mercoledì 1 dicembre 2021

Yara

"Yara" di Marco Tullio Giordana. Con Isabella Ragonese, Alessio Boni, Thomas Trabacchi, Roberto Zibetti, Rodolfo Corsato, Elena Cotta, Sandra Toffolatti, Chiara Bono e altri. Italia 2021 ★★★

Ho affrontato questo film, prodotto da Netflix, con molte perplessità, tant'è vero che ho evitato di vederlo sul grande schermo dove era uscito come "evento speciale" a metà ottobre e ho atteso che passasse sulla piattaforma in streaming. Troppo vicino, a mio avviso, e troppo sfruttato, da stampa e TV, il fatto di cronaca, avvenuto come si ricorderà nel novembre del 2011 quando, a Brembate di Sopra nella Bergamasca, venne denunciata la misteriosa scomparsa di una ragazzina di 13 anni, di cui al titolo, ritrovata cadavere in un campo nel febbraio successivo, cui seguì una lunga e complicatissima indagine che, dopo una prima cantonata che portò al macchinoso arresto di un giovane operaio marocchino, incolpato ingiustamente per un errore di traduzione dall'arabo di una telefonata intercettata, culminò nel 2014 con quello di tale Massimo Bossetti, poi condannato all'ergastolo nel 2016 con sentenza confermata nei tre gradi di giudizio, individuato attraverso il DNA ritrovato sugli indumenti e sul corpo di Yara. Sulla vicenda, al solito, si scatenò, alimentata dagli sciacalli dell'informazione guardona, la morbosità delle masse che si abbeverano alle loro fonti, pronta a dividersi, per italica consuetudine, tra colpevolisti e innocentisti improvvisandosi esperti di diritto, criminologia, genetica: meccanismo che chi fa informazione conosce benissimo e sfrutta senza indugi, e ancora meglio chi l'informazione, in questo Paese, la controlla, direttamente o indirettamente, ossia chi sta al potere, che su questa sorte di panem et circenses ci campa, soprattutto perché gli torna comodo che il popolo bue si trastulli e possibilmente si spacchi su due fronti contrapposti questioni che, con i giochi di potere, quelli veri, non hanno nulla a che vedere: armi di distrazione di massa, così vanno considerate; d'altronde il principio divide et impera è infallibile ancor prima dell'epoca dei Romani. Lo vediamo anche ora nella gestione della situazione "pandemica" giunta ormai al secondo inverno, volutamente confusionaria, che ha come risultato una sorta di guerra civile tra chi è favorevole ai vaccini e alla loro obbligatorietà e chi contrario a prescindere, e dove posizioni intermedie, o semplicemente di dubbio e di ragionamento, vengono rigettate da una parte come dall'altra. Conoscendo  i precedenti di Giordana, la sua rettitudine e il suo modo di fare vero cinema civile su fatti anche di cronaca (dagli omicidi di Pasolini e Impastato a Piazza Fontana) con una precisione quasi documentaristica, sapevo di non correre rischi, e infatti il film ripercorre cronologicamente le fasi dell'inchiesta e si concentra soprattutto su chi l'aveva condotta, il PM Letizia Ruggeri, interpretato impeccabilmente e con la consueta misura da Isabella Ragonese. La pellicola non nasconde nulla e non prende, al solito, posizioni preconcette: non nasconde le perplessità sollevate dagli avvocati e da alcuni esponenti politici del ricorso a uno screening di massa per la ricerca di un DNA all'incontrario, quelle sulle violazione alla riservatezza di notizie e dettagli personali, e nemmeno le reiterate rivendicazioni di innocenza da parte del Bossetti. Non a caso molte recensioni che ho trovato sui giornali lamentano che il regista abbia ritenuto di centrare la pellicola sul magistrato anziché sulla vittima: il vizio di rovistare nel fango non molla. Io trovo che opportunamente Giordana si sia concentrato sullo svolgimento delle indagini: Yara è nel titolo perché così fu chiamato il caso, cercare di entrare nel mondo della vittima, turbandone ulteriormente genitori e fratelli, è quel che fanno gli annusapatte di professione, quelli che, microfono in mano davanti magari alla madre di una vittima, non si  risparmiano nessuna nefandezza pur di avere un dettaglio, un particolare scabroso, un retroscena da dare in pasto alla canea che loro stessi hanno aizzato. A me fanno abbastanza ribrezzo, e preferisco il rigore, magari un po' meccanico e senza sensazionalismi, del regista milanese. Gli interpreti sono giusti nella parte e credibili, il racconto preciso, non c'è spazio per     sfumature insane e torbide, il racconto un po' piatto, questo sì. Però veritiero, onesto e, soprattutto, decente e rispettoso delle persone coinvolte.

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