"Suburra" di Stefano Sollima. Perfrancesco Favino, Claudio Amenodola, Greta Scarano, Elio Germano, Alessandro Borghi, Giulia Elettra Gorietti, Adamo Dionisi, Antonello Fassari, Jean Hugues Anglade. ★★★★¾
Se avevo assegnato il punteggio massimo a un film come "La grande bellezza", che descriveva in maniera "alta" e metaforica l'insostenibile pesantezza di Roma e in maniera mirabile il démi monde "terrazzato" degli ascari del potere, qui siamo un gradino appena sotto, ma soltanto perché Stefano Sollima ha scelto di esprimersi con un film di genere, il noir che gli è più congeniale, oltre a essere il mio prediletto, e con un taglio che ha aspetti televisivi (e sviluppi in questo senso non sono esclusi, anzi: e me li auguro) e che lo rendono meno "artistico", visionario e metafisico ma non per questo meno valido e soprattutto veritiero nel dipingere l'altro démi monde, quello propriamente "di mezzo", ossia quello di "Mafia Capitale", dove potere politico, intrallazzatori, imprenditori, finanzieri, criminali, terroristi, clero si incontrano e intrecciano i loro destini, così come avveniva duemila anni fa nella Suburra, quartiere della Roma imperiale dove viveva lo stesso Giulio Cesare, e come lo fa avvenire il profetico romanzo omonimo scritto da De Cataldo e Carlo Bonini e uscito due anni fa, oltre un anno prima delle inchieste che hanno travolto Roma. Anche le riprese del film stavano terminando quando, nel dicembre scorso, scoppiò lo scandalo (e non a caso è stato negato il permesso di effettuare riprese all'interno di Montecitorio, dove siedono tuttora corrotti tutt'altro che onorevoli in folta schiera e gli "scheletri nell'armadio" abbondano ugualmente). Del resto basterebbe usare gli occhi per vedere quel che succede nella capitale, e non a caso a parlare sono persone che amano la città: questo vale per il libro come per il film, alla cui sceneggiatura il magistrato e il giornalista autori del romanzo hanno collaborato, con piccoli adattamenti della trama. E non a caso anche Sollima e tutto il cast sono romani (e non romaneschi), ed è giusto che sia così (un unico appunto: ogni tanto la parlata è così stretta e gergale da riuscire incomprensibile, per cui sarebbe opportuno l'uso dei sottotitoli). A differenza de "La grande bellezza" qui la trama c'è eccome: la vicenda si svolge nell'arco dei sette giorni che precedono la caduta del governo Berlusconi nel novembre del 2011 e ci si immagina che furono quelli in cui Joseph Ratzinger cominciasse a maturare la decisione di dimettersi, fatto che avvenne nel marzo di due anni dopo; e in quel breve lasso di tempo di giorni febbrili si incrociano i destini dei personaggi che ne sono protagonisti, con sullo sfondo una gigantesca speculazione edilizia che sta prendendo corpo nella periferia Sud-Est di Roma, al fine di trasformare Ostia in una nuova Las Vegas. Passaggio obbligato è l'approvazione di un emendamento alla legge di stabilità, a cui provvede un politico della maggioranza, Filippo Malgradi (Perfrancesco Favino), dissipato quanto corrotto, che si trova coinvolto nella morte di una prostituta minorenne che viene opportunamente fatta sparire da un "contatto" nella malavita, e più precisamente nella famiglia Anacleti, un clan di zingari che si dedica prevalentemente allo strozzinaggio. "Spadino," il rampollo della famiglia che si occupa di "fare pulizia" del corpo della fanciulla, ricatta il deputato, ma viene eliminato a sua volta da "Numero Otto" (Alessandro Borghi), uno psicopatico a capo della mafia ostiense coinvolta nell'affare, ma questo mette sul chi va là il capofamiglia (Adamo Dionisi), che capisce che in ballo c'è qualcosa di davvero grosso e utilizza Sebastiano (Elio Germano), un "Pi-Erre" smidollato che "organizza eventi" (tra cui l'incontro di una sua "protetta" con Malgradi) e in realtà è un pappone, figlio si un imprenditore che si è tolto la vita perché vittima dei gitani cravattai. Punto di incrocio e a tirare le fila, l'unico a conoscere tutti i lati della faccenda e tutti o quasi i retroscena, "Il Samurai", ex componente della Banda della Magliana con un passato da terrorista nero, che ha contatti anche con lo IOR e quindi col Vaticano (il colmo per Claudio Amendola: non me ne avrà male, ma in questo ruolo è più credibile che come ex rivoluzionario sessantottino: semplicemente perfetto), ma nonostante la sua intelligenza, determinazione e freddezza, soccomberà anche lui. Per mano di chi non lo rivelo. In questo universo quasi esclusivamente maschile formato da personaggi sordidi, spiccano le due presenze femminili che per quanto negative posseggono un qualche spessore morale: Sabrina (Giulia Elettra Goretti), la prostituta che ha portato la minorenne al festino con Malgradi, e soprattutto Viola, la tossica innamorata compagna di "Numero Otto", una Greta Scarano degna di encomio. Ritmo incalzante, trama senza cedimenti, un'atmosfera lugubre e tesa allo spasimo resa alla perfezione dalla fotografia magistrale di una Roma notturna e sommersa da una pioggia torrenziale oltre che dal marciume umano, che erutta dallo schermo come l'acqua dai tombini intasati della capitale. Grande film, grazie davvero a tutti!
