"La terra dell'abbastanza" di Damiano e Fabio D'Innocenzo. Con Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti e altri. Italia 2018 ★★★★
Ancora un esordio molto incoraggiante alla regìa, questa volta di due gemelli romani ventinovenni, avvenuto senza passare dal via, nemmeno un cortometraggio alle spalle, che rivela capacità non comuni di utilizzare il linguaggio cinematografico in tutti i suoi aspetti, da quelli tecnici a quelli di contenuto, coerenti a un genere, il noir, pur approcciando il mondo criminale in maniera originale e parlando anche d'altro e pur ambientando la pellicola in una periferia, in questo caso romana, al pari di in altri ottimi film come Manuel e Cuori puri: si può ben dire che la prematura scomparsa di Claudio Caligari ha lasciato un vuoto che alcuni giovani colleghi stanno riempiendo con onore. Mirko (l'esordiente assoluto Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano, già apprezzato in Tutto quello che vuoi) sono due giovani amici fraterni che vivono nella periferia di Roma, frequentano l'istituto alberghiero e non hanno grandissime ambizioni: mentre ne chiacchierano scherzando, al ritorno a casa in macchina dopo una serata assieme, inavvertitamente Mirko, alla guida, investe un uomo sbucato dal nulla. I due ragazzi, terrorizzati, scappano e si rifugiano dal padre di Manolo (Max Tortora, in un inconsueto ruolo drammatico) che li tranquillizza. La svolta il giorno seguente, quando quest'ultimo scopre che la vittima, morta sul colpo, era un "infame", un pentito, su cui il boss della malavita locale voleva vendicarsi e intravvede per suo figlio la possibilità, appunto, di svoltare ed entrare a far parte della banda, cosa che lui, rimasto solo, irresoluto e ridotto a giocare alle slot machine a cinquanta e passa anni, non è nemmeno riuscito a fare. Manolo prima recalcitra, poi accetta e si autoconvince facilmente che il padre abbia ragione e comincia a comportarsi da sgamato; Mirko alla fine lo convince a far entrare anche lui nel giro e così, in breve tempo, i due amici di sempre fanno in coppia tutto l'apprendistato del giovane delinquente, dall'omicidio su commissione, allo spaccio, alla gestione delle prostitute, con una facilità e indifferenza totali. Mentre nella prima parte il film si concentra su Manolo, più introverso, riflessivo, nella seconda vira su Mirko, più tormentato ed esplosivo e anche più sotto pressione, specie per via del rapporto con una madre, Alessia (Milena Mancini), che lo ha avuto molto giovane, parecchio più complesso di quanto Manolo abbia con suo padre, e ancora più soggetto a un fondo di complesso di colpa che contrasta con la naturalezza con cui si adegua alla vita criminale e ai vacui simboli del successo, esibiti come trofei a dimostrazione di essere "arrivato". Un'escalation che sembra implacabile, fino all'imprevisto... Non svelo ovviamente i colpi di scena finali, ciò che mi preme sottolineare è la bravura nel far lavorare assieme un cast scelto con rara accuratezza, una sceneggiatura senza sbavature che va dritto allo scopo, la giusta tensione e i repentini cambi di passo, tutti al momento giusto per raccontare sì una vicenda tutto sommato banale di iniziazione al crimine, ma anche una storia di assenze di figure di riferimento, in particolare quella di padre, perché quella del genitore di Manolo è più quella di una sorta di prosseneta, che col figlio ha un rapporto totalmente inesistente, mentre quello materno di Alessia con Mirko, per quanto conflittuale, esiste ed è vivo d parte di entrambi. Un film potente e coinvolgente, con un'unica pecca: parlato in gergo romanesco così stretto e particolare che necessiterebbe di sottotitoli (non siamo nelle solite terrazze capitoline o nei nuovi quartieri di tendenza con vista Gazometro ma nella periferia extra GRA di Ponte di Nona)
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