Ufficio ricordi smarriti
Solitamente dico la mia su uno spettacolo a cui ho assistito a ridosso dell'evento, al massimo un paio di giorni dopo; stavolta ho atteso che fosse trascorso quasi un mese dall'ultima rappresentazione del 7º episodio, l'unico a percorso non predefinito, di questa straordinaria esperienza di teatro partecipato curato dall'attrice e regista Rita Maffei per la 36ª stagione di Teatro Contatto per il CSS/Teatro Stabile d'innovazione del Friuli-Venezia Giulia. Partecipato nel vero senso della parola, sia da parte dei trentasette interpreti coinvolti nell'ideazione, allestimento e messa in scena di quello che si può definire un laboratorio, e il pubblico, che ne è protagonista al pari degli attori condividendone gli spazi (ogni volta diversi: una camera da letto, un tinello, un ufficio, una tenda, una sala cinematografica, una panchina o quant'altro), solitamente uno per volta, da visitare/incontrare in un percorso che si fa singolarmente: non una "visita guidata", dunque, e la sorpresa è costantemente dietro l'angolo. Non ho mai avuto a che fare con la psicanalisi, di cui peraltro diffido, almeno nella sua versione freudiana, e le mie esperienze si limitano ad alcuni colloqui con una psicologa anni fa, e mi chiedo se il coinvolgimento, a livello emozionale e di intensità, possa essere paragonabile; a quello fisico senz'altro no, perché la condivisione in uno stesso ambito fisico dei ricordi talvolta reali, altre volte evocati, altre perfino creati di un'altra persona con cui si è in contatto attraverso tutti e cinque i sensi (talvolta si condivide un cibo, o una bevanda: perfino il gusto ha la sua parte) ti entra sottopelle e ti rende, per l'appunto, partecipe. O almeno è quello che mi è capitato dal primo episodio della prima puntata: la sensazione è quella di affidarsi a una persona di fiducia e di poter lasciare correre la mente, i pensieri, per recuperare sensazioni e pezzi di memoria che in parte sono comuni; le riflessioni sul senso dei ricordi, sulla loro formazione e permanenza, sulla dimensione temporale vengono spontanee e l'effetto che ho provato, all'uscita di ciascuna delle sette puntate (dalle sei alle dieci stanze che si visitano in ognuna di esse, per un totale di mezz'ora/quaranta minuti di media), era quello di una pace profonda, probabilmente per il fatto di rendersi conto di quanto i ricordi possano essere al contempo simili e diversi, same same but different, perché, parafrasando Cartesio, se ricordo perché sono, è altrettanto vero che sono perché ricordo. Da notare che i membri del collettivo N.46°-E13°, ossia le coordinate di Udine, sono tutte persone (in grande maggioranza di sesso femminile) che chi frequenta cinema, teatri, librerie, musei e gallerie e alcune osterie tipiche in città conosce di vista se non di persona, per cui l'altra riflessione che viene spontanea è quella della maschera o meglio delle maschere che ognuno di noi indossa nei vari momenti non solo della propria esistenza, ma perfino nella stessa giornata, a volte una sull'altra nello stesso momento, e ci si immedesima nella situazione perché se ne ha chiara la percezione. La cosa stupefacente è che tutte le sensazioni che ho provato, per quanto intense e che mi spesso mi colpivano profondamente, hanno sempre lasciato una traccia positiva, un'aura lieve, un senso di pace. Un'esperienza dei sensi e una medicina per la mente più che uno spettacolo (che il teatro sia terapeutico l'ho sempre sostenuto), una pausa per riflettere e per trovare un equilibrio con sé stessi, di cui ringrazio Rita Maffei, il CSS e l'intero collettivo N.46°-E13°, di cui non escludo di entrare a far parte in occasione di una prossima produzione.
Nota di servizio: se trascinate/scaricate l'immagine in jpeg sulla scrivania del vostro PC, usando l'ingrandimento dovreste poter leggere con chiarezza il testo dell'articolo di presentazione del lavoro, uscito sul Messaggero Veneto il giorno della prima "puntata", il 6 dicembre scorso.
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