martedì 7 dicembre 2021

The French Dispatch

"The French Dispatch" (The French Dispatch of The Liberty, Kansas Evening Sun) di Wes Anderson. Con Bill Murray, Benicio Del Toro, Tilda Swinton, Adrien Brody, Léa Seydoux, Frances MacDormand, Timothée Chalamet, Lyna Khoudry, Roebuck Wright, Owen Wilson,  Edward Norton, Mathieu Amalric, Steve Park e altri. USA 2021 ★★★★+

Se con Gran Hotel Budapest Wes Anderson aveva voluto rendere un allegro e frizzante omaggio a Stefan Zweig e alla cultura mitteleuropea di cui lo scrittore austriaco fu uno degli ultimi e brillanti testimoni, con questo lungometraggio, il decimo dell'estroso regista texano, ma tanto affine al Vecchio Continente per gusto e vocazione, celebra, con una vena malinconica, da un lato il glorioso giornalismo d'antan, basato su fiuto, ascolto e consumo della suola delle scarpe, fatto in presenza e confezionato con cura artigianale, dall'altro il fascino della Francia del tempo andato, o almeno dell'immagine che può essersene fatta un americano colto e cosmopolita, innamorato di quel Paese, come può esserlo, ad esempio, un corrispondente del New Yorker, periodico dell'intellighenzia della metropoli della East Coast. Se si aggiunge che lo spunto è un necrologio, ossia l'illustrazione dell'ultimo numero di The French Dispatch, immaginario supplemento culturale e di varia umanità dell'Evening Sun (quotidiano di Kansas City) con base in un'altrettanto immaginaria Ennui sur Blasé (che ha le sembianze di Parigi, ma il film è stato girato ad Angoulême) e diretto dall'appena defunto Arthur Horowitz Jr (Bill Murray), figlio dell'editore, che ne ha disposto espressamente la chiusura dopo la propria morte nelle sue ultime volontà, l'atmosfera assume ovviamente un che di funereo, il che nulla toglie al divertimento, al gioco, alla lievità che caratterizza tutti i film di Wes Anderson anche quando affronta temi seri o perfino tristi: abbiamo pur sempre a che fare con qualcosa che è venuto a mancare, che si tratti della fine della rivista con la morte del suo creatore, o della scomparsa di un mondo che fu, quello evocato con le suggestive immagini, disegnate in forma di fumetto d'epoca, o ricreate sul set in maniera pseudo-realistica. L'omaggio al direttore inizia col gustoso prologo, un'escursione nei bassifondi di Ennui sur Blasé illustrata dal reporter su due ruote Sazerac/Owen Wilson, una sorta di presentazione della location dei successivi tre pezzi che costituiscono l'ultimo numero del French Dispatch: Il capolavoro di cemento, la delirante vicenda illustrata da Berensen/Tida Swinton dell'opera di un pittore psicopatico rinchiuso in un carcere (Del Toro, superbo), la cui musa è la sua carceriera (Seydoux), scoperto e lanciato da un gallerista delinquenziale finito in galera (Brody, esilarante); Revisioni a un manifesto, che rievoca l'epoca di una rivolta studentesca avvenuta in un marzo imprecisato (protagonista di una vicenda d'amore e morte lo studente Zeffirelli/Timothée Chalamet), narrata dalla cronista Krementz/McDormand; infine La sala da pranzo del commissario d polizia, una sorta di noir che vede in azione il poliziotto alla caccia dei sequestratori del figlio con contorno gastronomico (con cuoco cinese). Insomma, Wes Anderson ha assemblato come di consueto un pot pourri gustosissimo che però per me è stato abbastanza faticoso seguire in lingua originale, perdendo una fetta delle immagini e della parte grafica dovendo concentrarmi sui sottotitoli soprattutto quando parlavano gli attori americani, dalla pronuncia spesso ostica a un orecchio educato all'inglese britannico come quello  della Swinton, ad esempio (per rimanere da noi, andrebbero sottotitolati sistematicamente i film interpretati da attori che si ostinano a non mollare il romanesco mangiandosi sistematicamente la seconda metà delle parole): come altri suoi film, andrebbe rivisto, per apprezzarne meglio i dettagli, sempre numerosissimi e scelti meticolosamente, con precisione maniacale, ma rimane comunque piacevole a tutti i livelli, sempre a patto di essere in grado di seguirne lo svolgimento con una buona dose di attenzione e concentrazione. Lo stile di Anderson è personalissimo e inconfondibile, come una costante è il palese divertimento con cui il cast, come d'abitudine cospicuo, variegato e di valore, presta la sua opera: anche questo è una garanzia per lo spettatore. 

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