"Tito e gli alieni" di Paola Randi. Con Valerio Mastandrea, Luca Esposito, Clémence Poésy, Chiara Stella Riccio, Gianfelice Imparato, Miguel Herrera e altri. Italia 2017 ★★★★★
Sono contento di avere avuto l'occasione di vedere questo secondo lavoro di Paola Randi (il suo esordio nel lungometraggio, Into Paradiso, purtroppo me l'ero perso) a pochi giorni di distanza dal tanto decantato Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, perché rappresenta perfettamente tutto quello che quest'ultimo avrebbe voluto essere e non non ci è riuscito neppure lontanamente: immaginifico, poetico, autentico, comprensibile, lieve, emozionante, divertente, a tratti commovente senza essere mai lacrimoso e giocare sul facile sentimentalismo. Il tutto concentrato in 90 minuti, 40' in meno di quell'altra mappazza indigesta e velleitaria. Il bello della stagione estiva, considerata morta, è che vengono riesumate e mandate in giro nelle sale lungo la Penisola e lontano dai centri maggiori pellicole colpevolmente considerate minori come questa, uscita nell'autunno dell'anno scorso senza il traino della partecipazione a qualche festival glamour e relativo accompagnamento delle fanfare della critica da riporto e militonta, e che talvolta risultano essere degli autentici gioielli: a dispetto di un budget infinitamente più limitato, di non poter contare su coproduzioni internazionali e non usufruire di potenti entrature nel settore, la differenza di qualità, coinvolgimento e gradevolezza tra i due film in questione è abissale, premiando passione autentica, capacità di comunicazione e fantasia. Il Professore (Valerio Mastandrea in una prestazione ancora una volta esemplarmente misurata), uno scienziato napoletano che ha ideato un decodificatore di eventuali messaggi che arrivano dallo spazio profondo e da sei anni segue con scarsi risultati per conto dell'aeronautica USA un progetto nel pieno del deserto del Nevada, in prossimità dell'Area 51, viene scosso dalla sua abulia, dovuta alla scomparsa della amata moglie e collega, di cui pure una volta ha percepito la voce attraverso il marchingegno di sua invenzione, dall'arrivo dei due figli di suo fratello Fidel, già orfani di madre, preannunciato da un messaggio video postumo dell'uomo, morto a sua volta. Anita, 16 enne che vorrebbe emulare Lady Gaga, e soprattutto Tito, 7 anni, che desidera più di ogni cosa parlare nuovamente con suo padre, sconvolgono, in positivo, la sua esistenza solitaria di depresso cronico, finora vivacizzata soltanto dalle visite di Stella, una ragazza che di mestiere organizza matrimoni per quegli ormai rari turisti che credono ancora agli alieni. Sarà lo scugnizzo Tito, capace di interloquire senza problemi con LINDA, questo il nome del decrittatore, un arnese a metà tra un calcolatore d'antan e una slot machine, a dare una svolta al progetto proprio mentre l'USAF intende cancellarlo, mettendo in contatto gli astanti, in un finale sorprendente ed evocativo, con i propri ricordi e lasciandoli in uno stato di pace con sé stessi. Senza esagerare, siamo dalle parti di Incontri ravvicinati del terzo tipo ed ET, come impatto emozionale, senza l'ausilio degli effetti speciali, qui artigianali ma altrettanto efficaci nel contesto, e la grandiosità dei mezzi a disposizione. A dare compattezza ed equilibrio al film, una sceneggiatura felicemente scorrevole, una fotografia assolutamente di prim'ordine, una colonna sonora semplice e azzeccata così come il cast nel suo insieme. Una bellissima sorpresa: questo è cinema. Se ne avete occasione correte a vederlo oppure aspettate che venga trasmesso, tra non molto, in TV on demand, ma su grande schermi sicuramente rende molto meglio. Complimenti vivissimi all'autrice e ai produttori.
Sono contento di avere avuto l'occasione di vedere questo secondo lavoro di Paola Randi (il suo esordio nel lungometraggio, Into Paradiso, purtroppo me l'ero perso) a pochi giorni di distanza dal tanto decantato Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, perché rappresenta perfettamente tutto quello che quest'ultimo avrebbe voluto essere e non non ci è riuscito neppure lontanamente: immaginifico, poetico, autentico, comprensibile, lieve, emozionante, divertente, a tratti commovente senza essere mai lacrimoso e giocare sul facile sentimentalismo. Il tutto concentrato in 90 minuti, 40' in meno di quell'altra mappazza indigesta e velleitaria. Il bello della stagione estiva, considerata morta, è che vengono riesumate e mandate in giro nelle sale lungo la Penisola e lontano dai centri maggiori pellicole colpevolmente considerate minori come questa, uscita nell'autunno dell'anno scorso senza il traino della partecipazione a qualche festival glamour e relativo accompagnamento delle fanfare della critica da riporto e militonta, e che talvolta risultano essere degli autentici gioielli: a dispetto di un budget infinitamente più limitato, di non poter contare su coproduzioni internazionali e non usufruire di potenti entrature nel settore, la differenza di qualità, coinvolgimento e gradevolezza tra i due film in questione è abissale, premiando passione autentica, capacità di comunicazione e fantasia. Il Professore (Valerio Mastandrea in una prestazione ancora una volta esemplarmente misurata), uno scienziato napoletano che ha ideato un decodificatore di eventuali messaggi che arrivano dallo spazio profondo e da sei anni segue con scarsi risultati per conto dell'aeronautica USA un progetto nel pieno del deserto del Nevada, in prossimità dell'Area 51, viene scosso dalla sua abulia, dovuta alla scomparsa della amata moglie e collega, di cui pure una volta ha percepito la voce attraverso il marchingegno di sua invenzione, dall'arrivo dei due figli di suo fratello Fidel, già orfani di madre, preannunciato da un messaggio video postumo dell'uomo, morto a sua volta. Anita, 16 enne che vorrebbe emulare Lady Gaga, e soprattutto Tito, 7 anni, che desidera più di ogni cosa parlare nuovamente con suo padre, sconvolgono, in positivo, la sua esistenza solitaria di depresso cronico, finora vivacizzata soltanto dalle visite di Stella, una ragazza che di mestiere organizza matrimoni per quegli ormai rari turisti che credono ancora agli alieni. Sarà lo scugnizzo Tito, capace di interloquire senza problemi con LINDA, questo il nome del decrittatore, un arnese a metà tra un calcolatore d'antan e una slot machine, a dare una svolta al progetto proprio mentre l'USAF intende cancellarlo, mettendo in contatto gli astanti, in un finale sorprendente ed evocativo, con i propri ricordi e lasciandoli in uno stato di pace con sé stessi. Senza esagerare, siamo dalle parti di Incontri ravvicinati del terzo tipo ed ET, come impatto emozionale, senza l'ausilio degli effetti speciali, qui artigianali ma altrettanto efficaci nel contesto, e la grandiosità dei mezzi a disposizione. A dare compattezza ed equilibrio al film, una sceneggiatura felicemente scorrevole, una fotografia assolutamente di prim'ordine, una colonna sonora semplice e azzeccata così come il cast nel suo insieme. Una bellissima sorpresa: questo è cinema. Se ne avete occasione correte a vederlo oppure aspettate che venga trasmesso, tra non molto, in TV on demand, ma su grande schermi sicuramente rende molto meglio. Complimenti vivissimi all'autrice e ai produttori.
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