"E' stato il figlio" di Daniele Ciprì. Con Toni Servillo, Giselda Volodi, Aurora Quattrocchi, Benedetto Ranelli, Alfredo Castro, Fabrizio Falco, Piergiorgio Belloccchio, Piero Misuraca, Giacomo Civiletti, Alessia Zammiti. ITA 2012 ★★★★★
Se Bella Addormentata era una pellicola "troppo italiana" per meritare uno straccio di premio alla 69ª edizione del Festival del cinema di Venezia, stupisce che per questo film assolutamente palermitano, e recitato in dialetto strettissimo tanto da richiedere spesso i sottotitoli, Daniele Ciprì abbia ricevuto un riconoscimento. Non per la cruda e grottesca storia narrata in maniera esemplare, va da sé, ma per un fantomatico "contributo tecnico". In realtà il tema dell'avidità e della miseria umana è universale, tantopiù al giorno in un mondo votato al consumo compulsivo e all'apparenza, e il regista palermitano lo fa ispirandosi alle pagine di Roberto Alajmo e ambientando la vicenda in qualche punto imprecisato degli anni Settanta, a giudicare dall'arredo, sia urbano sia degli interni, dai vestiti e dalle auto, in una squallida e malsana periferia palermitana ricostruita però a Brindisi (e tanto simile al famigerato quartiere Tamburi della vicina Taranto avvelenata dall'Ilva). A narrarla, in flash back, è lo stralunato Busu, che ama intrattenere il pubblico in attesa del turno in un ufficio postale raccontando storie, tra cui questa di Nicola, ucciso "ufficialmente" dal figlio. In realtà era stato il cugino a farlo secco, dopo che Nicola aveva bastonato a sangue i due ragazzi che avevano osato fare un graffietto alla Mercedes che era non solo il suo orgoglio, ma la sua vita. Una fiammante Mercedes superaccessoriata, unica proprietà di un disgraziato commerciante in ferraglia, comprata con quel che è rimasto del risarcimento ricevuto, dopo un'interminabile procedura burocratica, dallo Stato per le "vittime di mafia" in seguito all'uccisione dell'adorata figlioletta Serenella, colpita in realtà per errore da due sicari che avevano sbagliato bersaglio: il suggerimento di farlo passare per un delitto di mafia è dell'amico Giovanni, una specie di Wolf di borgata che "risolve problemi", conosce la gente giusta, tra cui gli strozzini che "finanziano"Nicola in attesa che il risarcimento si concretizzi, ha gli "agganci". E' il ritratto grottesco ma verosimile di un'umanità disastrata dalla stupidità perfettamente in linea con il degradato ambiente circostante, resa con colori sferzanti e crudi sotto un perenne sole abbacinante, con attori bravissimi, più che mai espressivi e intensi. Un pugno nello stomaco salutare, una sveglia di cui si ha bisogno, e non ultimo un film che dice di più di una mentalità mafiosa più di tanti altri che di mafia parlano esplicitamente: la scena della decisione di addossare la colpa dell'omicidio di Nicola al debole, introverso e disoccupato figlio Tancredi invece che al cugino trafficone, che in cambio si impegna a mantenere tutta la famiglia, è semplicemente un capolavoro (e Aurora Quattrocchi nei panni della nonna meriterebbe un Oscar) e da sola vale tutto il film, che comunque è da vedere assolutamente.
Se Bella Addormentata era una pellicola "troppo italiana" per meritare uno straccio di premio alla 69ª edizione del Festival del cinema di Venezia, stupisce che per questo film assolutamente palermitano, e recitato in dialetto strettissimo tanto da richiedere spesso i sottotitoli, Daniele Ciprì abbia ricevuto un riconoscimento. Non per la cruda e grottesca storia narrata in maniera esemplare, va da sé, ma per un fantomatico "contributo tecnico". In realtà il tema dell'avidità e della miseria umana è universale, tantopiù al giorno in un mondo votato al consumo compulsivo e all'apparenza, e il regista palermitano lo fa ispirandosi alle pagine di Roberto Alajmo e ambientando la vicenda in qualche punto imprecisato degli anni Settanta, a giudicare dall'arredo, sia urbano sia degli interni, dai vestiti e dalle auto, in una squallida e malsana periferia palermitana ricostruita però a Brindisi (e tanto simile al famigerato quartiere Tamburi della vicina Taranto avvelenata dall'Ilva). A narrarla, in flash back, è lo stralunato Busu, che ama intrattenere il pubblico in attesa del turno in un ufficio postale raccontando storie, tra cui questa di Nicola, ucciso "ufficialmente" dal figlio. In realtà era stato il cugino a farlo secco, dopo che Nicola aveva bastonato a sangue i due ragazzi che avevano osato fare un graffietto alla Mercedes che era non solo il suo orgoglio, ma la sua vita. Una fiammante Mercedes superaccessoriata, unica proprietà di un disgraziato commerciante in ferraglia, comprata con quel che è rimasto del risarcimento ricevuto, dopo un'interminabile procedura burocratica, dallo Stato per le "vittime di mafia" in seguito all'uccisione dell'adorata figlioletta Serenella, colpita in realtà per errore da due sicari che avevano sbagliato bersaglio: il suggerimento di farlo passare per un delitto di mafia è dell'amico Giovanni, una specie di Wolf di borgata che "risolve problemi", conosce la gente giusta, tra cui gli strozzini che "finanziano"Nicola in attesa che il risarcimento si concretizzi, ha gli "agganci". E' il ritratto grottesco ma verosimile di un'umanità disastrata dalla stupidità perfettamente in linea con il degradato ambiente circostante, resa con colori sferzanti e crudi sotto un perenne sole abbacinante, con attori bravissimi, più che mai espressivi e intensi. Un pugno nello stomaco salutare, una sveglia di cui si ha bisogno, e non ultimo un film che dice di più di una mentalità mafiosa più di tanti altri che di mafia parlano esplicitamente: la scena della decisione di addossare la colpa dell'omicidio di Nicola al debole, introverso e disoccupato figlio Tancredi invece che al cugino trafficone, che in cambio si impegna a mantenere tutta la famiglia, è semplicemente un capolavoro (e Aurora Quattrocchi nei panni della nonna meriterebbe un Oscar) e da sola vale tutto il film, che comunque è da vedere assolutamente.
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