"Dheepan - Una nuova vita" (Dheepan) di Jacquae Audiard. Con Jesuthasan Antonythasan, Kalieaswari Srinivasan, Claudine Vinasithambi, Vincent Rottiers, Marc Zinga. Francia 2015 ★★★★
Ci vuole coraggio a parlare di migrazione, oggi, senza cadere nel buonismo peloso e sospetto; di una guerra dimenticata; dell'indifferenza delle cosiddette "istituzioni" al crearsi di un "mondo a parte", con le proprie logiche e regole (che sono poi sempre quelle di un conflitto) che forse sono un effetto voluto: Audiard ce l'ha, come aveva dimostrato anche ne "Il profeta", l'unico suo altro film che mi è capitato di vedere. Dheepan è un ex combattente delle Tigri Tamil che, vista distrutta la famiglia e persa ogni speranza ragionevole di vittoria, depone le armi e decide di lasciare lo Sri Lanka: per poterlo fare riceve i documenti di una famiglia scomparsa e così, in un campo profughi, cerca e trova una giovane donna e una ragazzina senza genitori con cui sostituirsi a essa e tentare l'avventura in Europa. Finisce così nella banlieue parigina, dove la falsa famiglia si adatta, con grossa difficoltà linguistiche, a una situazione degradata in una serie di palazzoni fatiscenti controllati da bande di spacciatori maghrebini. L'uomo, Deephan, peraltro interpretato da una ex soldato-bambino delle "Tigri", si adatta a fare il custode e tuttofare (possiede un'ottima capacità manuale maturata in anni di guerriglia) e la donna la badante dello zio del capobanda degli spacciatori boeurs, agli arresti domiciliari, mentre la ragazzina, che è quella che più in fretta comincia a parlare in francese, va a scuola e a fatica si ambienta tra i coetanei. I tre man mano cercano di creare una sorta di normalità famigliare, pur consci della finzione che sta alla base della loro condizione, ma ci riusciranno appieno soltanto dopo una sorta di "bagno purificatore", naturalmente di sangue, ovvero una battaglia per la propria dignità e sopravvivenza che Dheepan sarà costretto a combattere, vestendo di nuovo i panni del comandante militare: solo dopo essersi nuovamente immerso nella violenza da cui pure era fuggito, e superata la prova, Dheepan, e con lui le sue compagne di viaggio, riusciranno davvero a cominciare una nuova vita e lo faranno insieme. E altrove.Tutta qui, in fondo, la vicenda, ma raccontata attraverso i corpi e le espressioni più che con le parole, in modo coinvolgente e a tratti forse un po' melodrammatico anche se non mancano tinte del noir tipicamente francese, però estremamente efficace e partecipe. Il film è teso ed emozionante fino alla fine e lascia il segno: mi sento di consigliarlo e di condividere l'assegnazione della Palma d'Oro 2015.
Ci vuole coraggio a parlare di migrazione, oggi, senza cadere nel buonismo peloso e sospetto; di una guerra dimenticata; dell'indifferenza delle cosiddette "istituzioni" al crearsi di un "mondo a parte", con le proprie logiche e regole (che sono poi sempre quelle di un conflitto) che forse sono un effetto voluto: Audiard ce l'ha, come aveva dimostrato anche ne "Il profeta", l'unico suo altro film che mi è capitato di vedere. Dheepan è un ex combattente delle Tigri Tamil che, vista distrutta la famiglia e persa ogni speranza ragionevole di vittoria, depone le armi e decide di lasciare lo Sri Lanka: per poterlo fare riceve i documenti di una famiglia scomparsa e così, in un campo profughi, cerca e trova una giovane donna e una ragazzina senza genitori con cui sostituirsi a essa e tentare l'avventura in Europa. Finisce così nella banlieue parigina, dove la falsa famiglia si adatta, con grossa difficoltà linguistiche, a una situazione degradata in una serie di palazzoni fatiscenti controllati da bande di spacciatori maghrebini. L'uomo, Deephan, peraltro interpretato da una ex soldato-bambino delle "Tigri", si adatta a fare il custode e tuttofare (possiede un'ottima capacità manuale maturata in anni di guerriglia) e la donna la badante dello zio del capobanda degli spacciatori boeurs, agli arresti domiciliari, mentre la ragazzina, che è quella che più in fretta comincia a parlare in francese, va a scuola e a fatica si ambienta tra i coetanei. I tre man mano cercano di creare una sorta di normalità famigliare, pur consci della finzione che sta alla base della loro condizione, ma ci riusciranno appieno soltanto dopo una sorta di "bagno purificatore", naturalmente di sangue, ovvero una battaglia per la propria dignità e sopravvivenza che Dheepan sarà costretto a combattere, vestendo di nuovo i panni del comandante militare: solo dopo essersi nuovamente immerso nella violenza da cui pure era fuggito, e superata la prova, Dheepan, e con lui le sue compagne di viaggio, riusciranno davvero a cominciare una nuova vita e lo faranno insieme. E altrove.Tutta qui, in fondo, la vicenda, ma raccontata attraverso i corpi e le espressioni più che con le parole, in modo coinvolgente e a tratti forse un po' melodrammatico anche se non mancano tinte del noir tipicamente francese, però estremamente efficace e partecipe. Il film è teso ed emozionante fino alla fine e lascia il segno: mi sento di consigliarlo e di condividere l'assegnazione della Palma d'Oro 2015.
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