"Bella addormentata" di Marco Bellocchio. Con Toni Servillo, Alba Rohrwacher, Michele Riondino, Fabrizio Falco, Maya Sansa, Pergriorgio Bellocchio, Isabelle Huppert, Gianmarco Tognazzi, Brenno Placido, Roberto Herlitzka. Italia 2012 ★★★★★
Per quel niente che può significare, assegno il massimo dei voti a questo intenso, onesto emozionante, rigoroso film di una autentico maestro e autore di cinema civile come Marco Bellocchio, pur non essendo un capolavoro assoluto, per rimarcare la mia profonda incazzatura nei confronti della giuria del Festival di Venezia che anche quest'anno si è ostinata a non voler premiare un film italiano benché ce ne fossero in gara almeno due di molto validi assegnando piuttosto la vittoria all'ennesimo film esotico, tra l'altro giudicato da chi lo ha visto assolutamente mediocre. Del resto ancora una volta si è nominato presidente della giuria un americano, per di più un regista essenzialmente televisivo come Michael Mann, i cui gusti erano facilmente immaginabili in base alla sua filmografia, pertanto lontani sia dalla sensibilità sia dalla realtà europea, di cui questo yankee arrogante quanto imbecille (come ha dimostrato nella cerimonia finale sbagliando perfino a consegnare i premi) non ha la minima idea. Nel più importante, per quanto ormai poco prestigioso, festival italiano, gli unici riconoscimenti "nazionali" sono stati a Daniele Ciprì "per il contributo tecnico", e a Fabrizio Falco come giovane esordiente (che ha brevi ruoli sia nel film di Ciprì, "E' stato il figlio", sia in quello di Bellocchio), il che suona come una presa per il culo. "Avanti così, facciamoci del male", come ebbe a dire Nanni Moretti. Alle voci che motivavano il mancato riconoscimento al suo film con il fatto di essere "troppo italiano" e quindi autoreferenziale ha risposto il regista piacentino in un'intervista apparsa oggi sul Corriere della Sera definendole giustamente delle idiozie. Tornando a "Bella addormentata", Bellocchio ripercorre i sei giorni dal 3 al 9 febbraio del 2009 attorno alla morte di Eluana Englaro. Lo fa senza giudicare, lasciando da un lato parlare le immagini televisive di quei giorni (con le deliranti e vergognose affermazioni di alcuni personaggi di primo piano che è bene scolpire nella memoria) che hanno diviso non solo il Paese come sempre in due fazioni contrapposte, ma anche le singole coscienze su temi come il fin di vita e la libertà di scelta che sono quanto di più umano e intimo ci possa essere. Lo fa con profonda onestà pur essendo una lucida coscienza laica, mostrando l'impatto che il caso Englaro ha su tre vicende parallele ed emblematiche che coinvolgono personaggi diversissimi tra loro. A ben vedere le "belle addormentate" del film sono tre, oltre a Eluana che rimane sullo sfondo: la moglie cattolica di un senatore laico del Pdl (il quale, in crisi di coscienza, si rifiuta di votare secondo le indicazioni di partito) che gli chiese di aiutarla a morire; Rosa, la figlia in come vigile di una ex attrice, interpretata da una quanto mai nevrotica Isabelle Huppert, che ha rinunciato non solo alla carriera ma anche a qualsiasi vita propria, a cominciare dal rapporto con marito e figlio, nella speranza folle di un "miracolo"; infine una tossicomame, Rossa (una Maya Sansa a mio parere straordinaria), che invece vuole mettere fine volontariamente alla propria esistenza ma trova un medico che non solo glielo impedisce (Piergiorgio Bellocchio) ma che riesce a vedere in lei la persona prima ancora del malato e a comunicarglielo nel corso di un colloquio, non solo a parole, mozzafiato. Una storia emblematica, che muove corde profonde, raccontata in modo esemplare, che non può che far riflettere: perché è di umanità che parla, questo film, e della incapacità che sembra dominante non solo di dare un senso alla parola amore ma anche solo di pronunciarla.
