"Grand Hotel Budapest" (The Grand Hotel Budapest) di Wes Anderson. Con Ralph Fiennes, Tony Revolori, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, William Dafoe, Jeff Goldblum, Lucas Hedges, Harvey Keitel, Jude Law, Edward Norton, Saorise Ronan, Jason Schwartzman, Lea Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson. USA 2014 ★★★★½
Mantiene ampiamente le aspettative Wes Anderson con questo divertente film presentato in apertura all'ultima Berlinale dove ha vinto il gran premio della giuria e ispirato, secondo quanto ha più volte ripetuto l'originale e poco convenzionale regista statunitense, al raffinato, e anche lui originale e poco convenzionale scrittore austriaco Stefan Zweig, che raggiunse l'apice della notorietà nell'epoca tra le due guerre dello scorso secolo, erede della migliore tradizione mitteleuropea, pacifista convinto e testimone del tramonto di un'epoca e di un Impero (vero, e non plastificato come quello attuale: il che aumenta la dose di rimpianto nostalgico che avvolge chi si immerge in questa giocosa fiaba per immagini, peraltro estremamente curate così come la ricostruzione d'epoca). Lo fa rendendogli omaggio con un'opera di fantasia, con chiari riferimenti cinematografici a Lubitsch e Wilder, ambientata in un mondo favolistico e affollato di personaggi stralunati, ma non poi così improbabili, pieno di situazioni e di riferimenti alla realtà, sia dell'epoca - siamo negli anni Trenta in una fantasiosa Repubblica di Zubrowka nel cuore del Vecchio Continente - sia alla stessa natura umana. La storia prende avvio in un qualche Paese dell'Europa dell'Est del secondo dopoguerra, con l'omaggio di una ragazza alla statua di Zweig e il racconto fatto da uno scrittore di un suo incontro con Zero Mustafa, un'ex immigrato arabo divenuto proprietario di un vecchio, fatiscente ma ancora fascinoso albergo termale collocato in una qualche zona presumibilmente dei Monti Tatra che gli narra le vicissitudini attraverso le quali ne è venuto in possesso, da quando in gioventù era stato "garzoncello", allievo e successore di Monsieur Gustave H, il vero perno della vicenda, un perfetto concièrge interpretato da un Ralph Fiennes altrettanto perfetto, che di fatto dirigeva il Grand Hotel Budapest e aveva una predilezione per le più anziane ospiti. Da una di queste riceve in eredità un preziosissimo quadro d'epoca, suscitando l'ira del figlio. Quando si scopre che la donna era stata vittima di un omicidio, quest'ultimo, che ne è il responsabile, cerca di far cadere la colpa su Monsieur Gustave, e da qui prende via una serie di situazioni paradossali, colpi di scena, fughe, inseguimenti a rotta di collo, che vedono come protagonisti i due personaggi principali, attorniati da un coro di comprimari altrettanti originali interpretati, anche solo per brevi camei, da un cast di interpreti di assoluto livello che ha l'aria di divertirsi un mondo. Come fa il pubblico in sala, che gradisce quasi invariabilmente e ne esce con un generalizzato sorriso sulle labbra e di buon umore.
Mantiene ampiamente le aspettative Wes Anderson con questo divertente film presentato in apertura all'ultima Berlinale dove ha vinto il gran premio della giuria e ispirato, secondo quanto ha più volte ripetuto l'originale e poco convenzionale regista statunitense, al raffinato, e anche lui originale e poco convenzionale scrittore austriaco Stefan Zweig, che raggiunse l'apice della notorietà nell'epoca tra le due guerre dello scorso secolo, erede della migliore tradizione mitteleuropea, pacifista convinto e testimone del tramonto di un'epoca e di un Impero (vero, e non plastificato come quello attuale: il che aumenta la dose di rimpianto nostalgico che avvolge chi si immerge in questa giocosa fiaba per immagini, peraltro estremamente curate così come la ricostruzione d'epoca). Lo fa rendendogli omaggio con un'opera di fantasia, con chiari riferimenti cinematografici a Lubitsch e Wilder, ambientata in un mondo favolistico e affollato di personaggi stralunati, ma non poi così improbabili, pieno di situazioni e di riferimenti alla realtà, sia dell'epoca - siamo negli anni Trenta in una fantasiosa Repubblica di Zubrowka nel cuore del Vecchio Continente - sia alla stessa natura umana. La storia prende avvio in un qualche Paese dell'Europa dell'Est del secondo dopoguerra, con l'omaggio di una ragazza alla statua di Zweig e il racconto fatto da uno scrittore di un suo incontro con Zero Mustafa, un'ex immigrato arabo divenuto proprietario di un vecchio, fatiscente ma ancora fascinoso albergo termale collocato in una qualche zona presumibilmente dei Monti Tatra che gli narra le vicissitudini attraverso le quali ne è venuto in possesso, da quando in gioventù era stato "garzoncello", allievo e successore di Monsieur Gustave H, il vero perno della vicenda, un perfetto concièrge interpretato da un Ralph Fiennes altrettanto perfetto, che di fatto dirigeva il Grand Hotel Budapest e aveva una predilezione per le più anziane ospiti. Da una di queste riceve in eredità un preziosissimo quadro d'epoca, suscitando l'ira del figlio. Quando si scopre che la donna era stata vittima di un omicidio, quest'ultimo, che ne è il responsabile, cerca di far cadere la colpa su Monsieur Gustave, e da qui prende via una serie di situazioni paradossali, colpi di scena, fughe, inseguimenti a rotta di collo, che vedono come protagonisti i due personaggi principali, attorniati da un coro di comprimari altrettanti originali interpretati, anche solo per brevi camei, da un cast di interpreti di assoluto livello che ha l'aria di divertirsi un mondo. Come fa il pubblico in sala, che gradisce quasi invariabilmente e ne esce con un generalizzato sorriso sulle labbra e di buon umore.
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