"The Mule (Il corriere)" di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bradley Cooper, Laurence Fishbourne, Michael Peña, Dianne Wiest, Taissa Farmiga, Andy García, Alison Eastwood e altri. USA 2018 ★★★★★
Sarebbe ora che gli USA facessero scolpire il volto, unico nella sua espressione rimasta intatta da quando esordì come attore nel 1955, a 25 anni, fino a oggi che veleggia verso i 90, di Clint Eastwood sulle pareti del monte Rushmore, dove campeggiano le effigi dei presidenti americani: ha fatto più lui per rendere il suo Paese meno indigesto in giro per il mondo che tutti i governi USA degli ultimi settanta anni messi insieme; nel senso che ne compendia da solo tutti i lati positivi o, quanto meno, non disprezzabili anche quando non condivisibili. Non so se questo suo ultimo film da regista e da protagonista possa considerarsi il suo lascito testamentario o l'addio alle scene, assimilandolo a Old Man & The Gun di Robert Redford, con cui peraltro ha più di un punto in comune anche per la vicenda (tratta da una storia vera) che racconta, ma con risultati e una profondità del tutto diversi: conoscendo la tenacia dell'uomo, finché conserva la salute e la lucidità mentale testimoniata anche qui, è lecito sperare di no; in caso contrario, l'addio sarà stato degno della sua fama e, al contempo, l'intramontabile Clint ha fornito l'indicazione di un successore all'altezza: Bradley Cooper, che peraltro ha esordito alla regìa con un botto quale A Star Is Born, che ne ha confermato talento e qualità. Earl Stone è un appassionato floricultore, specializzato in emerocallidi (fiori che vivono un solo giorno) con cui la sua famiglia (moglie e figlia, quest'ultima interpretata dalla vera figlia di Clint, Allison), ha rotto da anni perché lui l'ha sempre trascurata cercare il proprio posto nel mondo attraverso il suo lavoro e quel che lo circonda: esposizioni, fiere, feste, riunioni, e tanta, tanta strada attraverso quasi tutti gli Stati della Federazione, senza mai prendere una sola multa in oltre mezzo secolo di attività, a partire dalla Guerra di Corea, di cui è un veterano. Quando la sua attività fallisce, perché messa in crisi dall'arrivo di internet, attraverso cui avvengono ormai quasi tutti gli ordini e le consegne, proprio per le sue caratteristiche di insospettabilità in considerazione dell'età e di affidabilità nella guida, diventa man mano il corriere di fiducia del cartello messicano di Sinaloa, quello che fa le consegne più voluminose nell'Illinois e in particolare nell'area urbana di Chicago, e così trova il denaro necessario per riprendersi la casa pignorata, tenere in piedi l'associazione dei veterani di guerra di cui è socio e soprattutto pagare gli studi a Ginny, la nipote, unica della sua famiglia con cui è rimasto in contatto. A inseguirlo, nel tentativo di stroncare il traffico, un agente speciale della Dea, impersonato da Bradley Cooper. Non voglio svelare nulla, anche se la trama è relativamente prevedibile ed è stata raccontata altrove, comunque il film, girato comunque con maestria, si può leggere su più livelli, a cominciare dal contrasto tra vecchio e giovane, nuovo e antico, vero e posticcio; quel che mi preme dire è che Eastwood, come sempre, non giudica e non si fa intrappolare dall'ovvio e men che mai dal "politicamente corretto": l'amore per la vita, per la libertà e per l'autenticità sono sempre le stesse, quel che conta è l'individuo, che trova sempre il modo di ragionare e mettersi nei panni di un altro, soprattutto rimanendo sé stesso, e l'idea è che non esista un morale unica e predefinita (vedasi l'incontro col boss del cartello, un meraviglioso cameo di Andy García, come tra due esponenti della "vecchia guardia" che si intendono al volo), ma soltanto un'etica individuale e una responsabilità personale, e che si è sempre in tempo a riconoscere e, se possibile, rimediare ai propri errori, di cui comunque un Cavaliere Pallido come quelli a cui ha sempre dato voce e volto Clint è sempre pronto a pagare il conto. Nella sua semplicità, sincerità, onestà profonda quest'uomo, prima ancora che come artista, mi è sempre piaciuto; non so chi l'abbia detto o scritto ma condivido: quando se ne andrà, e mi auguro il più tardi possibile, ci mancherà tantissimo e lo rimpiangeremo. Io, per stima e per gratitudine, per quel poco che conta, gli riconosco il massimo dei mei voti; non perché sia il suo film più bello ma perché li riassume tutti. Musica compresa, che è sempre ad alto livello. Perché Clint Eastwood è un uomo in blues, in tutto e per tutto, nero nell'anima.
