"La vita possibile" di Ivano De Matteo. Con Margherita Buy, Valeria Golino, Andrea Pittorino, Caterina Shulha, Bruno Todeschini e altri. Italia 2016 ★★½
Mi rincresce dirlo, ma le regie di De Matteo, che ho trovato estremamente promettente all'esordio con La bella gente (del 2009, ma uscito nelle sale soltanto l'anno scorso), seguito da Gli equilibristi (2012) e infine da I nostri ragazzi (2014) mi sembrano sempre meno convincenti col passare del tempo, come se l'autore fosse vittima di una crescente stanchezza. Sempre ottime le intenzioni: parlare della vita reale nel Paese reale, e anche in quest'occasione l'inizio è col botto. Anzi, con un pugno nello stomaco, quello che riceve Anna (Margherita Buy) dal marito violento e senza volto, al termine dell'ennesimo litigio culminato in pestaggio, alle cui fasi finali assiste Valerio, il figlio tredicenne della coppia, nella bella abitazione romana di famiglia. Per Anna è il punto di non ritorno e subito dopo la vediamo col figlio in treno alla volta di Torino, dove si rifugia dall'amica del cuore, Carla, con cui ha convissuto da ragazza per tre anni, attrice insicura e disadattata che vive nel capoluogo piemontese in una minuscola casa di ringhiera che fa molto bohème, ben contenta di ospitare l'amica e il ragazzo per toglierli dalle grinfie del marito e padre manesco da un lato, e alleviare la propria solitudine dall'altro. Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare, De Matteo non prende la strada più facile, quella della condanna della violenza sulle donne di cui sono purtroppo pieni i media, ma quella della descrizione del rapporto tra madre e figlio, con le difficoltà, perfino eccessiva, di affrontare l'argomento da parte di entrambi, e dell'adattamento di entrambi e una realtà nuova e diversa, che vede Anna adeguarsi a un lavoro di fatica, l'unico che viene proposto a una donna di mezza età come lei senza professionalità specifiche e santi in paradiso, e il difficile ambientamento del figlio in una Torino per certi versi marginale (quella della zona di Porta Palazzo e del Balòn), che non a caso trova i primi agganci in città con Larissa, una giovane prostituta russa che vede come una specie di sorella maggiore, e Maurice, un altro outsider (e straniero come Larissa e, in definitiva, Valerio stesso), ex calciatore francese del Torino, che pare aver avuto problemi con la giustizia e che gestisce una trattoria di fronte alla casa dove vivono con Carla. Eppure qualcosa non funziona: per quanto sia valida l'interpretazione del giovane Andrea Pittorino, la figura di questo tredicenne non convince, troppo infantile per essere convincente nonostante sia fornito di un'indipendenza a sua volta eccessiva per un adolescente di quell'età almeno nell'Italia eternamente mammona e iperprotettiva di oggi; allo stesso modo qualcosa non torna nel silenzio tra lui e la madre sul motivo per cui si sono trasferiti, argomento appena sfiorato perfino tra Anna e l'amica Carla. Inoltre la parte centrale del film è eccessivamente lenta, ripetitiva e prevedibile. Come sempre buona l'interpretazione della Buy, sempre perfetta nella parte della donna irrisolta e in eterno disagio (ma sarebbe ora di vederla finalmente in un ruolo diverso, come per esempio nel recente Questi giorni), e se torna a merito di De Matteo avere impedito a Valeria Golino di cannibalizzare il suo personaggio, è altrettanto vero che quello di Carla rimane soltanto abbozzato e finisce per sparire quasi del tutto; altrettanto, se è meritorio sottolineare l'idiozia e l'incongruenza delle legislazione italiana sulla protezione delle donne maltrattate, è poco credibile che un marito a cui non sia stata tolta la patria potestà sul figlio non si metta sulle tracce sue e della moglie: insomma qualcosa non torna, così come una Torino ben fotografata ma eccessivamente cartolinesca. Meno male che pur senza sciogliersi in un happy end melenso, lodevolmente risparmiatoci dal regista, nel finale la pellicola faccia intravvedere la fondata speranza che una nuova vita sia, come dice il titolo, possibile. Almeno per chi proviene da un ambiente borghese come quello che De Matteo conosce e descrive assai bene.
