"Monsieur Lazhar" (Bachir Lazhar) di Philippe Felardeau. Con Fellag, Sophie Nelisse, Brigitte Poupart, Danielle Proulx, Jules Philp, Emilen Néron. Canada 2011 ★★★★
Un film senza fronzoli, sincero, che fa della semplicità il suo punto di forza riuscendo ad affrontare il tema della perdita e dell'elaborazione nel rapporto tra adulti e bambini sia a livello personale sia all'interno del rapporto educativo, in questo caso tra insegnanti e giovani allievi. Siamo in una sesta classe nel Québec e un nuovo insegnante, un algerino in attesa di essere riconosciuto come rifugiato politico, va a sostituire una maestra che si è appena tolta la vita nella stessa aula dove insegnava. Gli allievi sono in stato di shock e proprio a lui, che a sua volta ha perso la moglie e le due figlie in una rappresaglia da parte dei terroristi. Per ottenere quel posto presenta false credenziali, lui stesso si improvvisa insegnante (in realtà gestiva un ristorane, maestra era sua moglie) ma alla fine riesce a entrare talmente in sintonia coi ragazzi da riuscire laddove non sono riusciti gli psicologi e i metodi di insegnamento moderni che escludono qualsiasi contatto fisico: uno scappellotto o un abbraccio, anche se visto come "scorretto", possono valere molto di più di tante strampalate teorie didattiche e psicologiche, perché c'è un riconoscimento reciproco tra lui, che è anche un "diverso", e i suoi allievi, e un percorso simile di sgomento, senso di colpa, timore di fronte a una perdita. Alla fine il suo status di rifugiato verrà riconosciuto ma anche scoperta l'inconsistenza del suo curriculum, quel che rimane è un profondo affetto verso i suoi allievi, in particolare con Alice, interpretata in maniera strepitosa dalla piccola Sophie Nelisse, e un nsegnamento che va al di là delle "regole canoniche", che il buon senso vorrebbe fosse applicate con meno rigidità. Temi delicati,che il cinema raramente affronta, come anche quello delle famiglie spesso assenti nel ruolo educativo (ma che poi si lamentano sequestro ruolo viene preso dai maestri, che dovrebbero limitarsi a fornire nozioni, e qui vengono in mente i "tecnici" che ci governano così come una medicina che a forza di specializzarsi cura la malattia ma non la persona, che non riesce più a concepire nella sua interezza), raccontati con onestà e senza pietismi e leziosità. Istruttivo, senza essere mai pedante, prevenuto e "pedagogico".
Un film senza fronzoli, sincero, che fa della semplicità il suo punto di forza riuscendo ad affrontare il tema della perdita e dell'elaborazione nel rapporto tra adulti e bambini sia a livello personale sia all'interno del rapporto educativo, in questo caso tra insegnanti e giovani allievi. Siamo in una sesta classe nel Québec e un nuovo insegnante, un algerino in attesa di essere riconosciuto come rifugiato politico, va a sostituire una maestra che si è appena tolta la vita nella stessa aula dove insegnava. Gli allievi sono in stato di shock e proprio a lui, che a sua volta ha perso la moglie e le due figlie in una rappresaglia da parte dei terroristi. Per ottenere quel posto presenta false credenziali, lui stesso si improvvisa insegnante (in realtà gestiva un ristorane, maestra era sua moglie) ma alla fine riesce a entrare talmente in sintonia coi ragazzi da riuscire laddove non sono riusciti gli psicologi e i metodi di insegnamento moderni che escludono qualsiasi contatto fisico: uno scappellotto o un abbraccio, anche se visto come "scorretto", possono valere molto di più di tante strampalate teorie didattiche e psicologiche, perché c'è un riconoscimento reciproco tra lui, che è anche un "diverso", e i suoi allievi, e un percorso simile di sgomento, senso di colpa, timore di fronte a una perdita. Alla fine il suo status di rifugiato verrà riconosciuto ma anche scoperta l'inconsistenza del suo curriculum, quel che rimane è un profondo affetto verso i suoi allievi, in particolare con Alice, interpretata in maniera strepitosa dalla piccola Sophie Nelisse, e un nsegnamento che va al di là delle "regole canoniche", che il buon senso vorrebbe fosse applicate con meno rigidità. Temi delicati,che il cinema raramente affronta, come anche quello delle famiglie spesso assenti nel ruolo educativo (ma che poi si lamentano sequestro ruolo viene preso dai maestri, che dovrebbero limitarsi a fornire nozioni, e qui vengono in mente i "tecnici" che ci governano così come una medicina che a forza di specializzarsi cura la malattia ma non la persona, che non riesce più a concepire nella sua interezza), raccontati con onestà e senza pietismi e leziosità. Istruttivo, senza essere mai pedante, prevenuto e "pedagogico".
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