"Eric Clapton - Life in 12 Bars" di Lili Fini Zanuck. Con Eric Clapton. GB 2017 ★★★★
Combinazione o una strana configurazione astrale, ma la maternità, il bisogno di verità nel rapporto tra genitori e figli e il senso di abbandono e di rifiuto è il tema sia di questo film biografico, sia della tragedia teatrale di Strindberg Il padre, sia del bel Figlia mia di Laura Bispuri, in gara in questi giorni alla Berlinale di cui parlerò prossimamente. Eric Clapton da Ripley, Surrey, ai margini della Greater London sulla strada per Portsmouth, classe 1945 è, non soltanto a mio parere, il più grande e completo chitarrista che abbia mai calcato le scene del blues e del rock, così diverso e così simile (oltre che grande amico e compagno di lunghe elucubrazioni notturne), anche caratterialmente, a Jimi Hendrix; un talento precoce come quello del sodale Steve Winwood, la cui passione per la musica e la successiva applicazione maniacale allo strumento furono la valvola di sfogo per una scoperta sconvolgente e un dolore che ha segnato tutta la sua vita dopo essere venuto a sapere, all'età di nove anni, che quella che credeva sua sorella maggiore, emigrata in Canada subito dopo la sua nascita, era in realtà sua madre, e non la nonna che, assieme al secondo marito, lo avevano cresciuto fino ad allora. Questo lo racconta Clapton stesso alla regista, sua amica, che ne ha raccolto le confidenze oltre alle testimonianze di chi lo ha conosciuto bene, dai suoi colleghi alle donne che gli furono a fianco, a cominciare da Patty Boyd, già moglie del suo amico, collega e vicino di casa George Harrison, oggetto da parte del musicista di una vera e propria ossessione che gli procurò scompensi enormi e quasi fatali ma gli ispirò anche l'intero album registrato come Derek and the Dominoes nel 1970 fra cui un pezzo memorabile come Layla. Il talento si innescò su un terreno già fertile: fin da piccolo Clapton amava isolarsi e aveva spiccate inclinazioni artistiche, a cominciare del disegno (in questo uguale a Keith Richards, e come lui studente della scuola d'arte); la musica divenne terapeutica nella pubertà fino alla decisione, già a quindici anni, di diventare un musicista professionista. Il film ripercorre i primi passi coi Roosters, la frequentazione, il giovedì sera, dedicato al blues, del Marquee Club di Londra (assieme, tra gli altri, ai Rolling Stones); poi l'esperienza con gli Yardbirds, che abbandonò non appena virarono al pop per arruolarsi nei Blues Breakers di John Mayall, allievo di Alexis Corner, il padre del blues inglese, ossia bianco; quindi il primo periodo d'oro con i Cream. La carriera di Clapton è sempre stata movimentata, caratterizzata da alti e bassi che seguivano anche l'andamento dei suoi rapporti con la dipendenza da eroina e, successivamente, da alcol: possibilmente anche peggiore e più devastante, nelle parole dell'artista, che ammette in più occasioni di non amare la vita. E c'è da credergli, soprattutto dopo essere stato rifiutato una seconda volta esplicitamente da sua madre, che nel frattempo aveva avuto altri due figli, nella tarda adolescenza, durante una riunione di famiglia in una base militare in Germania. Che Clapton fosse un introverso, con tratti che spesso sconfinavano nell'autismo, era evidente perfino nelle sue esibizioni dal vivo, mancando completamente di empatia e capacità di comunicare, benché il successo e l'ammirazione del pubblico, che non gli sono mai mancati perfino nei momenti più difficili, fossero una medicina per il suo bisogno di affetto e di essere riconosciuto e stimato, ma non è mai bastato a dargli l'equilibrio di cui aveva bisogno. Ci era riuscita la nascita del figlio Conor, avuto da Lory Del Santo, conosciuta durante le tappa milanese di un suo tour nel 1985 (a cui assistei), ma la tragedia era nuovamente dietro l'angolo, dato che morì cadendo da una finestra aperta in un grattacielo di New York nel 1991. Paradossalmente, in un uomo già depresso di suo, fu la molla che lo portò ad affrontare una volta per tutte le sue dipendenze e a fare un qualche modo pace coi suoi tormenti e segnò un'altra svolta nella sua carriera, dando inizio a quella da solista e alle numerose collaborazioni coi suoi idoli di gioventù, a cominciare da B. B. King. Nel film tanto materiale d'archivio, filmati d'epoca, comprese immagini e riprese anche del periodo di maggiore degrado, sia nella sua villa nella campagna inglese, sia dei deliri sul palco, con concerti interrotti e litigi col pubblico. Clapton, che si è nascosto per lunghi tratti della sua vita, anche professionale, dietro nomi di copertura, in questo film è di una sincerità totale e la cosa di cui va più orgoglioso è la comunità Crossroads, aperta ad Antigua per il recupero dalla dipendenza non di star ma di persone disagiate: a questo fine ha messo all'asta perfino la sua preziosissima collezione di chitarre. Infelice, spesso scostante, sicuramente più per imbarazzo che per spocchia, rimane il musicista che forse più di tutti ha contribuito a fare uscire il blues dal recinto della musica di neri e per neri , rendendola universale: quel blues che è sentimento che nasce dal dolore, e lui lo conosce da vicino, e sta alla base del jazz come del rock. Da non perdere per chi ama Mr Slowhand.
