"Cha Cha Cha" di Marco Risi. Con Luca Argentero, Eva Herzigova, Claudio Amendola, Pippo Delbono, Pietro Ragusa, Bebo Storti, Nino Frassica. Italia 2013 ★
Proprio per la stima che nutro per Marco Risi, di cui ho molto apprezzato sia Muro di gomma sia Fortapàsc, ho trovato questo film molto deludente, perfino imbarazzante. Il regista ha voluto esplicitamente utilizzare i canoni di un genere, il noir, per dipingere un quadro a tinte fosche del degrado e della corruzione che imperversa ai massimi livelli, nella fattispecie nella capitale, invece che prendere spunto da fatti di cronaca o inchieste vere, come negli esempi citati prima, che erano film esplicitamente di denuncia, vero e proprio cinema civile. La storia potrebbe anche reggere, pur traballando: Corso, un ex poliziotto ora investigatore privato, è incaricato di seguire il sedicenne figlio di una cara amica ed ex amante, una ex attrice, accasata con un potente ed equivoco avvocato romano, e assiste suo malgrado all'investimento (intenzionale) del ragazzo da parte di un SUV all'uscita di una discoteca e alla sua morte. Nel frattempo la polizia, in un terreno lottizzato vicino a Fiumicino, scopre il cadavere di un ingegnere legato all'avvocato di sui sopra. Assasinato. Corso intuisce - non si sa come, perché non pare brillare per intelligenza - il legame tra i due omicidi, e la pellicola consiste nel dipanamento di questo mistero. Tecnicamente è un film pure ben fatto, con una ottima fotografia dai colori spesso lividi, che rende bene una certa Roma inquietante e a suo modo veritiera, ma per funzionare un noir dev'essere credibile, e lo diventa se lo sono gli interpreti dei suoi personaggi principali, e qui sono completamente fuori ruolo proprio i due protagonisti. Luca Argentero risulta una sorta di Philip Marlowe alle vongole, giuggiolone, assolutamente improbabile e per niente romano: ben altra forza e credibilità avrebbe avuto, ad esempio, Pierfrancesco Favino, con cui ha pure una certa somiglianza fisica, ma vogliamo mettere l'espressività e l'intensità? A interpretare il ruolo dell'ex attrice e madre "inconsolabile" di Tom, l'adolescente ucciso, una disastrosa non-attrice come Eva Herzigova, grottesca sempre e addirittura involontariamente comica quando dovrebbe esprimere dolore: credibile lo è solo come "puttanone" redento che ha impollastrato l'intrallazzatissimo e odioso avvocato, un Pippo Delbono che sembra un Previti semianalfabeta, e altrettanto canagliesco. Il minimo che viene da pensare è che questa ex modella ceca sia stata imposta dalla produzione e abbia ottenuto il ruolo per meriti non precisamente artistici. Credibili, a modo loro, ma intrappolati nei consueti cliché, lo sono invece appunto due caratteristi come Amendola nel suo consueto ruolo di poliziotto duro, e Bebo Storti in quello di un ambiguo analista di intelligence o qualcosa del genere: difatti si tratta di attori professionisti e non improvvisati. Perfino il "carlino" privo di una zampa che Corso si porta dietro quasi ovunque in una sacca è più nella parte del suo padrone per non parlar della Herzigova. Infine, nella trama già abbastanza confusa, si inserisce il rapporto conflittuale tra il dirigente della "mobile" e l'ex collega Corso, a causa di comuni trascorsi che rimangono del tutto oscuri. Insomma, c'è poco che funziona in questo film ed è un peccato, perché non è del tutto da buttar via e le capacità di Marco Risi dietro la macchina da presa non sono in dubbio: semplicemente non è riuscito. Ma è bene che torni al più presto a raccontare storie vere e lasciar perdere i "generi". Ofelé fa il to mesté: il buon Marco, che è milanese, sa cosa intendo...
Proprio per la stima che nutro per Marco Risi, di cui ho molto apprezzato sia Muro di gomma sia Fortapàsc, ho trovato questo film molto deludente, perfino imbarazzante. Il regista ha voluto esplicitamente utilizzare i canoni di un genere, il noir, per dipingere un quadro a tinte fosche del degrado e della corruzione che imperversa ai massimi livelli, nella fattispecie nella capitale, invece che prendere spunto da fatti di cronaca o inchieste vere, come negli esempi citati prima, che erano film esplicitamente di denuncia, vero e proprio cinema civile. La storia potrebbe anche reggere, pur traballando: Corso, un ex poliziotto ora investigatore privato, è incaricato di seguire il sedicenne figlio di una cara amica ed ex amante, una ex attrice, accasata con un potente ed equivoco avvocato romano, e assiste suo malgrado all'investimento (intenzionale) del ragazzo da parte di un SUV all'uscita di una discoteca e alla sua morte. Nel frattempo la polizia, in un terreno lottizzato vicino a Fiumicino, scopre il cadavere di un ingegnere legato all'avvocato di sui sopra. Assasinato. Corso intuisce - non si sa come, perché non pare brillare per intelligenza - il legame tra i due omicidi, e la pellicola consiste nel dipanamento di questo mistero. Tecnicamente è un film pure ben fatto, con una ottima fotografia dai colori spesso lividi, che rende bene una certa Roma inquietante e a suo modo veritiera, ma per funzionare un noir dev'essere credibile, e lo diventa se lo sono gli interpreti dei suoi personaggi principali, e qui sono completamente fuori ruolo proprio i due protagonisti. Luca Argentero risulta una sorta di Philip Marlowe alle vongole, giuggiolone, assolutamente improbabile e per niente romano: ben altra forza e credibilità avrebbe avuto, ad esempio, Pierfrancesco Favino, con cui ha pure una certa somiglianza fisica, ma vogliamo mettere l'espressività e l'intensità? A interpretare il ruolo dell'ex attrice e madre "inconsolabile" di Tom, l'adolescente ucciso, una disastrosa non-attrice come Eva Herzigova, grottesca sempre e addirittura involontariamente comica quando dovrebbe esprimere dolore: credibile lo è solo come "puttanone" redento che ha impollastrato l'intrallazzatissimo e odioso avvocato, un Pippo Delbono che sembra un Previti semianalfabeta, e altrettanto canagliesco. Il minimo che viene da pensare è che questa ex modella ceca sia stata imposta dalla produzione e abbia ottenuto il ruolo per meriti non precisamente artistici. Credibili, a modo loro, ma intrappolati nei consueti cliché, lo sono invece appunto due caratteristi come Amendola nel suo consueto ruolo di poliziotto duro, e Bebo Storti in quello di un ambiguo analista di intelligence o qualcosa del genere: difatti si tratta di attori professionisti e non improvvisati. Perfino il "carlino" privo di una zampa che Corso si porta dietro quasi ovunque in una sacca è più nella parte del suo padrone per non parlar della Herzigova. Infine, nella trama già abbastanza confusa, si inserisce il rapporto conflittuale tra il dirigente della "mobile" e l'ex collega Corso, a causa di comuni trascorsi che rimangono del tutto oscuri. Insomma, c'è poco che funziona in questo film ed è un peccato, perché non è del tutto da buttar via e le capacità di Marco Risi dietro la macchina da presa non sono in dubbio: semplicemente non è riuscito. Ma è bene che torni al più presto a raccontare storie vere e lasciar perdere i "generi". Ofelé fa il to mesté: il buon Marco, che è milanese, sa cosa intendo...
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