"Room" di Lenny Abrahamson. Con Brie Larson, Jakob Tremblay, Joan Allen, Sean Bridgers, Tom McCamus, William McMacy, Joe Pingue, Megan Park, Amanda Brugel, Cas Anvar, Randal Edwards e altri. Irlanda, Canada 2015 ★★★½
Film interessante, tratto dal romanzo "Stanza, letto, armandio, specchio" di Emma Donoghue, qui anche sceneggiatrice, ispirato al "Caso Friztl" che venne alla luce in Austria nel 2008. Qui la vicenda è analoga, benché mancante della componente incestuosa, con una ragazza, Joy, rapita a 17 anni e segregata in un capanno da un maniaco da cui avrà un figlio, Jack, per il quale, fino ai cinque anni, "la stanza" costituisce l'intero mondo che la madre, amorevolmente, crea attorno a lui, cercando di renderlo il più possibile confortevole, per proteggerlo, inventando giochi, attività, raccontando storie e guardando la televisione, che gli viene descritta come una scatola magica che però mostra solo la finzione della realtà. Il tran tran prosegue finché il bambino non comincia a porre domande sempre più complesse e Joy, ormai in crisi, con il suo aiuto, decide di giocare l'ultima carta per avvertire all'esterno che sono lì, favorendo con uno stratagemma la rocambolesca fuga di Jack: una scena decisamente emozionante che segna anche una cesura nella pellicola che, iniziata in un universo circoscritto in una stanza, cambia di segno proiettandosi in un esterno che però risulta altrettanto claustrofobico e opprimente, nonché ottuso. Il riambientamento di Joy nella "realtà", a cominciare da quella famigliare che è cambiata, è ancora più problematico e traumatico dell'adattamento alla nuova dimensione che deve affrontare Joy, con un nonno che lo rifiuta e fugge e Leo, il nuovo compagno della nonna che, a differenza di medici e psichiatri, sa come entrare in contatto con lui e fargli scoprire man mano il mondo, riuscendo altresì a sottrarlo alle tensioni che si scatenano tra la sua compagna e nonna di Jack, benché bene intenzionata e sostanzialmente corretta, e la di lei figlia, che sta andando psicologicamente a pezzi. Regista e sceneggiatrice si affidano alla bravura e naturalezza degli interpreti (non a caso Brie Larson ha vinto il più recente Oscar come miglior attrice protagonista, ma un elogio va anche al ragazzino e a Joan Allen nel ruolo della nonna) e grande merito del film è di non essere per nulla consolatorio e di far riflettere, perché se la stanza è una prigione, ma resa vivibile dall'affetto e dalla particolare intensità della relazione madre-figlio, non è che il "fuori", con la sua realtà e normalità, sia uno spazio di libertà: anzi.
Film interessante, tratto dal romanzo "Stanza, letto, armandio, specchio" di Emma Donoghue, qui anche sceneggiatrice, ispirato al "Caso Friztl" che venne alla luce in Austria nel 2008. Qui la vicenda è analoga, benché mancante della componente incestuosa, con una ragazza, Joy, rapita a 17 anni e segregata in un capanno da un maniaco da cui avrà un figlio, Jack, per il quale, fino ai cinque anni, "la stanza" costituisce l'intero mondo che la madre, amorevolmente, crea attorno a lui, cercando di renderlo il più possibile confortevole, per proteggerlo, inventando giochi, attività, raccontando storie e guardando la televisione, che gli viene descritta come una scatola magica che però mostra solo la finzione della realtà. Il tran tran prosegue finché il bambino non comincia a porre domande sempre più complesse e Joy, ormai in crisi, con il suo aiuto, decide di giocare l'ultima carta per avvertire all'esterno che sono lì, favorendo con uno stratagemma la rocambolesca fuga di Jack: una scena decisamente emozionante che segna anche una cesura nella pellicola che, iniziata in un universo circoscritto in una stanza, cambia di segno proiettandosi in un esterno che però risulta altrettanto claustrofobico e opprimente, nonché ottuso. Il riambientamento di Joy nella "realtà", a cominciare da quella famigliare che è cambiata, è ancora più problematico e traumatico dell'adattamento alla nuova dimensione che deve affrontare Joy, con un nonno che lo rifiuta e fugge e Leo, il nuovo compagno della nonna che, a differenza di medici e psichiatri, sa come entrare in contatto con lui e fargli scoprire man mano il mondo, riuscendo altresì a sottrarlo alle tensioni che si scatenano tra la sua compagna e nonna di Jack, benché bene intenzionata e sostanzialmente corretta, e la di lei figlia, che sta andando psicologicamente a pezzi. Regista e sceneggiatrice si affidano alla bravura e naturalezza degli interpreti (non a caso Brie Larson ha vinto il più recente Oscar come miglior attrice protagonista, ma un elogio va anche al ragazzino e a Joan Allen nel ruolo della nonna) e grande merito del film è di non essere per nulla consolatorio e di far riflettere, perché se la stanza è una prigione, ma resa vivibile dall'affetto e dalla particolare intensità della relazione madre-figlio, non è che il "fuori", con la sua realtà e normalità, sia uno spazio di libertà: anzi.
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