista non si sono registrati grandi passi in avanti (e del resto che lezioni può dare l’Italia in questo campo?) A poche ore dallo stesso passo, 6 anni e mezzo dopo, da parte della Croazia, che è da sempre in condizioni infinitamente migliori da ogni punto di vista, nonché molto più affine anche culturalmente ai Paesi del “nucleo storico” dell’UE, sono molto più perplesso sulla bontà della cosa, così come non vedo altrettanta convinzione da parte degli interessati, a parte il governo, naturalmente, e dei suoi corifei, i mezzi di comunicazione con TV e radio in testa, che qui come altrove gli fanno da cassa di risonanza e da settimane magnificano la grandiosità dell’evento e le sue assai incerte opportunità. E’ vero, la maggioranza delle persone con cui ne ho parlato in questi giorni si dice favorevole, ma lo fa senza un vero trasporto, schermendosi e avanzando semmai il dubbio di essere all’altezza della situazione, forse per una forma di riguardo nei confronti dell’interlocutore, poiché non vi è chi non ritenga l’Italia un “Paese leader” insieme a Germania e Francia, e all’obiezione che noi abbiamo la mafia e loro no, mi sono sentito pure rispondere che da loro la mafia è lo Stato, come se in Italia non fosse così ogni giorno di più. L’illusione, qui, è che ci sarà una maggiore concorrenza, una diminuzione dell'intervento dello Stato con le sue pastoie burocratiche, lascito del passato socialista, e che questo possa avvantaggiare la piccola e media impresa e perfino l’agricoltura, se di qualità, ma non hanno ancora sperimentato l’elefantiasi delle spesso demenziali normative comunitarie (dal calibro delle carote alla curvatura dei cetrioli) e la loro arbitrarietà tutta a favore delle multinazionali di ogni settore e della grande distribuzione di prodotti standardizzati. Visto quello che è accaduto specie negli ultimi trent’anni in Italia, ho la certezza che avverrà il contrario, e un’altra cosa che temo, oltre a legarsi mani e piedi alla logica del “debito che crea sviluppo” (naturalmente nel senso di aumento del PIL e della “razionalizzazione” della produzione), è l’ulteriore desertificazione delle campagne, già avviata ai tempi di Tito nella stessa ottica industrialista di marca tipicamente socialcomunista (l’altra medaglia del capitalismo ma la logica è pur sempre la stessa) e della cementificazione massiccia del territorio, a cominciare dalle stupende coste adriatiche. Io sono venuto al mondo quattro anni dopo l’istituzione della CECA, Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Trattato di Parigi del 1951), embrione della CEE che avrebbe visto la luce nel 1957 coi Trattati di Roma, e sono quindi cresciuto con essa fino ad arrivare all’attuale Unione (Trattato di Maastricht del 1992) che, più che rivelarsi tale, e in ogni caso un’unione tra Stati e non un’unione di Stati, si è trasformata in un enorme centro di interessi sotto il controllo assoluto delle élite finanziarie prima ancora che politiche e priva di una sostanziale, e non solo formale, legittimazione da parte dei cittadini europei. Insomma non mi sembra, allo stato attuale, una buona idea e rimanderei i festeggiamenti al giorno, che non riesco nemmeno a intravvedere, in cui l’UE diventerà una cosa seria e in cui tutte le persone che abitano questo subcontinente possano identificarsi, evento quanto mai improbabile con la “guida” dell’attuale classe politica e dirigente in generale e il dominio del centri di interesse di cui sopra. Ho l’impressione che la Croazia sia in qualche modo “costretta” all’adesione, così come lo sarà la Serbia, per cui le “trattative” stanno accelerando in questi giorni. Anche per questioni “genetiche”, con una madre austriaca e un padre friulano, la cui famiglia ha avuto per secoli dimestichezza con gli “imperial-regi”, personalmente non sono contrario per partito preso a uno Stato sovrannazionale, convinto come sono della necessità di fare scudo contro l’americanizzazione (così come all’invadenza della potenza post-sovietica, con cui però condividiamo il territorio) e del fatto che un finlandese e un portoghese (gli inglesi non centrano e del resto si "chiamano fuori", perché chi li governa non reciderà mai il cordone ombelicale con gli USA) abbiano più in comune di quanto ne abbiano un red neck dell’Arkansas con un bostoniano o un californiano, per non parlare di ispanici e afroamericani, ma non a questo ibrido sconclusionato e senza reale controllo e legittimazione da parte dei "governati" (attualmente nulla più che sudditi). Almeno in teoria credo perfino che le peculiarietà regionali