Combinazione o una strana configurazione astrale, ma la maternità, il bisogno di verità nel rapporto tra genitori e figli e il senso di abbandono e di rifiuto è il tema sia di questo film biografico, sia della tragedia teatrale di Strindberg Il padre, sia del bel Figlia mia di Laura Bispuri, in gara in questi giorni alla Berlinale di cui parlerò prossimamente. Eric Clapton da Ripley, Surrey, ai margini della Greater London sulla strada per Portsmouth, classe 1945 è, non soltanto a mio parere, il più grande e completo chitarrista che abbia mai calcato le scene del blues e del rock, così diverso e così simile (oltre che grande amico e compagno di lunghe elucubrazioni notturne), anche caratterialmente, a Jimi Hendrix; un talento precoce come quello del sodale Steve Winwood, la cui passione per la musica e la successiva applicazione maniacale allo strumento furono la valvola di sfogo per una scoperta sconvolgente e un dolore che ha segnato tutta la sua vita dopo essere venuto a sapere, all'età di nove anni, che quella che credeva sua sorella maggiore, emigrata in Canada subito dopo la sua nascita, era in realtà sua madre, e non la nonna che, assieme al secondo marito, lo avevano cresciuto fino ad allora. Questo lo racconta Clapton stesso alla regista, sua amica, che ne ha raccolto le confidenze oltre alle testimonianze di chi lo ha conosciuto bene, dai suoi colleghi alle donne che gli furono a fianco, a cominciare da Patty Boyd, già moglie del suo amico, collega e vicino di casa George Harrison, oggetto da parte del musicista di una vera e propria ossessione che gli procurò scompensi enormi e quasi fatali ma gli ispirò anche l'intero album registrato come Derek and the Dominoes nel 1970 fra cui un pezzo memorabile come Layla. Il talento si innescò su un terreno già fertile: fin da piccolo Clapton amava isolarsi e aveva spiccate inclinazioni artistiche, a cominciare del disegno (in questo uguale a Keith Richards, e come lui studente della scuola d'arte); la musica divenne terapeutica nella pubertà fino alla decisione, già a quindici anni, di diventare un musicista professionista. Il film ripercorre i primi passi coi Roosters, la frequentazione, il giovedì sera, dedicato al blues, del Marquee Club di Londra (assieme, tra gli altri, ai Rolling Stones); poi l'esperienza con gli Yardbirds, che abbandonò non appena virarono al pop per arruolarsi nei Blues Breakers di John Mayall, allievo di Alexis Corner, il padre del blues inglese, ossia bianco; quindi il primo periodo d'oro con i Cream. La carriera di Clapton è sempre stata movimentata, caratterizzata da alti e bassi che seguivano anche l'andamento dei suoi rapporti con la dipendenza da eroina e, successivamente, da alcol: possibilmente anche peggiore e più devastante, nelle parole dell'artista, che ammette in più occasioni di non amare la vita. E c'è da credergli, soprattutto dopo essere stato rifiutato una seconda volta esplicitamente da sua madre, che nel frattempo aveva avuto altri due figli, nella tarda adolescenza, durante una riunione di famiglia in una base militare in Germania. Che Clapton fosse un introverso, con tratti che spesso sconfinavano nell'autismo, era evidente perfino nelle sue esibizioni dal vivo, mancando completamente di empatia e capacità di comunicare, benché il successo e l'ammirazione del pubblico, che non gli sono mai mancati perfino nei momenti più difficili, fossero una medicina per il suo bisogno di affetto e di essere riconosciuto e stimato, ma non è mai bastato a dargli l'equilibrio di cui aveva bisogno. Ci era riuscita la nascita del figlio Conor, avuto da Lory Del Santo, conosciuta durante le tappa milanese di un suo tour nel 1985 (a cui assistei), ma la tragedia era nuovamente dietro l'angolo, dato che morì cadendo da una finestra aperta in un grattacielo di New York nel 1991. Paradossalmente, in un uomo già depresso di suo, fu la molla che lo portò ad affrontare una volta per tutte le sue dipendenze e a fare un qualche modo pace coi suoi tormenti e segnò un'altra svolta nella sua carriera, dando inizio a quella da solista e alle numerose collaborazioni coi suoi idoli di gioventù, a cominciare da B. B. King. Nel film tanto materiale d'archivio, filmati d'epoca, comprese immagini e riprese anche del periodo di maggiore degrado, sia nella sua villa nella campagna inglese, sia dei deliri sul palco, con concerti interrotti e litigi col pubblico. Clapton, che si è nascosto per lunghi tratti della sua vita, anche professionale, dietro nomi di copertura, in questo film è di una sincerità totale e la cosa di cui va più orgoglioso è la comunità Crossroads, aperta ad Antigua per il recupero dalla dipendenza non di star ma di persone disagiate: a questo fine ha messo all'asta perfino la sua preziosissima collezione di chitarre. Infelice, spesso scostante, sicuramente più per imbarazzo che per spocchia, rimane il musicista che forse più di tutti ha contribuito a fare uscire il blues dal recinto della musica di neri e per neri , rendendola universale: quel blues che è sentimento che nasce dal dolore, e lui lo conosce da vicino, e sta alla base del jazz come del rock. Da non perdere per chi ama Mr Slowhand.
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