Se avevo assegnato il punteggio massimo a un film come "La grande bellezza", che descriveva in maniera "alta" e metaforica l'insostenibile pesantezza di Roma e in maniera mirabile il démi monde "terrazzato" degli ascari del potere, qui siamo un gradino appena sotto, ma soltanto perché Stefano Sollima ha scelto di esprimersi con un film di genere, il noir che gli è più congeniale, oltre a essere il mio prediletto, e con un taglio che ha aspetti televisivi (e sviluppi in questo senso non sono esclusi, anzi: e me li auguro) e che lo rendono meno "artistico", visionario e metafisico ma non per questo meno valido e soprattutto veritiero nel dipingere l'altro démi monde, quello propriamente "di mezzo", ossia quello di "Mafia Capitale", dove potere politico, intrallazzatori, imprenditori, finanzieri, criminali, terroristi, clero si incontrano e intrecciano i loro destini, così come avveniva duemila anni fa nella Suburra, quartiere della Roma imperiale dove viveva lo stesso Giulio Cesare, e come lo fa avvenire il profetico romanzo omonimo scritto da De Cataldo e Carlo Bonini e uscito due anni fa, oltre un anno prima delle inchieste che hanno travolto Roma. Anche le riprese del film stavano terminando quando, nel dicembre scorso, scoppiò lo scandalo (e non a caso è stato negato il permesso di effettuare riprese all'interno di Montecitorio, dove siedono tuttora corrotti tutt'altro che onorevoli in folta schiera e gli "scheletri nell'armadio" abbondano ugualmente). Del resto basterebbe usare gli occhi per vedere quel che succede nella capitale, e non a caso a parlare sono persone che amano la città: questo vale per il libro come per il film, alla cui sceneggiatura il magistrato e il giornalista autori del romanzo hanno collaborato, con piccoli adattamenti della trama. E non a caso anche Sollima e tutto il cast sono romani (e non romaneschi), ed è giusto che sia così (un unico appunto: ogni tanto la parlata è così stretta e gergale da riuscire incomprensibile, per cui sarebbe opportuno l'uso dei sottotitoli). A differenza de "La grande bellezza" qui la trama c'è eccome: la vicenda si svolge nell'arco dei sette giorni che precedono la caduta del governo Berlusconi nel novembre del 2011 e ci si immagina che furono quelli in cui Joseph Ratzinger cominciasse a maturare la decisione di dimettersi, fatto che avvenne nel marzo di due anni dopo; e in quel breve lasso di tempo di giorni febbrili si incrociano i destini dei personaggi che ne sono protagonisti, con sullo sfondo una gigantesca speculazione edilizia che sta prendendo corpo nella periferia Sud-Est di Roma, al fine di trasformare Ostia in una nuova Las Vegas. Passaggio obbligato è l'approvazione di un emendamento alla legge di stabilità, a cui provvede un politico della maggioranza, Filippo Malgradi (Perfrancesco Favino), dissipato quanto corrotto, che si trova coinvolto nella morte di una prostituta minorenne che viene opportunamente fatta sparire da un "contatto" nella malavita, e più precisamente nella famiglia Anacleti, un clan di zingari che si dedica prevalentemente allo strozzinaggio. "Spadino," il rampollo della famiglia che si occupa di "fare pulizia" del corpo della fanciulla, ricatta il deputato, ma viene eliminato a sua volta da "Numero Otto" (Alessandro Borghi), uno psicopatico a capo della mafia ostiense coinvolta nell'affare, ma questo mette sul chi va là il capofamiglia (Adamo Dionisi), che capisce che in ballo c'è qualcosa di davvero grosso e utilizza Sebastiano (Elio Germano), un "Pi-Erre" smidollato che "organizza eventi" (tra cui l'incontro di una sua "protetta" con Malgradi) e in realtà è un pappone, figlio si un imprenditore che si è tolto la vita perché vittima dei gitani cravattai. Punto di incrocio e a tirare le fila, l'unico a conoscere tutti i lati della faccenda e tutti o quasi i retroscena, "Il Samurai", ex componente della Banda della Magliana con un passato da terrorista nero, che ha contatti anche con lo IOR e quindi col Vaticano (il colmo per Claudio Amendola: non me ne avrà male, ma in questo ruolo è più credibile che come ex rivoluzionario sessantottino: semplicemente perfetto), ma nonostante la sua intelligenza, determinazione e freddezza, soccomberà anche lui. Per mano di chi non lo rivelo. In questo universo quasi esclusivamente maschile formato da personaggi sordidi, spiccano le due presenze femminili che per quanto negative posseggono un qualche spessore morale: Sabrina (Giulia Elettra Goretti), la prostituta che ha portato la minorenne al festino con Malgradi, e soprattutto Viola, la tossica innamorata compagna di "Numero Otto", una Greta Scarano degna di encomio. Ritmo incalzante, trama senza cedimenti, un'atmosfera lugubre e tesa allo spasimo resa alla perfezione dalla fotografia magistrale di una Roma notturna e sommersa da una pioggia torrenziale oltre che dal marciume umano, che erutta dallo schermo come l'acqua dai tombini intasati della capitale. Grande film, grazie davvero a tutti!
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