"Doppio Gioco - La verità si nasconde nell'ombra" (Shadow Dancer) di James Marsh. Con Andrea Riseborough, Clive Owen, Aidan Gillen, Domnhall Gleeson, Brid Brennan, Gillian Anderson e altri. GB 2012 ★★★½
Documentarista di valore assoluto, James Marsh confeziona un thriller-spy story-dramma estremamente credibile che rende molto bene le tensioni e l'atmosfera che regnavano nell'Irlanda del Nord negli anni Novanta. Non ci sono effetti speciali, super eroi, mirabolanti scene d'azione né azioni di esplicita violenza (salvo il "sottomarino" effettuato nei confronti di un militante dell'IRA sospettato dai compagni di essere un infiltrato): molto più sotterranea e di tipo psicologico quella che emerge nei rapporti tra i personaggi e permea tutta la pellicola. Siamo a Belfast, nel 1993, e Colette, una trentenne che a vent'anni di distanza si sente ancora responsabile della morte del fratellino, che aveva inviato a fare una commissione al posto suo ed era rimasto vittima di una sparatoria tra terroristi e soldati, è divisa tra la miltanza nell'IRA, assieme ai due fratelli, e gli impegni di madre di un ragazzino sui dieci anni. Inviata a Londra a compiere attentato lasciando un ordigno nella metropolitana, che poi non sarebbe esploso, viene bloccata e reclutata come informatrice da un agente dei servizi segreti, l'ottimo Clive Owen: in cambio l'impunità e la possibilità di rimanere in fianco e la garanzia della protezione. Che però viene di fatto meno quando, all'insaputa dell'agente, viene effettuata un'operazione di polizia orchestrata per proteggere un altro infiltrato (per la serie che, nelle forze di sicurezza, una mano non sa, o non vuol sapere, cosa fa l'altra) e Colette viene sospettata, tra gli altri, di essere l'autrice di una soffiata: la caccia alla "talpa" da parte dei militanti dell'IRA e le manovre dei servizi per salvaguardarla dominano la seconda parte del film. Sono la tensione continua, l'atmosfera di sospetto reciproco, il realismo delle situazioni, che trovano riscontro nei colori lividi e molto irlandesi e nelle perfette ricostruzioni di interni nella loro talvolta squallida normalità il punto di forza del film, attraverso cui viene raccontata la storia, in maniera molto obiettiva, per l'appunto quasi documentaristica, senza che il regista debba insistere sullo scavo psicologico e le motivazioni dei personaggi, lasciando che traspaiano dal loro stesso modo di agire, comportarsi, parlare. Non fa morali e non prende posizioni, ma esprime in maniera molto reale come trame incontrollabili, sospetti, paura, rassegnazione, indifferenza si mescolino alla vita quotidiana che comunque procede anche in situazioni eccezionali che durano così a lungo, come nell'Ulster, da diventare a loro volta una normalità per quanto anomala. Un'interpretazione degna di nota quella di Andrea Riseborough, che spero di vedere nuovamente all'opera al più presto.
Documentarista di valore assoluto, James Marsh confeziona un thriller-spy story-dramma estremamente credibile che rende molto bene le tensioni e l'atmosfera che regnavano nell'Irlanda del Nord negli anni Novanta. Non ci sono effetti speciali, super eroi, mirabolanti scene d'azione né azioni di esplicita violenza (salvo il "sottomarino" effettuato nei confronti di un militante dell'IRA sospettato dai compagni di essere un infiltrato): molto più sotterranea e di tipo psicologico quella che emerge nei rapporti tra i personaggi e permea tutta la pellicola. Siamo a Belfast, nel 1993, e Colette, una trentenne che a vent'anni di distanza si sente ancora responsabile della morte del fratellino, che aveva inviato a fare una commissione al posto suo ed era rimasto vittima di una sparatoria tra terroristi e soldati, è divisa tra la miltanza nell'IRA, assieme ai due fratelli, e gli impegni di madre di un ragazzino sui dieci anni. Inviata a Londra a compiere attentato lasciando un ordigno nella metropolitana, che poi non sarebbe esploso, viene bloccata e reclutata come informatrice da un agente dei servizi segreti, l'ottimo Clive Owen: in cambio l'impunità e la possibilità di rimanere in fianco e la garanzia della protezione. Che però viene di fatto meno quando, all'insaputa dell'agente, viene effettuata un'operazione di polizia orchestrata per proteggere un altro infiltrato (per la serie che, nelle forze di sicurezza, una mano non sa, o non vuol sapere, cosa fa l'altra) e Colette viene sospettata, tra gli altri, di essere l'autrice di una soffiata: la caccia alla "talpa" da parte dei militanti dell'IRA e le manovre dei servizi per salvaguardarla dominano la seconda parte del film. Sono la tensione continua, l'atmosfera di sospetto reciproco, il realismo delle situazioni, che trovano riscontro nei colori lividi e molto irlandesi e nelle perfette ricostruzioni di interni nella loro talvolta squallida normalità il punto di forza del film, attraverso cui viene raccontata la storia, in maniera molto obiettiva, per l'appunto quasi documentaristica, senza che il regista debba insistere sullo scavo psicologico e le motivazioni dei personaggi, lasciando che traspaiano dal loro stesso modo di agire, comportarsi, parlare. Non fa morali e non prende posizioni, ma esprime in maniera molto reale come trame incontrollabili, sospetti, paura, rassegnazione, indifferenza si mescolino alla vita quotidiana che comunque procede anche in situazioni eccezionali che durano così a lungo, come nell'Ulster, da diventare a loro volta una normalità per quanto anomala. Un'interpretazione degna di nota quella di Andrea Riseborough, che spero di vedere nuovamente all'opera al più presto.
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