e locali (aree omogenee che si auto-organizzino spontaneamente nelle forme che ritengono opportune, con conseguente maggiore controllo attraverso strumenti di democrazia diretta) sarebbero maggiormente tutelate all'interno di uno Stato sovrannazionale inteso rettamente, ma questo appunto con presupposti completamente diversi, per non dire opposti a quelli attuali. Del resto cos'era l'Impero austro-ungarico (e, a sua volta, quello ottomano)? Oltre che sovrannazionale, multietnico (ben 11 le popolazioni che vi convivevano, usando la loro lingua e conservando la propria cultura). E l’orrido macello della prima Guerra Mondiale non è servito appunto a far trionfare gli Stati nazionali (e, al di là dell'Atlantico, mettere sulla rampa di lancio gli USA)? Due dei quali, Inghilterra e Francia, erano pure imperi coloniali (l'Italia da operetta non va nemmeno considerata in questo contesto), ossia la forma che prendeva allora il capitalisimo oggi globalizzato: la globalizzazione di un secolo fa aveva luogo all'interno di imperi la cui componente sfruttata e schiavizzata stava a migliaia di chilometri dall'area metropolitana, per permettere a quest'ultima di essere, almeno formalmente, "democratica". Il terzo, La Germania, era uno Stato-nazione neonato con ambizioni imperiali, che per realizzarle (il famoso corridoio dal Mare del Nord al Mediterraneo), non ha esitato a scatenarne una seconda, di Guerra Mondiale. Come sa chi mi legge e ripeto fino alla nausea da anni, questa strategia si è rivelata vincente (l'economia come continuazione della guerra con altri mezzi, parafrasando Von Klausewitz) e lo scopo è stato raggiunto negli anni Ottanta-Novanta (e qui ecco la Croazia e il motivo per cui la Germania, insieme al Vaticano, per suo tramite ha forzato la disgregazione della Repubblica Federativa di Jugoslavia): non esiste più un cuscinetto centro-est europeo (com'era l'Austria-Ungheria, che era un impero sì, ma locale, non dislocato in altri continenti); e non esistono più gli Stati-cuscinetto satelliti dell'impero russo in salsa sovietica, impero che comunque è legato alla Germania da un rapporto di interdipendenza storico (il Patto Molotov-Von Ribbentrop era la conferma di una costante, l'invasione dell'URSS nel 1941 un'eccezione nei rapporti russo-tedeschi nonché un errore di strategia militare colossale - fortunatamente) e la Germania, con lo schermo dell'UE di cui è socio di maggioranza, non ha nemmeno la necessità di assumersene la responsabilità politica. Non dimentichiamo che, come l'Italia, la Germania è diventata unitaria (10 anni dopo di noi) per iniziativa della parte più retriva, reazionaria e militarista: la Prussia, che era l'equivalente del Regno sardo-piemontese nostrano. L'area, in buona parte, che corrisponde a quella dell'ex DDR, guarda caso l'unico Paese dell'ex patto di Varsavia, insieme alla Bulgaria, che non si sia mai ribellato ai sovietici essendo privo di una dissidenza di massa: ai prussiani, per mentalità e vocazione, un sistema come quello della Stasi stava a pennello, non dissimile com'era da quello nazista e da quello che avevano sempre avuto prima dell'unificazione tedesca nel 1870. E come ho fatto notare più volte, a chi queste incommensurabili e pervicaci teste quadre hanno dato il potere? (e a chi in sostanza lo danno quelle larve di governi nazionali, leggi élite, di comune accordo?) Alla figlia di un pastore protestante che si è volontariamente trasferito a Est, e diventata, come provato da una recente biografia, se non una funzionaria della SED, una sua fattiva collaboratrice, una criptocomunista e per di più intrisa di una rigida e moralista cultura luterana, antieuropea senza uno straccio di competenza in campo giuridico ed economico per non parlare di quello delle relazioni internazionali. Noi da parte nostra abbiamo "democraticamente" conferito, quello sostanziale, a un mafioso pluricondannato e siamo l'unico Paese al mondo passato da una democrazia per quanto claudicante a una ("materiale", nel senso "costituzionale") monarchia elettiva (in secondo grado). Come faccio, con questi presupposti e queste convinzioni, dare il benvenuto alla Croazia? Posso solo augurarle buona fortuna e sperare che non si faccia fagocitare, che si guardi bene dall’entrare nell’euro e che la sua popolazione tenga duro e conservi con cura il proprio patrimonio culturale, nel senso più ampio del termine, dando una mano a quelli che, come me, in fondo credono ancora, o forse conservano l’illusione, che ci sia spazio per un’Europa delle genti e non dei governi e degli Stati.
