"L'ordine delle cose" di Andrea Segre. Con Paolo Pierobon, Giuseppe Battiston, Valentina Carnelutti, Roberto Citran, Fabrizio Ferracane, Khalifa Abo Khraisse, Olivier Rabourdin, Hossein Taheri, Yusra Warsama. Itala, Francia 2017 ★★★★+
Al terzo lungometraggio dopo Io sono li e La prima neve, Andrea Segre, veneziano di Dolo che nasce come documentarista e continua la sua attività come tale, è diventato una certezza nel panorama del nostro cinema migliore, affrontando ancora una volta il tema delle migrazioni ma sempre in un'ottica personale e molto particolare, mai banale. Ne L'ordine delle cose perfino preveggente, poiché con lo sceneggiatore Marco Pettenello ha lavorato all'idea che ne sta alla base per cinque anni, e da due con il collega e giornalista libico Khalifa Abo Khraisse (autore delle Cartoline da Tripoli pubblicate da Internazionale), ossia la necessità di cambiare prospettiva nel modo di vedere e di definire il fenomeno migratorio (al centro dell'attenzione mediatica senza che mai ne vengano analizzate ed affrontare seriamente le cause) oltre la dicotomia tra contenimento/respingimento e accoglienza prendendo in considerazione il diritto individuale al movimento, salvo rimanere impigliati nell'ordine delle cose come il protagonista di questo ottimo film di finzione. Che è un alto funzionario del ministero degli Interni, ex poliziotto, interpretato da un bravissimo Paolo Pietrobon, il quale viene inviato in Libia per trovare e concludere degli accordi che portino alla drastica diminuzione degli sbarchi sulle coste italiane, utilizzando allo scopo le ingenti somme messe a disposizione dall'Unione Europea per allestire campi di raccolta e hot spot (esattamente quel che si sta verificando in queste settimane nella realtà, patteggiando con le diverse fazioni libiche in contrasto tra loro). Mentre assieme ad altri due funzionari italiani che si muovono anche loro nell'ambiente dei servizi fa un sopralluogo nel campo di Sabrata, incrocia una giovane donna somala, Swada, che riesce a segnalargli le violenze che vi avvengono e a consegnargli una microcard da recapitare a un suo zio a Roma perché l'aiuti a uscire da lì e a proseguire il viaggio per raggiungere il marito in Finlandia. Anche se la regola per i funzionari sarebbe quella di non farsi mai coinvolgere personalmente nelle vicende dei migranti, cercando di pensarli come numeri da ridurre in misura tale renderla notiziabile (questo l'osceno neologismo utilizzato dal ministro degli Interni nel film, e perfettamente plausibile nel paese del ciaone e del petaloso), Corrado viene incuriosito dalla vicenda e da lì nascono i suoi dubbi. Non ci sarà alcun lieto fine consolatorio ma tante domande e spunti di riflessione a volontà in una pellicola strutturata come una spy story e che ne ha tutta la tensione, estremamente realistica e credibile (gli autori hanno condotto un'autentica inchiesta giornalistica raccogliendo le testimonianze di personaggi operativi in loco i quali non potevano certo esporsi in prima persona) e quel che ne è il risultato è un film di impegno civile come non se ne vedevano da tempo. Un grazie ad Andrea Segre, che assieme a Khalifa Abo Khraisse ha presentato lunedì sera L'ordine delle cose nella sala grande (stracolma) del Visionario di Udine e si è poi intrattenuto col pubblico e complimenti a tutto il cast e ai produttori.
Al terzo lungometraggio dopo Io sono li e La prima neve, Andrea Segre, veneziano di Dolo che nasce come documentarista e continua la sua attività come tale, è diventato una certezza nel panorama del nostro cinema migliore, affrontando ancora una volta il tema delle migrazioni ma sempre in un'ottica personale e molto particolare, mai banale. Ne L'ordine delle cose perfino preveggente, poiché con lo sceneggiatore Marco Pettenello ha lavorato all'idea che ne sta alla base per cinque anni, e da due con il collega e giornalista libico Khalifa Abo Khraisse (autore delle Cartoline da Tripoli pubblicate da Internazionale), ossia la necessità di cambiare prospettiva nel modo di vedere e di definire il fenomeno migratorio (al centro dell'attenzione mediatica senza che mai ne vengano analizzate ed affrontare seriamente le cause) oltre la dicotomia tra contenimento/respingimento e accoglienza prendendo in considerazione il diritto individuale al movimento, salvo rimanere impigliati nell'ordine delle cose come il protagonista di questo ottimo film di finzione. Che è un alto funzionario del ministero degli Interni, ex poliziotto, interpretato da un bravissimo Paolo Pietrobon, il quale viene inviato in Libia per trovare e concludere degli accordi che portino alla drastica diminuzione degli sbarchi sulle coste italiane, utilizzando allo scopo le ingenti somme messe a disposizione dall'Unione Europea per allestire campi di raccolta e hot spot (esattamente quel che si sta verificando in queste settimane nella realtà, patteggiando con le diverse fazioni libiche in contrasto tra loro). Mentre assieme ad altri due funzionari italiani che si muovono anche loro nell'ambiente dei servizi fa un sopralluogo nel campo di Sabrata, incrocia una giovane donna somala, Swada, che riesce a segnalargli le violenze che vi avvengono e a consegnargli una microcard da recapitare a un suo zio a Roma perché l'aiuti a uscire da lì e a proseguire il viaggio per raggiungere il marito in Finlandia. Anche se la regola per i funzionari sarebbe quella di non farsi mai coinvolgere personalmente nelle vicende dei migranti, cercando di pensarli come numeri da ridurre in misura tale renderla notiziabile (questo l'osceno neologismo utilizzato dal ministro degli Interni nel film, e perfettamente plausibile nel paese del ciaone e del petaloso), Corrado viene incuriosito dalla vicenda e da lì nascono i suoi dubbi. Non ci sarà alcun lieto fine consolatorio ma tante domande e spunti di riflessione a volontà in una pellicola strutturata come una spy story e che ne ha tutta la tensione, estremamente realistica e credibile (gli autori hanno condotto un'autentica inchiesta giornalistica raccogliendo le testimonianze di personaggi operativi in loco i quali non potevano certo esporsi in prima persona) e quel che ne è il risultato è un film di impegno civile come non se ne vedevano da tempo. Un grazie ad Andrea Segre, che assieme a Khalifa Abo Khraisse ha presentato lunedì sera L'ordine delle cose nella sala grande (stracolma) del Visionario di Udine e si è poi intrattenuto col pubblico e complimenti a tutto il cast e ai produttori.
Nessun commento:
Posta un commento