"Manuel" di Dario Albertini. Con Andrea Lattanzi, Francesca Antonelli, Giulia Elettra Gorietti, Raffaella Rea, Renato Scarpa, Giulio Baranek, Alessandro Di Carlo, Monica Carpanese, Renato Scarpa a altri. Italia 2017 ★★★★★
Artista polivalente, fotografo, musicista e documentarista che si è sempre occupato di realtà marginali e degradate, Dario Albertini esordisce nel lungometraggio con un film mirabile, eccezionale per le semplicità del racconto e l'immedesimazione che provoca nello spettatore, dovuta anche all'accurata scelta di interpreti così bravi e in ruolo da dare l'impressione di essere stati presi per strada a mettere in scena la propria vita, in particolare Andrea Lattanzi, a sua volta alla prima prova da protagonista. E che protagonista, dato che la macchina da presa lo segue dall'inizio alla fine del film, e per un buon terzo della sua durata è ripreso in primissimo piano mostrandosi sempre perfettamente naturale, cosa difficile da reggere anche per un attore scafato e di lungo corso, figurarsi per i plotoni di televisionati e raccomandati che abbondano nell'ambiente (nazionale e no). Manuel, appena compiuta la maggiore età, è in procinto di abbandonare la casa-famiglia gestita da religiosi dove è stato cresciuto da quando la madre Veronica è finita in carcere, dove ha da scontare ancora due anni di pena: potrebbe fare richiesta di usufruire dei domiciliari soltanto nel caso che il figlio accettasse di prendersi la responsabilità di accudirla dimostrando ai servizi sociali di esserne convinto e in grado di farlo, e il film racconta questo percorso del ragazzo nei pochi giorni che vanno dall'abbandono della casa d'accoglienza, dove ha ricevuto un'educazione nei limiti del possibile (nel passato ai ragazzi veniva insegnato un mestiere sicuro, oggi non ve n'è più la possibilità) ma ha anche dato molta disponibilità, intrecciando rapporti intensi sia con gli altri ragazzi (per molti una specie di fratello maggiore) sia col personale, all'udienza presso il tribunale di sorveglianza che deve dare il benestare alla concessione della custodia domiciliare alla madre: in questo brevissimo lasso di tempo Manuel deve reimparare a muoversi nel mondo esterno, prenderne le misure, valutare le proprie capacità di adattarvisi, in poche parole passare dall'adolescenza all'età adulta in una realtà che oltre a essergli estranea è pure quella dei desolanti casermoni-dormitorio lungo il Litorale romano. Nell'arco di una settimana deve pulire e risistemare l'appartamento ancora sottosopra dall'irruzione dei carabinieri di cinque anni prima, incontrare l'avvocato che lo istruisce sul comportamento da tenere e le risposte da dare durante il colloqui con l'assistente sociale, con la quale Manuel giocherà la carta della sincerità che risulterà più che convincente; avrà degli incontri che gli saranno da faro, altri che lo tenteranno sia con la cocaina, sia facendogli intravvedere facili alternative di guadagno: lo seguiamo man mano mentre è assalito dai dubbi sull'essere in grado di affrontare la situazione e di essere lui il sostegno per la madre e dalla relativa ansia, assistendo anche a un attacco di panico così verosimile da sembrare vero (non è escluso che lo sia, tale è l'identificazione che riesce a Lattanzio col suo personaggio), così come tutto il film potrebbe sembrare un documentario: di sicuro è in grado di coinvolgere ed emozionare profondamente come se lo fosse. Certo: siamo nel solco del miglior neorealismo, ovviamente attualizzato, il terreno più alto, ma non il solo, in cui si muove certo nuovo cinema italiano che pure esiste e merita di avere maggiore sostegno. Sono però sicuro che il pubblico sarà capace di premiare adeguatamente questo piccolo grande film, importante per quello che è e quello che dice al di là del fatto di segnare l'esordio di un "nuovo" regista e la nascita di una "nuova" star, che comunque ho la certezza saranno in grado di gestirsi in modo tale da non guastarsi. Da non perdere.
