"Questi giorni" di Giuseppe Piccioni. Con Margherita Buy, Maria Roveran, Marta Gastini, Caterina le Caselle, Laura Adriani, Filippo Timi, Sergio Rubini e altri. Italia 2016 ★★★½
Decima regia di Giuseppe Piccioni, presentato in concorso alla 73ª Mostra del cinema di Venezia insieme ad altri tre film italiani, e tenuto in nessun conto da una giuria che ha premiato una pellicola filippina in bianco e nero della durata di quattro ore, e questo è di per sé un merito, considerata la scarsa credibilità raggiunta negli ultimi anni dalla rassegna lagunare. L'altro è quello di aver dato spazio all'interazione tra quattro giovani e brave attrici, tra cui Maria Roveran, in particolare quando duetta con una splendida Margherita Buy, qui nel ruolo di una madre briosa e poco affidabile, è qualcosa di più di un'emergente, in grado di rendere molto bene, con sguardi, gesti e parole le inquietudini che agitano un gruppo di ragazze legate dall'età e dalle comuni abitudini in una città di provincia della costa adriatica. L'amicizia che le unisce è quella che nasce dall'abitudine, ma ciò che cova in fondo, il non detto, ciò che ciascuna tiene per sé, le paure come le aspirazioni più profonde, l'incertezza dell'avvenire vengono alla luce nel viaggio che intraprendono per accompagnare una di loro, Caterina (la brava Marta Gastini, alle prese con un personaggio determinato quanto insicuro, tenacemente innamorata dell'amica del cuore Angela, la Roveran appunto, una brillante e timida studentessa di letteratura, che custodisce un doloroso segreto), la quale ha ottenuto lavoro, tramite una misteriosa amica serba con cui è in contatto via Skype, in un prestigioso albergo di Belgrado. Così si imbarcano su un traghetto diretto in Montenegro per raggiungere, tre giorni dopo, la capitale dell'ex Jugoslavia. Alla staticità e consuetudinarietà della vita quotidiana si contrappone, dunque, la dimensione del viaggio, in cui i tempi, anche interiori, si dilatano e assume una dimensione ben più precisa la percezione di sé stessi, infatti non è un caso che sia in viaggio che più facilmente venga a galla la propria personailtà più profonda e più frequentemente si verifichino delle rotture o dei cambi di direzione nelle relazioni o anche nei propri personali percorsi. Tutto questo il film di Piccioni lo esprime molto bene con delicatezza ma senza alcun sentimentalismo, perfino con qualche venatura ironica però mai sarcastica e pesante. Ho trovato adeguata la regia, ben definiti i personaggi, e data una voce a una generazione di ragazzi fortunatamente molto diversi dai loro fratelli maggiori di cui accennavo nel post precedente, e con risultai molto migliori di Tommaso che a Venezia, invece, esra stato presentato fuori concorso: insomma, un film valido e consigliato.
Decima regia di Giuseppe Piccioni, presentato in concorso alla 73ª Mostra del cinema di Venezia insieme ad altri tre film italiani, e tenuto in nessun conto da una giuria che ha premiato una pellicola filippina in bianco e nero della durata di quattro ore, e questo è di per sé un merito, considerata la scarsa credibilità raggiunta negli ultimi anni dalla rassegna lagunare. L'altro è quello di aver dato spazio all'interazione tra quattro giovani e brave attrici, tra cui Maria Roveran, in particolare quando duetta con una splendida Margherita Buy, qui nel ruolo di una madre briosa e poco affidabile, è qualcosa di più di un'emergente, in grado di rendere molto bene, con sguardi, gesti e parole le inquietudini che agitano un gruppo di ragazze legate dall'età e dalle comuni abitudini in una città di provincia della costa adriatica. L'amicizia che le unisce è quella che nasce dall'abitudine, ma ciò che cova in fondo, il non detto, ciò che ciascuna tiene per sé, le paure come le aspirazioni più profonde, l'incertezza dell'avvenire vengono alla luce nel viaggio che intraprendono per accompagnare una di loro, Caterina (la brava Marta Gastini, alle prese con un personaggio determinato quanto insicuro, tenacemente innamorata dell'amica del cuore Angela, la Roveran appunto, una brillante e timida studentessa di letteratura, che custodisce un doloroso segreto), la quale ha ottenuto lavoro, tramite una misteriosa amica serba con cui è in contatto via Skype, in un prestigioso albergo di Belgrado. Così si imbarcano su un traghetto diretto in Montenegro per raggiungere, tre giorni dopo, la capitale dell'ex Jugoslavia. Alla staticità e consuetudinarietà della vita quotidiana si contrappone, dunque, la dimensione del viaggio, in cui i tempi, anche interiori, si dilatano e assume una dimensione ben più precisa la percezione di sé stessi, infatti non è un caso che sia in viaggio che più facilmente venga a galla la propria personailtà più profonda e più frequentemente si verifichino delle rotture o dei cambi di direzione nelle relazioni o anche nei propri personali percorsi. Tutto questo il film di Piccioni lo esprime molto bene con delicatezza ma senza alcun sentimentalismo, perfino con qualche venatura ironica però mai sarcastica e pesante. Ho trovato adeguata la regia, ben definiti i personaggi, e data una voce a una generazione di ragazzi fortunatamente molto diversi dai loro fratelli maggiori di cui accennavo nel post precedente, e con risultai molto migliori di Tommaso che a Venezia, invece, esra stato presentato fuori concorso: insomma, un film valido e consigliato.
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