"Conservano l'illusione", direi.
RispondiEliminaPer un'Europa "delle genti e non dei governi e degli Stati", tenuto conto della realtà e dei tempi lunghi per la maturazione di cambiamenti che per essere tali devono sempre essere insieme sociali, antropologici e culturali, prima che economici (e sempre ammesso vi sarà ancora una possibilità di invertire l'attuale direzione di marcia), se ne riparlerebbe in ogni caso (forse), fra un paio di generazioni.
Credere oggi che questo cambiamento sia possibile si situa (per me), fra il sogno e la fantasia.
Entrambi campi ideali per la semina delle illusioni.
Quelle stesse che abbiamo coltivato noi quando abbiamo creduto che davvero avrebbe potuto essere l'Europa "dei popoli", pur partendo dal rispetto del parametro del 3% fra disavanzo e Pil (trattato di Maastricht).
Ma forse, come i croati oggi, coltivavamo le nostre illusioni senza sentire alcuna necessità di studiarci bene prima cosa implicava, l'adesione ai Trattati, fidandoci solo delle nostre fantasie (e della propaganda), sull'Europa dei nostri ideali.
Pagando oggi quelle illusioni e sogni con altrettante delusioni e incubi.
Per questo mi è incomprensibile come vi possano ancora essere paesi che spingono per entrare in questa Europa.
Non leggono cosa succede in Grecia, dove giusto ieri usciva la notizia che la Troika pretende la chiusura definitiva degli ospedali e il reddito minimo per tutti a 350€? O dei 7000 licenziamenti richiesti per ottenere l'ennesimo prestito cravattaro mentre la propaganda continua a spostare l'attenzione su 800 miserabili milioni di euro messi in salvo dai soliti evasori malandrini? Cosa sono, 800 milioni, di fronte allo stato di miseria a cui l'Europa ha costretto la Grecia?
Povera Croazia...(e poveri noi)...
Io sono un anarchico, consapevole che la mia "idea" è un'utopia, irrealizzabile quanto meno se misurata sulla presumibile durata della mia esistenza in vita. Lo so da quando, ancora più di 40 anni fa, frequentavo il Circolo di Via Scaldasole, a Milano. Come tale, vedo nello Stato, nell'Autorità Costituita così come nella Religione una minaccia all'individuo e, con esso, all'umanità. Siccome finché accetto di vivere in questo sistema (beninteso allo scopo di ribaltarlo) accetto le sue regole del gioco, qualsiasi loro "diluizione" mi è preferibile rispetto a una azione congiunta dei tre elementi di cui sopra. Nella situazione attuale, abbiamo a che fare con almeno tre livelli: 1) quello dello Stato nazionale, a mio avviso anacronistico; 2) Bruxelles e Francoforte: intendendo Commissione UE e BCE (Strasburgo, ossia il Parlamento non ci risulta); 3) gli USA, di cui subiamo intromissioni, ricatti e condizionamenti dall'esterno e pure a domicilio (cfr basi NATO): e poi cadono giù tutti dal pero perché si viene a scoprire che ci spiano (lo cantava perfino Eugenio Finardi in un brano famoso della fine degli anni Settanta: "La CIA ci spia sotto gli occhi della polizia") come se non fosse evidente che i primi nemici di una vera Unione Europea sono loro. Sopra tutto questo, il Gotha finanziario a cui tutti e tre i livelli precedenti sono asserviti. Mettiamoci pure l'ex URSS che ci tiene per i coglioni sui rifornimenti energetici, ed ecco perché, ripeto in pura linea di principio, mi sarebbe preferibile un'Europa magari in forma di confederazione: la Svizzera mi pare un eccellente esempio, e non mi si dica che le dimensioni sono diverse, perché sono i principi fondativi e organizzativi a essere decisivi. Come vedi, un'altra utopia che si somma alla grande A nera cerchiata. Detto questo, non credo per niente alla possibilità di un mutamento dall'interno del sistema, al massimo lo si rende un po' più accettabile e decente (e non è questo il caso negli ultimi trent'anni, per cui parlerei quantomeno di "connivenza oggettiva" da parte dei cosiddetti "oppositori"), e anche un mutamento delle istituzioni non porterebbe un granché (ma forse semplificherebbe un po' il compito, riducendo i livelli contro cui scontrarsi), perché decisivo è il cambiamento nella testa delle persone. E il "sistema" lo sa così bene che non fa nient'altro che manipolarci e inebetirci con ogni mezzo. Perché sono l'intelligenza e il cuore degli uomini ad essere decisivi, ecco perché ci vogliono trasformare in macchine, peraltro meno costose di quelle inanimate perché un uomo lo possono "buttare" e farlo pure sentire in colpa perché non è produttivo, mentre una macchina, una volta fatto l'investimento, no, a meno di non perderci. Forse, in un'Europa "semplificata", dove saremmo più coinvolti e non divisi per nazioni (quando sappiamo benissimo che chi decide è qualcun altro), lavorare per un cambiamento di prospettiva mentale sarebbe più agevole. Tutto qui (si fa per dire, se non fosse abbastanza).