Per quel niente che può significare, assegno il massimo dei voti a questo intenso, onesto emozionante, rigoroso film di una autentico maestro e autore di cinema civile come Marco Bellocchio, pur non essendo un capolavoro assoluto, per rimarcare la mia profonda incazzatura nei confronti della giuria del Festival di Venezia che anche quest'anno si è ostinata a non voler premiare un film italiano benché ce ne fossero in gara almeno due di molto validi assegnando piuttosto la vittoria all'ennesimo film esotico, tra l'altro giudicato da chi lo ha visto assolutamente mediocre. Del resto ancora una volta si è nominato presidente della giuria un americano, per di più un regista essenzialmente televisivo come Michael Mann, i cui gusti erano facilmente immaginabili in base alla sua filmografia, pertanto lontani sia dalla sensibilità sia dalla realtà europea, di cui questo yankee arrogante quanto imbecille (come ha dimostrato nella cerimonia finale sbagliando perfino a consegnare i premi) non ha la minima idea. Nel più importante, per quanto ormai poco prestigioso, festival italiano, gli unici riconoscimenti "nazionali" sono stati a Daniele Ciprì "per il contributo tecnico", e a Fabrizio Falco come giovane esordiente (che ha brevi ruoli sia nel film di Ciprì, "E' stato il figlio", sia in quello di Bellocchio), il che suona come una presa per il culo. "Avanti così, facciamoci del male", come ebbe a dire Nanni Moretti. Alle voci che motivavano il mancato riconoscimento al suo film con il fatto di essere "troppo italiano" e quindi autoreferenziale ha risposto il regista piacentino in un'intervista apparsa oggi sul Corriere della Sera definendole giustamente delle idiozie. Tornando a "Bella addormentata", Bellocchio ripercorre i sei giorni dal 3 al 9 febbraio del 2009 attorno alla morte di Eluana Englaro. Lo fa senza giudicare, lasciando da un lato parlare le immagini televisive di quei giorni (con le deliranti e vergognose affermazioni di alcuni personaggi di primo piano che è bene scolpire nella memoria) che hanno diviso non solo il Paese come sempre in due fazioni contrapposte, ma anche le singole coscienze su temi come il fin di vita e la libertà di scelta che sono quanto di più umano e intimo ci possa essere. Lo fa con profonda onestà pur essendo una lucida coscienza laica, mostrando l'impatto che il caso Englaro ha su tre vicende parallele ed emblematiche che coinvolgono personaggi diversissimi tra loro. A ben vedere le "belle addormentate" del film sono tre, oltre a Eluana che rimane sullo sfondo: la moglie cattolica di un senatore laico del Pdl (il quale, in crisi di coscienza, si rifiuta di votare secondo le indicazioni di partito) che gli chiese di aiutarla a morire; Rosa, la figlia in come vigile di una ex attrice, interpretata da una quanto mai nevrotica Isabelle Huppert, che ha rinunciato non solo alla carriera ma anche a qualsiasi vita propria, a cominciare dal rapporto con marito e figlio, nella speranza folle di un "miracolo"; infine una tossicomame, Rossa (una Maya Sansa a mio parere straordinaria), che invece vuole mettere fine volontariamente alla propria esistenza ma trova un medico che non solo glielo impedisce (Piergiorgio Bellocchio) ma che riesce a vedere in lei la persona prima ancora del malato e a comunicarglielo nel corso di un colloquio, non solo a parole, mozzafiato. Una storia emblematica, che muove corde profonde, raccontata in modo esemplare, che non può che far riflettere: perché è di umanità che parla, questo film, e della incapacità che sembra dominante non solo di dare un senso alla parola amore ma anche solo di pronunciarla.
Nessun commento:
Posta un commento