"Metro Manila" di Sean Ellis. Con Jake Macapagal, John Arcilla, Althea Vega, Ana Abad Santos, Miles Canapi, Moises Magisa, Reuben Uy e altri. GB 2013 ★★★½
Con ben quattro anni di ritardo e in piena estate viene proposto anche in Italia questo film che, nell'anno di uscita, aveva ricevuto il premio del pubblico al Sundance Festival: non una garanzia in sé, almeno per quanto mi riguarda, essendo questa rassegna del cinema indipendente anche quella in cui imperversano buonismo e politicamente corretto; ma Metro Manila, diretto con mano e buon ritmo dall'inglese Sean Ellis, ma ambientato nella capitale delle Filippine e interpretato esclusivamente da attori locali, esce dagli schemi e si avvicina, semmai, ad alcune produzioni di Hong Kong o perfino giapponesi (mi riferisco a Takeshi Kitano). Di solito il genere poliziesco è quello che consente meglio di raccontare le storture di una società, i suoi vizi più nascosti e a dipingere la sua quotidianità e le sue sfaccettature, diventando in qualche modo di denuncia; qui Ellis sembra fare il percorso contrario: prende una giovane coppia, Oscar e Mia, due agricoltori con due figlie piccole di di Banaue, idilliaca zone di risaie terrazzate nel Nord dell'arcipelago, costretti a emigrare a Manila dove vengono immediatamente inghiottiti in una situazione di degrado, violenza e sfruttamento che per loro, anime innocenti e profondamente oneste, è inimmaginabile. Immediatamente truffati un paio di volte e privati dei miseri risparmi, finiscono nello slum di Tondo, dove Mia è costretta a lavorare e prostituirsi in un bar ambiguo mentre Oscar si sente miracolato per essere stato scelto a un colloquio per diventare autista di furgoni portavalori, il lavoro più pericoloso e a rischio in una città infernale come quella. In realtà è stato adocchiato da un ex poliziotto che aveva prestato servizio nel suo stesso corpo di fanteria nell'esercito, che ne ha riconosciuto l'appartenenza per un tatuaggio. Questi si fa suo mentore e benefattore, lo fa assumere e lo sceglie come suo nuovo partner, ma in realtà ha un piano per costringerlo, con le buone o con le cattive, a recuperare la copia della seconda chiave che serve per aprire una cassetta per valori che aveva sottratto, senza dichiararla ai suoi superiori, durante un precedente assalto che aveva subito e poi nascosto: il suo socio era morto, lui no. Ellis, ispirandosi a un fatto realmente avvenuto, innesca un meccanismo implacabile che ricorda quello di Le iene di Quentin Tarantino, di cui Oscar riesce a capire il funzionamento e, quando vede che non ha via d'uscita, trova il modo che siano la moglie e le figlie a trarne vantaggio per poter fuggire dal quell'orrore e avere la possibilità di costruirsi una vita dignitosa. Da un lato il film permette di gettare più di un'occhio nella realtà disastrata di una città abnorme, corrotta e malsana come Manila, dall'altro è in grado di coinvolgere l'attenzione dello spettatore con un ritmo sempre più incalzante lungo un percorso dove non sono pochi i colpi di scena mai però gratuiti e incongrui con la vicenda raccontata. Buona la regia, altrettanto la fotografia e validi tutti gli interpreti; il film è in lingua originale (qualcosa si capisce a causa dei molti termini di origine spagnola) e sottotitolato, comunque vale la pena: un noir per l'estate...
Con ben quattro anni di ritardo e in piena estate viene proposto anche in Italia questo film che, nell'anno di uscita, aveva ricevuto il premio del pubblico al Sundance Festival: non una garanzia in sé, almeno per quanto mi riguarda, essendo questa rassegna del cinema indipendente anche quella in cui imperversano buonismo e politicamente corretto; ma Metro Manila, diretto con mano e buon ritmo dall'inglese Sean Ellis, ma ambientato nella capitale delle Filippine e interpretato esclusivamente da attori locali, esce dagli schemi e si avvicina, semmai, ad alcune produzioni di Hong Kong o perfino giapponesi (mi riferisco a Takeshi Kitano). Di solito il genere poliziesco è quello che consente meglio di raccontare le storture di una società, i suoi vizi più nascosti e a dipingere la sua quotidianità e le sue sfaccettature, diventando in qualche modo di denuncia; qui Ellis sembra fare il percorso contrario: prende una giovane coppia, Oscar e Mia, due agricoltori con due figlie piccole di di Banaue, idilliaca zone di risaie terrazzate nel Nord dell'arcipelago, costretti a emigrare a Manila dove vengono immediatamente inghiottiti in una situazione di degrado, violenza e sfruttamento che per loro, anime innocenti e profondamente oneste, è inimmaginabile. Immediatamente truffati un paio di volte e privati dei miseri risparmi, finiscono nello slum di Tondo, dove Mia è costretta a lavorare e prostituirsi in un bar ambiguo mentre Oscar si sente miracolato per essere stato scelto a un colloquio per diventare autista di furgoni portavalori, il lavoro più pericoloso e a rischio in una città infernale come quella. In realtà è stato adocchiato da un ex poliziotto che aveva prestato servizio nel suo stesso corpo di fanteria nell'esercito, che ne ha riconosciuto l'appartenenza per un tatuaggio. Questi si fa suo mentore e benefattore, lo fa assumere e lo sceglie come suo nuovo partner, ma in realtà ha un piano per costringerlo, con le buone o con le cattive, a recuperare la copia della seconda chiave che serve per aprire una cassetta per valori che aveva sottratto, senza dichiararla ai suoi superiori, durante un precedente assalto che aveva subito e poi nascosto: il suo socio era morto, lui no. Ellis, ispirandosi a un fatto realmente avvenuto, innesca un meccanismo implacabile che ricorda quello di Le iene di Quentin Tarantino, di cui Oscar riesce a capire il funzionamento e, quando vede che non ha via d'uscita, trova il modo che siano la moglie e le figlie a trarne vantaggio per poter fuggire dal quell'orrore e avere la possibilità di costruirsi una vita dignitosa. Da un lato il film permette di gettare più di un'occhio nella realtà disastrata di una città abnorme, corrotta e malsana come Manila, dall'altro è in grado di coinvolgere l'attenzione dello spettatore con un ritmo sempre più incalzante lungo un percorso dove non sono pochi i colpi di scena mai però gratuiti e incongrui con la vicenda raccontata. Buona la regia, altrettanto la fotografia e validi tutti gli interpreti; il film è in lingua originale (qualcosa si capisce a causa dei molti termini di origine spagnola) e sottotitolato, comunque vale la pena: un noir per l'estate...
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