Artista polivalente, fotografo, musicista e documentarista che si è sempre occupato di realtà marginali e degradate, Dario Albertini esordisce nel lungometraggio con un film mirabile, eccezionale per le semplicità del racconto e l'immedesimazione che provoca nello spettatore, dovuta anche all'accurata scelta di interpreti così bravi e in ruolo da dare l'impressione di essere stati presi per strada a mettere in scena la propria vita, in particolare Andrea Lattanzi, a sua volta alla prima prova da protagonista. E che protagonista, dato che la macchina da presa lo segue dall'inizio alla fine del film, e per un buon terzo della sua durata è ripreso in primissimo piano mostrandosi sempre perfettamente naturale, cosa difficile da reggere anche per un attore scafato e di lungo corso, figurarsi per i plotoni di televisionati e raccomandati che abbondano nell'ambiente (nazionale e no). Manuel, appena compiuta la maggiore età, è in procinto di abbandonare la casa-famiglia gestita da religiosi dove è stato cresciuto da quando la madre Veronica è finita in carcere, dove ha da scontare ancora due anni di pena: potrebbe fare richiesta di usufruire dei domiciliari soltanto nel caso che il figlio accettasse di prendersi la responsabilità di accudirla dimostrando ai servizi sociali di esserne convinto e in grado di farlo, e il film racconta questo percorso del ragazzo nei pochi giorni che vanno dall'abbandono della casa d'accoglienza, dove ha ricevuto un'educazione nei limiti del possibile (nel passato ai ragazzi veniva insegnato un mestiere sicuro, oggi non ve n'è più la possibilità) ma ha anche dato molta disponibilità, intrecciando rapporti intensi sia con gli altri ragazzi (per molti una specie di fratello maggiore) sia col personale, all'udienza presso il tribunale di sorveglianza che deve dare il benestare alla concessione della custodia domiciliare alla madre: in questo brevissimo lasso di tempo Manuel deve reimparare a muoversi nel mondo esterno, prenderne le misure, valutare le proprie capacità di adattarvisi, in poche parole passare dall'adolescenza all'età adulta in una realtà che oltre a essergli estranea è pure quella dei desolanti casermoni-dormitorio lungo il Litorale romano. Nell'arco di una settimana deve pulire e risistemare l'appartamento ancora sottosopra dall'irruzione dei carabinieri di cinque anni prima, incontrare l'avvocato che lo istruisce sul comportamento da tenere e le risposte da dare durante il colloqui con l'assistente sociale, con la quale Manuel giocherà la carta della sincerità che risulterà più che convincente; avrà degli incontri che gli saranno da faro, altri che lo tenteranno sia con la cocaina, sia facendogli intravvedere facili alternative di guadagno: lo seguiamo man mano mentre è assalito dai dubbi sull'essere in grado di affrontare la situazione e di essere lui il sostegno per la madre e dalla relativa ansia, assistendo anche a un attacco di panico così verosimile da sembrare vero (non è escluso che lo sia, tale è l'identificazione che riesce a Lattanzio col suo personaggio), così come tutto il film potrebbe sembrare un documentario: di sicuro è in grado di coinvolgere ed emozionare profondamente come se lo fosse. Certo: siamo nel solco del miglior neorealismo, ovviamente attualizzato, il terreno più alto, ma non il solo, in cui si muove certo nuovo cinema italiano che pure esiste e merita di avere maggiore sostegno. Sono però sicuro che il pubblico sarà capace di premiare adeguatamente questo piccolo grande film, importante per quello che è e quello che dice al di là del fatto di segnare l'esordio di un "nuovo" regista e la nascita di una "nuova" star, che comunque ho la certezza saranno in grado di gestirsi in modo tale da non guastarsi. Da non perdere.
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