"Il condominio dei cuori infranti" (Asphalte) di Samuel Benchetrit. Con Isabelle Huppert, Jules Benchetrit, Gustave Kervern, Valeria Bruni Tedeschi, Tassadit Mandi, Michael Pitt, Mickaël Graehling, Larouci Didi. Francia, Gran Bretagna 2015 ★★★★+
Piccolo grande film: inconsueto, ironico, filosofico e al contempo poetico, profondamente umanista, a dimostrazione che quando si hanno buone idee e chiare, e si ha il coraggio di sfidare il luogo comune e di metterle in pratica, i risultati possono essere eccellenti, specie se ci si avvale del contributo di interpreti di valore che si rendono complici dell'impresa del talentuoso autore e regista e che non prevaricano gli altri interpreti meno noti, permettendo loro di dimostrarsi all'altezza della situazione. La pellicola è tratta da due racconti di Chroniques de l'asphalte, dello stesso Benchetrit, e vede l'incrociarsi, nella squallida e grigia ambientazione del casermone di una banlieue francese, dei destini di tre coppie casuali di personaggi, ognuno dei quali ridotto alla solitudine dalle vicende della vita, che finiscono con l'incontrarsi e scambiarsi calore umano dando un senso alla loro esistenza attraverso la comunicazione con l'altro, ad di là delle differenze di età, cultura, sesso e condizione. Un'ex attrice in crisi esistenziale e sentimentale rimasta chiusa fuori di casa viene soccorsa dal vicino, un adolescente che vive da solo dato che la madre è costantemente assente per motivi ignoti, e i due finiscono per vedere i film anni Ottanta di cui lei era protagonista; c'è l'astronauta americano finito fuori rotta che atterra sul tetto del palazzo il quale, in attesa che la NASA venga a recuperarlo, viene accolto dalla signora algerina che lo nutre e lo coccola come se fosse il figlio che invece langue in galera: esilaranti sono le loro conversazioni che li portano a intendersi al di là dei diversi idiomi usati; infine c'è lo stralunato tizio del primo piano, che in una riunione condominiale si era rifiutato di pagare l'ascensore e invece è costretto a usarlo quando è ridotto per qualche tempo alla sedia a rotelle dopo essere stramazzato sulla cyclette, per cui esce di soppiatto soltanto quando è buio pesto e si innamora di una infermiera che fa il turno di notte e la corteggia con una dolcezza infinita spacciandosi per un fotografo del National Geographic (usando una vecchia Polaroid e una macchina dozzinale che dotata di flash ma non di pellicola). Siamo tra Beckett e Ionesco, eppure è puro cinema, rigoroso, lineare, senza fronzoli, di un umorismo spiazzante e carico di simpatia per questa umanità persa e devastata, ma alla fine scaldata dal desiderio capacità di comunicare. Da vedere.
Piccolo grande film: inconsueto, ironico, filosofico e al contempo poetico, profondamente umanista, a dimostrazione che quando si hanno buone idee e chiare, e si ha il coraggio di sfidare il luogo comune e di metterle in pratica, i risultati possono essere eccellenti, specie se ci si avvale del contributo di interpreti di valore che si rendono complici dell'impresa del talentuoso autore e regista e che non prevaricano gli altri interpreti meno noti, permettendo loro di dimostrarsi all'altezza della situazione. La pellicola è tratta da due racconti di Chroniques de l'asphalte, dello stesso Benchetrit, e vede l'incrociarsi, nella squallida e grigia ambientazione del casermone di una banlieue francese, dei destini di tre coppie casuali di personaggi, ognuno dei quali ridotto alla solitudine dalle vicende della vita, che finiscono con l'incontrarsi e scambiarsi calore umano dando un senso alla loro esistenza attraverso la comunicazione con l'altro, ad di là delle differenze di età, cultura, sesso e condizione. Un'ex attrice in crisi esistenziale e sentimentale rimasta chiusa fuori di casa viene soccorsa dal vicino, un adolescente che vive da solo dato che la madre è costantemente assente per motivi ignoti, e i due finiscono per vedere i film anni Ottanta di cui lei era protagonista; c'è l'astronauta americano finito fuori rotta che atterra sul tetto del palazzo il quale, in attesa che la NASA venga a recuperarlo, viene accolto dalla signora algerina che lo nutre e lo coccola come se fosse il figlio che invece langue in galera: esilaranti sono le loro conversazioni che li portano a intendersi al di là dei diversi idiomi usati; infine c'è lo stralunato tizio del primo piano, che in una riunione condominiale si era rifiutato di pagare l'ascensore e invece è costretto a usarlo quando è ridotto per qualche tempo alla sedia a rotelle dopo essere stramazzato sulla cyclette, per cui esce di soppiatto soltanto quando è buio pesto e si innamora di una infermiera che fa il turno di notte e la corteggia con una dolcezza infinita spacciandosi per un fotografo del National Geographic (usando una vecchia Polaroid e una macchina dozzinale che dotata di flash ma non di pellicola). Siamo tra Beckett e Ionesco, eppure è puro cinema, rigoroso, lineare, senza fronzoli, di un umorismo spiazzante e carico di simpatia per questa umanità persa e devastata, ma alla fine scaldata dal desiderio capacità di comunicare. Da vedere.
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