"Ave, Cesare!" (Hail, Caesar!) di Ethan e Joel Coen. Con Josh Brolin, George Clooney, Alden Ehrenreich, Ralph Fiennes, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Frances McDormand, Channing Tatum e altri. USA 2016 ★★★½
Non sono un sostenitore "a prescindere" dei fratelli Coen, ma quando sento (Bertarelli sul Fatto Quotidiano) dire che il limite del loro ultimo film è un "umorismo un po' difficile, riservato ai più raffinati e, oserei dire, snob") mi trovo in totale disaccordo. Se c'è una cosa che detesto in assoluto nel cinema è l'intellettualismo fine a sé stesso, la spocchia, la cervelloticità compiaciuta, che mi hanno reso insopportabili i vari Godard, buona parte degli scandinavi (e spesso lo stesso Bergman), il nostrale Citto Maselli come anche Terrence Malick, ma non è il caso dei Coen, e meno che mai in questo Ave, Cesare!, che riesce divertente anche a prescindere completamente dalle citazioni dotte che possono afferrare e apprezzare appieno soltanto i più accaniti cinéphile o i dialoghi teologici e ideologici (quelli sul significato di dio tra i rappresentanti delle delle tre chiese cristiane e un rabbino e poi il riassunto del materialismo dialettico in un gruppo marxista sono le chicche migliori) che pure vengono proposti. I Coen ci conducono all'interno dell'industria cinematografica hollywoodiana agli inizi degli anni Cinquanta, nel suo pieno fulgore, accompagnati dal protagonista, Eddie Mannix (Josh Brolin), un "Mr Wolf" degli studios che "risolve i problemi" che possano insorgere nel corso della preparazione di un nuovo film, di qualsiasi genere si tratti: dalle bizze delle star ai rapporti con la stampa, cui tenere nascosti tradimenti, gravidanze poco chiare, ubriacature moleste e altre trasgressioni (tutto il contrario di quel che accade ora, quando il gossip è creato ad arte) e l'uomo è il migliore in questo campo, coscienzioso sul lavoro quanto profondamente credente e pieno di dubbi morali in privato (si confessa una volta al giorno e la Lockeed, la famigerata fabbrica di aerei, sta cercando di accaparrarselo facendogli ponti d'oro per strapparlo dagli studios), ma un bel giorno Baird Whitlock (George Clooney), una delle grandi star della compagnia che sta finendo di girare un colossal in costume nei panni di un centurione romano che si converte dopo essere stato illuminato dalla figura del Cristo sul Golgota, viene narcotizzato e sequestrato da un gruppo di sceneggiatori comunisti il cui ideologo ufficiale è nientemeno che Herbert Marcuse e rinchiuso, fino all'arrivo dei 100 mila dollari del riscatto, destinato alla "causa", nella villa in riva al mare di Malibú proprietà di un attore e ballerino (che ricorda Gene Kelly), anche lui comunista e probabilmente omosessuale diretto a Mosca (non svelo con quale mezzo). I due fratelli sceneggiatori e registi ci portano a spasso tra i vari set, proponendoci il mondo del cinema dietro le quinte, coi suoi personaggi come sono fuori dai rispettivi ruoli: le occasioni per dei ritratti che li sbertucciano e per delle gustosissime gag non mancano, e il racconto fila via diritto senza annoiare e senza cadere mai nel ridicolo e nell'umorismo scontato e volgare. La fotografia e la ricostruzione d'epoca sono come sempre da manuale, la colonna sonora adeguata, il cast, già di prim'ordine, assolutamente all'altezza della situazione e il risultato più che gradevole, per cui lo consiglio a chiunque.
Non sono un sostenitore "a prescindere" dei fratelli Coen, ma quando sento (Bertarelli sul Fatto Quotidiano) dire che il limite del loro ultimo film è un "umorismo un po' difficile, riservato ai più raffinati e, oserei dire, snob") mi trovo in totale disaccordo. Se c'è una cosa che detesto in assoluto nel cinema è l'intellettualismo fine a sé stesso, la spocchia, la cervelloticità compiaciuta, che mi hanno reso insopportabili i vari Godard, buona parte degli scandinavi (e spesso lo stesso Bergman), il nostrale Citto Maselli come anche Terrence Malick, ma non è il caso dei Coen, e meno che mai in questo Ave, Cesare!, che riesce divertente anche a prescindere completamente dalle citazioni dotte che possono afferrare e apprezzare appieno soltanto i più accaniti cinéphile o i dialoghi teologici e ideologici (quelli sul significato di dio tra i rappresentanti delle delle tre chiese cristiane e un rabbino e poi il riassunto del materialismo dialettico in un gruppo marxista sono le chicche migliori) che pure vengono proposti. I Coen ci conducono all'interno dell'industria cinematografica hollywoodiana agli inizi degli anni Cinquanta, nel suo pieno fulgore, accompagnati dal protagonista, Eddie Mannix (Josh Brolin), un "Mr Wolf" degli studios che "risolve i problemi" che possano insorgere nel corso della preparazione di un nuovo film, di qualsiasi genere si tratti: dalle bizze delle star ai rapporti con la stampa, cui tenere nascosti tradimenti, gravidanze poco chiare, ubriacature moleste e altre trasgressioni (tutto il contrario di quel che accade ora, quando il gossip è creato ad arte) e l'uomo è il migliore in questo campo, coscienzioso sul lavoro quanto profondamente credente e pieno di dubbi morali in privato (si confessa una volta al giorno e la Lockeed, la famigerata fabbrica di aerei, sta cercando di accaparrarselo facendogli ponti d'oro per strapparlo dagli studios), ma un bel giorno Baird Whitlock (George Clooney), una delle grandi star della compagnia che sta finendo di girare un colossal in costume nei panni di un centurione romano che si converte dopo essere stato illuminato dalla figura del Cristo sul Golgota, viene narcotizzato e sequestrato da un gruppo di sceneggiatori comunisti il cui ideologo ufficiale è nientemeno che Herbert Marcuse e rinchiuso, fino all'arrivo dei 100 mila dollari del riscatto, destinato alla "causa", nella villa in riva al mare di Malibú proprietà di un attore e ballerino (che ricorda Gene Kelly), anche lui comunista e probabilmente omosessuale diretto a Mosca (non svelo con quale mezzo). I due fratelli sceneggiatori e registi ci portano a spasso tra i vari set, proponendoci il mondo del cinema dietro le quinte, coi suoi personaggi come sono fuori dai rispettivi ruoli: le occasioni per dei ritratti che li sbertucciano e per delle gustosissime gag non mancano, e il racconto fila via diritto senza annoiare e senza cadere mai nel ridicolo e nell'umorismo scontato e volgare. La fotografia e la ricostruzione d'epoca sono come sempre da manuale, la colonna sonora adeguata, il cast, già di prim'ordine, assolutamente all'altezza della situazione e il risultato più che gradevole, per cui lo consiglio a chiunque.
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