Sarebbe ora che gli USA facessero scolpire il volto, unico nella sua espressione rimasta intatta da quando esordì come attore nel 1955, a 25 anni, fino a oggi che veleggia verso i 90, di Clint Eastwood sulle pareti del monte Rushmore, dove campeggiano le effigi dei presidenti americani: ha fatto più lui per rendere il suo Paese meno indigesto in giro per il mondo che tutti i governi USA degli ultimi settanta anni messi insieme; nel senso che ne compendia da solo tutti i lati positivi o, quanto meno, non disprezzabili anche quando non condivisibili. Non so se questo suo ultimo film da regista e da protagonista possa considerarsi il suo lascito testamentario o l'addio alle scene, assimilandolo a Old Man & The Gun di Robert Redford, con cui peraltro ha più di un punto in comune anche per la vicenda (tratta da una storia vera) che racconta, ma con risultati e una profondità del tutto diversi: conoscendo la tenacia dell'uomo, finché conserva la salute e la lucidità mentale testimoniata anche qui, è lecito sperare di no; in caso contrario, l'addio sarà stato degno della sua fama e, al contempo, l'intramontabile Clint ha fornito l'indicazione di un successore all'altezza: Bradley Cooper, che peraltro ha esordito alla regìa con un botto quale A Star Is Born, che ne ha confermato talento e qualità. Earl Stone è un appassionato floricultore, specializzato in emerocallidi (fiori che vivono un solo giorno) con cui la sua famiglia (moglie e figlia, quest'ultima interpretata dalla vera figlia di Clint, Allison), ha rotto da anni perché lui l'ha sempre trascurata cercare il proprio posto nel mondo attraverso il suo lavoro e quel che lo circonda: esposizioni, fiere, feste, riunioni, e tanta, tanta strada attraverso quasi tutti gli Stati della Federazione, senza mai prendere una sola multa in oltre mezzo secolo di attività, a partire dalla Guerra di Corea, di cui è un veterano. Quando la sua attività fallisce, perché messa in crisi dall'arrivo di internet, attraverso cui avvengono ormai quasi tutti gli ordini e le consegne, proprio per le sue caratteristiche di insospettabilità in considerazione dell'età e di affidabilità nella guida, diventa man mano il corriere di fiducia del cartello messicano di Sinaloa, quello che fa le consegne più voluminose nell'Illinois e in particolare nell'area urbana di Chicago, e così trova il denaro necessario per riprendersi la casa pignorata, tenere in piedi l'associazione dei veterani di guerra di cui è socio e soprattutto pagare gli studi a Ginny, la nipote, unica della sua famiglia con cui è rimasto in contatto. A inseguirlo, nel tentativo di stroncare il traffico, un agente speciale della Dea, impersonato da Bradley Cooper. Non voglio svelare nulla, anche se la trama è relativamente prevedibile ed è stata raccontata altrove, comunque il film, girato comunque con maestria, si può leggere su più livelli, a cominciare dal contrasto tra vecchio e giovane, nuovo e antico, vero e posticcio; quel che mi preme dire è che Eastwood, come sempre, non giudica e non si fa intrappolare dall'ovvio e men che mai dal "politicamente corretto": l'amore per la vita, per la libertà e per l'autenticità sono sempre le stesse, quel che conta è l'individuo, che trova sempre il modo di ragionare e mettersi nei panni di un altro, soprattutto rimanendo sé stesso, e l'idea è che non esista un morale unica e predefinita (vedasi l'incontro col boss del cartello, un meraviglioso cameo di Andy García, come tra due esponenti della "vecchia guardia" che si intendono al volo), ma soltanto un'etica individuale e una responsabilità personale, e che si è sempre in tempo a riconoscere e, se possibile, rimediare ai propri errori, di cui comunque un Cavaliere Pallido come quelli a cui ha sempre dato voce e volto Clint è sempre pronto a pagare il conto. Nella sua semplicità, sincerità, onestà profonda quest'uomo, prima ancora che come artista, mi è sempre piaciuto; non so chi l'abbia detto o scritto ma condivido: quando se ne andrà, e mi auguro il più tardi possibile, ci mancherà tantissimo e lo rimpiangeremo. Io, per stima e per gratitudine, per quel poco che conta, gli riconosco il massimo dei mei voti; non perché sia il suo film più bello ma perché li riassume tutti. Musica compresa, che è sempre ad alto livello. Perché Clint Eastwood è un uomo in blues, in tutto e per tutto, nero nell'anima.
Ok, ma i sottotitoli appesantiscono il tutto.
RispondiEliminaQuindi tanto valeva mettere anche quelli in protolatino..