"L'uomo dal cuore di ferro" (The Man with the Iron Heart) di Cédric Jimenez. Con Jason Clarke, Rosamund Pike, Mia Wasikowska, Jack O'Connell (II), Jack Renoir e altri. Francia, USA, GB, Belgio 2017 ★★½
Uscito nelle sale italiane in concomitanza col Giorno della memoria, che cadeva il 27 gennaio, questo film, che risale a due anni fa, per quanto meritorio, perché ricostruisce sia la vita e la carriera di Reinhard Heydrich, un personaggio cruciale nella pianificazione di quella che lui stesso aveva definito la Soluzione Finale del Problema Ebraico, sia della formazione di partigiani cecoslovacchi che riuscì ad eliminarlo, non per questo può dirsi del tutto riuscito: suddividendosi in due filoni di racconto, a cui se ne aggiunge in terzo che, però, per durata, è pari ai due di cui sopra, e che riguarda l'attentato per le cui conseguenze morì a Praga nella tarda primavera del 1942, il gerarca nazista più alto in grado che rimase ucciso durante il secondo conflitto mondiale, risultando spezzettato e disomogeneo nonché schematico, e con ritmi e modi a mio avvisto eccessivamente televisivi e con cadute nel melodramma abbastanza incongrue con la storia. Figlio di musicisti e cacciato dalla Marina, di cui era un promettente ufficiale, per comportamento indegno (aveva avuto una relazione con la figlia di un superiore rifiutandosi poi di sposarla e preferendo la donna, Lina von Osten, che l'avrebbe introdotto all'ideologia nazionalsocialista), conquistò la fiducia di Himmler per conto del quale costruì la rete di controspionaggio all'interno delle SS, fino a diventare, nel 1941, governatore del protettorato di Boemia e Moravia, acquistando definitivamente la meritata fama di Macellaio di Praga, altrimenti detto la Bestia Bionda. Di aspetto glaciale (la truce e respingente espressione di Jason Clarke lo rende molto bene, così come risulta convincente Rosamund Pike nella parte della aristocratica moglie alla fine delusa dalla indifferenza e totale anaffettività del marito; decisamente meno efficaci gli altri interpreti), spietato, violento e infinitamente arrogante ma anche estremamente meticoloso ed efficiente, la sua ascesa viene raccontata nei tratti salienti, così come la preparazione del commando partigiano composto, oltre che da Adolf Opálka, dal ceco Jan Kubiš e dallo slovacco Josef Gabčik, che si erano addestrati in Inghilterra e vennero paracadutati in Boemia nell'inverno precedente e infiltrati a Praga col compito di accopparlo (anche a rischio, come inevitabilmente fu, di scatenare la ritorsione da parte nazista, che per rappresaglia, nel villaggio di Lidice, a 25 chilometri dalla capitale uccisero, a gruppi di 10, 192 maschi di età superiore ai 16 anni). Dopo l'attentato, parzialmente fallito perché uno Sten si inceppò e Heydrich, pur ferito da una granata, rispose immediatamente al fuoco inseguendo gli attentatori, questi ultimi si rifugiarono in una chiesa dove vennero successivamente stanati pur scatenando una feroce sparatoria in seguito alla quale preferirono suicidarsi piuttosto che cadere in mano ai nazisti. Insomma, storia interessante, che si ispira al romanzo HHhH di Laurent Binet, Premio Goncourt per il 2012, mentre il titolo del film deriva dalla definizione che Hitler in persona diede di Heydrich, ma si poteva fare, cinematograficamente, qualcosa di più e di meglio.
Uscito nelle sale italiane in concomitanza col Giorno della memoria, che cadeva il 27 gennaio, questo film, che risale a due anni fa, per quanto meritorio, perché ricostruisce sia la vita e la carriera di Reinhard Heydrich, un personaggio cruciale nella pianificazione di quella che lui stesso aveva definito la Soluzione Finale del Problema Ebraico, sia della formazione di partigiani cecoslovacchi che riuscì ad eliminarlo, non per questo può dirsi del tutto riuscito: suddividendosi in due filoni di racconto, a cui se ne aggiunge in terzo che, però, per durata, è pari ai due di cui sopra, e che riguarda l'attentato per le cui conseguenze morì a Praga nella tarda primavera del 1942, il gerarca nazista più alto in grado che rimase ucciso durante il secondo conflitto mondiale, risultando spezzettato e disomogeneo nonché schematico, e con ritmi e modi a mio avvisto eccessivamente televisivi e con cadute nel melodramma abbastanza incongrue con la storia. Figlio di musicisti e cacciato dalla Marina, di cui era un promettente ufficiale, per comportamento indegno (aveva avuto una relazione con la figlia di un superiore rifiutandosi poi di sposarla e preferendo la donna, Lina von Osten, che l'avrebbe introdotto all'ideologia nazionalsocialista), conquistò la fiducia di Himmler per conto del quale costruì la rete di controspionaggio all'interno delle SS, fino a diventare, nel 1941, governatore del protettorato di Boemia e Moravia, acquistando definitivamente la meritata fama di Macellaio di Praga, altrimenti detto la Bestia Bionda. Di aspetto glaciale (la truce e respingente espressione di Jason Clarke lo rende molto bene, così come risulta convincente Rosamund Pike nella parte della aristocratica moglie alla fine delusa dalla indifferenza e totale anaffettività del marito; decisamente meno efficaci gli altri interpreti), spietato, violento e infinitamente arrogante ma anche estremamente meticoloso ed efficiente, la sua ascesa viene raccontata nei tratti salienti, così come la preparazione del commando partigiano composto, oltre che da Adolf Opálka, dal ceco Jan Kubiš e dallo slovacco Josef Gabčik, che si erano addestrati in Inghilterra e vennero paracadutati in Boemia nell'inverno precedente e infiltrati a Praga col compito di accopparlo (anche a rischio, come inevitabilmente fu, di scatenare la ritorsione da parte nazista, che per rappresaglia, nel villaggio di Lidice, a 25 chilometri dalla capitale uccisero, a gruppi di 10, 192 maschi di età superiore ai 16 anni). Dopo l'attentato, parzialmente fallito perché uno Sten si inceppò e Heydrich, pur ferito da una granata, rispose immediatamente al fuoco inseguendo gli attentatori, questi ultimi si rifugiarono in una chiesa dove vennero successivamente stanati pur scatenando una feroce sparatoria in seguito alla quale preferirono suicidarsi piuttosto che cadere in mano ai nazisti. Insomma, storia interessante, che si ispira al romanzo HHhH di Laurent Binet, Premio Goncourt per il 2012, mentre il titolo del film deriva dalla definizione che Hitler in persona diede di Heydrich, ma si poteva fare, cinematograficamente, qualcosa di più e di meglio.
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