"Hotel Gagarin" di Simone Spada. Con Claudio Amendola, Luca Argentero, Giuseppe Battiston, Barbara Bobulova, Silvia D'Amico, Caterina Shulha, Philppe Leroy, Tommaso Ragno e altri. Italia 2018 ★★★½
Sia il cast, sia la sinossi, sia l'inizio del film fanno temere la solita commedia sgangherata sul mondo cinematografaro romanesco: un maneggione amico di un ministro si improvvisa produttore (Ragno) allo scopo di incassare un finanziamento europeo per girare un film in Armenia, con la finalità di promuovere quel Paese, e l'idea è di mettere insieme una troupe improvvisata dove sceneggiatore e regista è un insegnante di storia in un liceo con il sogno di dirigere un film (Battiston); operatore un freak fuori tempo massimo che fa il fotografo free lance, indebitato con il pusher che gli procura il fumo (Argentero); tecnico luci un elettricista incrociato per caso (Amendola) e protagonista una prostituta conosciuta davanti a un chiosco (D'Amico). Sono questi i personaggi, tutti degli squattrinati e disillusi, che il lestofante affida a Valeria (Bobulova), una conoscente sempre ingrugnata con cui ha già condotto degli affari loschi e che fa l'interprete di russo, con l'idea di mollarli lì in Armenia una volta incassato il finanziamento e sparire col malloppo in cambio di cinquantamila euro per il disturbo. Ma è proprio quando quest'improbabile squadra sbarca a Erevan, e viene presa in carico dai referenti locali (un'autista punk incinta e una guida locale perennemente sbronza), e viene trasportata nel remoto Hotel Gagarin, un ex albergone di lusso sopravvissuto all'era sovietica sperduto tra le foreste con vista lago nell'interno del Paese e riaperto apposta per loro, che il film cambia tono e prende le ali, per assumere un tono fiabesco e poetico soprattutto dopo che l'intero gruppo rimane bloccato perché nel frattempo è scoppiata la guerra nel vicino Nagorno Karabakh, impossibilitato a rientrare in Italia e, soprattutto, viene scoperto l'inganno. Ma non si perderanno d'animo e anzi, sollecitati dalla popolazione locale, montanari che vengono in pellegrinaggio a vedere da vicino questi esponenti di una prestigiosa tradizione di fabbricanti di sogni, ché questo è il cinema, si metteranno all'opera per trasformare la sala per gli spettacoli dell'albergo in un teatro di posa dove, artigianalmente, trasformeranno in piccoli film i sogni (cinematografici) dei villici e, oltre ad aver occupato proficuamente il loro tempo nell'attesa che l'ambasciata italiana riesca a mettersi in contatto con loro, a loro volta si chiariscono le idee su quel che vogliono e possono fare per realizzare i loro, di sogni, e finiscono per prendere ognuno la strada che desidera secondo la propria vocazione invece che crogiolarsi nel fallimento. Esordio più che positivo nel lungometraggio per Simone Spada, con una storia semplice ed emblematica, trattata con lievità ma seriamente, con sguardo ironico e affettuoso e un tocco surreale che la rende estremamente gradevole, e che non scade mai nel buonismo melenso e nell'insincerità, e cast perfettamente azzeccato.
Sia il cast, sia la sinossi, sia l'inizio del film fanno temere la solita commedia sgangherata sul mondo cinematografaro romanesco: un maneggione amico di un ministro si improvvisa produttore (Ragno) allo scopo di incassare un finanziamento europeo per girare un film in Armenia, con la finalità di promuovere quel Paese, e l'idea è di mettere insieme una troupe improvvisata dove sceneggiatore e regista è un insegnante di storia in un liceo con il sogno di dirigere un film (Battiston); operatore un freak fuori tempo massimo che fa il fotografo free lance, indebitato con il pusher che gli procura il fumo (Argentero); tecnico luci un elettricista incrociato per caso (Amendola) e protagonista una prostituta conosciuta davanti a un chiosco (D'Amico). Sono questi i personaggi, tutti degli squattrinati e disillusi, che il lestofante affida a Valeria (Bobulova), una conoscente sempre ingrugnata con cui ha già condotto degli affari loschi e che fa l'interprete di russo, con l'idea di mollarli lì in Armenia una volta incassato il finanziamento e sparire col malloppo in cambio di cinquantamila euro per il disturbo. Ma è proprio quando quest'improbabile squadra sbarca a Erevan, e viene presa in carico dai referenti locali (un'autista punk incinta e una guida locale perennemente sbronza), e viene trasportata nel remoto Hotel Gagarin, un ex albergone di lusso sopravvissuto all'era sovietica sperduto tra le foreste con vista lago nell'interno del Paese e riaperto apposta per loro, che il film cambia tono e prende le ali, per assumere un tono fiabesco e poetico soprattutto dopo che l'intero gruppo rimane bloccato perché nel frattempo è scoppiata la guerra nel vicino Nagorno Karabakh, impossibilitato a rientrare in Italia e, soprattutto, viene scoperto l'inganno. Ma non si perderanno d'animo e anzi, sollecitati dalla popolazione locale, montanari che vengono in pellegrinaggio a vedere da vicino questi esponenti di una prestigiosa tradizione di fabbricanti di sogni, ché questo è il cinema, si metteranno all'opera per trasformare la sala per gli spettacoli dell'albergo in un teatro di posa dove, artigianalmente, trasformeranno in piccoli film i sogni (cinematografici) dei villici e, oltre ad aver occupato proficuamente il loro tempo nell'attesa che l'ambasciata italiana riesca a mettersi in contatto con loro, a loro volta si chiariscono le idee su quel che vogliono e possono fare per realizzare i loro, di sogni, e finiscono per prendere ognuno la strada che desidera secondo la propria vocazione invece che crogiolarsi nel fallimento. Esordio più che positivo nel lungometraggio per Simone Spada, con una storia semplice ed emblematica, trattata con lievità ma seriamente, con sguardo ironico e affettuoso e un tocco surreale che la rende estremamente gradevole, e che non scade mai nel buonismo melenso e nell'insincerità, e cast perfettamente azzeccato.
Nessun commento:
Posta un commento