Mi rincresce dirlo, ma le regie di De Matteo, che ho trovato estremamente promettente all'esordio con La bella gente (del 2009, ma uscito nelle sale soltanto l'anno scorso), seguito da Gli equilibristi (2012) e infine da I nostri ragazzi (2014) mi sembrano sempre meno convincenti col passare del tempo, come se l'autore fosse vittima di una crescente stanchezza. Sempre ottime le intenzioni: parlare della vita reale nel Paese reale, e anche in quest'occasione l'inizio è col botto. Anzi, con un pugno nello stomaco, quello che riceve Anna (Margherita Buy) dal marito violento e senza volto, al termine dell'ennesimo litigio culminato in pestaggio, alle cui fasi finali assiste Valerio, il figlio tredicenne della coppia, nella bella abitazione romana di famiglia. Per Anna è il punto di non ritorno e subito dopo la vediamo col figlio in treno alla volta di Torino, dove si rifugia dall'amica del cuore, Carla, con cui ha convissuto da ragazza per tre anni, attrice insicura e disadattata che vive nel capoluogo piemontese in una minuscola casa di ringhiera che fa molto bohème, ben contenta di ospitare l'amica e il ragazzo per toglierli dalle grinfie del marito e padre manesco da un lato, e alleviare la propria solitudine dall'altro. Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare, De Matteo non prende la strada più facile, quella della condanna della violenza sulle donne di cui sono purtroppo pieni i media, ma quella della descrizione del rapporto tra madre e figlio, con le difficoltà, perfino eccessiva, di affrontare l'argomento da parte di entrambi, e dell'adattamento di entrambi e una realtà nuova e diversa, che vede Anna adeguarsi a un lavoro di fatica, l'unico che viene proposto a una donna di mezza età come lei senza professionalità specifiche e santi in paradiso, e il difficile ambientamento del figlio in una Torino per certi versi marginale (quella della zona di Porta Palazzo e del Balòn), che non a caso trova i primi agganci in città con Larissa, una giovane prostituta russa che vede come una specie di sorella maggiore, e Maurice, un altro outsider (e straniero come Larissa e, in definitiva, Valerio stesso), ex calciatore francese del Torino, che pare aver avuto problemi con la giustizia e che gestisce una trattoria di fronte alla casa dove vivono con Carla. Eppure qualcosa non funziona: per quanto sia valida l'interpretazione del giovane Andrea Pittorino, la figura di questo tredicenne non convince, troppo infantile per essere convincente nonostante sia fornito di un'indipendenza a sua volta eccessiva per un adolescente di quell'età almeno nell'Italia eternamente mammona e iperprotettiva di oggi; allo stesso modo qualcosa non torna nel silenzio tra lui e la madre sul motivo per cui si sono trasferiti, argomento appena sfiorato perfino tra Anna e l'amica Carla. Inoltre la parte centrale del film è eccessivamente lenta, ripetitiva e prevedibile. Come sempre buona l'interpretazione della Buy, sempre perfetta nella parte della donna irrisolta e in eterno disagio (ma sarebbe ora di vederla finalmente in un ruolo diverso, come per esempio nel recente Questi giorni), e se torna a merito di De Matteo avere impedito a Valeria Golino di cannibalizzare il suo personaggio, è altrettanto vero che quello di Carla rimane soltanto abbozzato e finisce per sparire quasi del tutto; altrettanto, se è meritorio sottolineare l'idiozia e l'incongruenza delle legislazione italiana sulla protezione delle donne maltrattate, è poco credibile che un marito a cui non sia stata tolta la patria potestà sul figlio non si metta sulle tracce sue e della moglie: insomma qualcosa non torna, così come una Torino ben fotografata ma eccessivamente cartolinesca. Meno male che pur senza sciogliersi in un happy end melenso, lodevolmente risparmiatoci dal regista, nel finale la pellicola faccia intravvedere la fondata speranza che una nuova vita sia, come dice il titolo, possibile. Almeno per chi proviene da un ambiente borghese come quello che De Matteo conosce e descrive assai bene.
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