RispondiElimina«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico»: Herbert Marcuse, "L'uomo a una dimensione", 1964 (mezzo secolo fa).
P.S.: Da www.presseurop.eu :
RispondiEliminaIn Germania "Die Tageszeitung" critica l’assenza della cancelliera tedesca alle cerimonie organizzate a Zagabria per l’adesione, il 30 giugno. Con tono umoristico, il quotidiano berlinese sottolinea che i croati vengono trattati come gli ultimi degli idioti perché il loro alleato più importante ha inviato il rimpiazzo meno conosciuto del governo tedesco (il segretario di stato agli Esteri Michael Link) per assistere alle più grandi celebrazioni organizzate dallo Stato croato. I croati, invece, hanno già accettato Deutsche Telekom nel loro Paese prima ancora di aver espulso i serbi, hanno rinominato strade e piazze dedicandole a Hans-Dietrich Genscher [l’ex ministro degli Esteri tedesco] ed Helmut Kohl […] e si sono persino scusati per aver battuto 3-0 la Germania ai mondiali di calcio nel 1998. Ma i tedeschi continuano a trattarli come imbecilli.
1. forse sono io che mi sono stufata di se, però, ma, dovrebbe, potrebbe, sarebbe, etc. Insomma, ho sempre più spesso la sensazione che di fronte al tema Europa e conseguenze nefaste sull'odierna esistenza degli europei (senza dimenticare ma anche senza voler più perdermi ad analizzare quelle che vanno dalla globalizzazione alle pressioni Usa/Nato, etc), venga a tutti, me compresa, molto bene la teoria e molto poco (zero), la pratica.Nel senso che ciò che fin qui sappiamo, potrebbe (condizionale) e dovrebbe (altro condizionale), bastarci per convincerci che o decidiamo di agire, in qualche modo, o tanto vale dir chiaro che è troppo rischioso, che è troppa fatica, che aspettiamo a vedere, che finché non capita a me non credo, etc.
EliminaChe senso ha capire senza agire?
Credo sia questo il punto, più che quale Europa...
2. quest'ultima sul servilismo dei croati è specchio di come eravamo e come siamo noi: compiacenti con il potere aguzzino fino al limite del ridicolo.
E che chi ci impone quest''Europa ci disprezzi, per questa nostra servile compiacenza, è un'altra cosa risaputa e detta pure a chiare lettere, in più d'una occasione...
Se noi accettiamo ogni cosa senza mai accennare a una reazione che possa dirsi tale, perché mai non dovrebbero gli aguzzini fare degli ulteriori passi sempre più avanti per testare la nostra vile e incondizionata resa?
Vedi oggi la Grecia, insisto: ci sono situazioni di fronte alle quali non c'è ragione o legge dello Stato che tenga: o sei disposto a morire per cambiare le cose o sei pronto a morire per effetto di quelle che non vuoi tentare di cambiare.
Se i croati hanno già accettato Deutsche Telekom, noi abbiamo aperto i forzieri a cinesi, americani, inglesi, arabi, etc.
Insomma, non ci siamo fatti mancare niente e questi pivelli croati risultano degli infanti appena arrivati, come infatti sono, rispetto alla nostra capacità di piegarci a 90° ripetendo alla veneziana:"Se serva pure siòr paron..."
Noi? Nessuno ci ha mai chiesto niente, ci hai fatto caso? Tranne pagarne le conseguenze.
RispondiEliminaE' ben il fatto che decidono per noi, calandoci a mannaia poi sulla testa le conseguenze delle loro decisioni, a farmi pensare a un servilismo compiacente al limite del ridicolo.
EliminaQuale essere umano sano di mente si prostra felice sotto i colpi di frusta di chi gli toglie finanche il pane di bocca?
Come dico spesso, o ci drogano con le scie chimiche, o la manipolazione delle nostre menti è in atto da così tanto tempo da nemmeno aver più memoria di cosa siano concetti come libertà o libero arbitrio.