"The Program" di Stephen Frears. Con Ben Foster, Chris O'Doud, Dustin Hoffman, Denis Ménochet, Lee Pace, Jesse Plemons, Elaine Cassidy, Guillaume Canet, Laura Donnelly. GB 2015 ★★★½
Bel film, appassionante benché se ne conoscano gli esiti fin dall'inizio, quello di Stephen Frears sulla "Grande Truffa" di Lance Armstrong, l'unico ciclista a conquistare, sette volte di seguito, il Tour de France, vittorie che gli vennero revocate, assieme a tutte le altre in carriera dopo il 1998, per uso di doping. Che non si limita alla biografia del corridore statunitense, ma descrive con estrema verosimiglianza non solo l'ambiente del ciclismo, ma anche e soprattutto quello che vi ruota attorno: il caravanserraglio dei media, gli sponsor, la medicina e la farmacologia, la finanza, le assicurazioni, tutto un mondo che non poteva non sapere e la cui omertà ha consentito che l'imbroglio rimanesse sotto silenzio, il tutto al fine di contribuire alla creazione della "Leggenda", quasi un Supereroe. Da questo punto di vista la pellicola, più che una biografia, può essere letta come una crime story, che ha al centro un personaggio ossessivo nella sua megalomania di vittoria a tutti i costi: lui, Lance Armstrong, dotato di un fisico non adatto alle corse in salita che caratterizzano le grandi gare a tappe come il Tour, il Giro e la Vuelta, prima sconfigge un cancro ai testicoli e sopravvive a una cura micidiale a base di chemio pesantissime; poi aderisce al "programma di allenamento personalizzato" di Michele Ferrari, un medico sportivo italiano in seguito radiato per l'uso di farmaci vietati oltre che di sangue riciclato e sistemi per evitare che venga scoperta l'assunzione di sostanze dopanti riuscendo a battere tutti gli avversari. Lo fa grazie a una squadra creata apposta per portarlo alla vittoria nella corsa più prestigiosa, la Grande Boucle, la statunitense United Postal guidata del direttore sportivo Johan Bruyneel, interpretato dall'efficacissimo Denis Ménochet. Convincenti come lui sono Ben Foster nei panni di Armstrong, maniacale al punto di arrivare a convincersi delle menzogne che raccontava, non soltanto disposto a tutto pur di vincere ma anche di minacciare gli altri corridori oltre a sfruttare i propri compagni di squadra e costringere ad aderire allo stesso "programma" dopante, e Chris O'Doud in quelli del giornalista irlandese del Sunday Times David Walsh, il primo a subodorare il marcio e a cui venne tentato di impedire di fare il proprio lavoro. Frears si conferma bravissimo a raccontare storie, ed è a suo agio quando per farlo deve descrivere i personaggi.In questo caso si sbaglierebbe però chi pensasse che intenda mettere sotto accusa il mondo del ciclismo in quanto tale, perché gli serve per parlare d'altro: nel suo mirino sono in generale l'inganno al servizio di ambizioni smisurate, la mancanza d etica e di senso del limite, il trionfo dell'apparenza e dell'effimero. Consigliato caldamente a chi ama il ciclismo (si basa anche su filmati d'archivio e su un documentario sulla carriera di Armstrong) e per chi apprezza il lavoro Frears.
Bel film, appassionante benché se ne conoscano gli esiti fin dall'inizio, quello di Stephen Frears sulla "Grande Truffa" di Lance Armstrong, l'unico ciclista a conquistare, sette volte di seguito, il Tour de France, vittorie che gli vennero revocate, assieme a tutte le altre in carriera dopo il 1998, per uso di doping. Che non si limita alla biografia del corridore statunitense, ma descrive con estrema verosimiglianza non solo l'ambiente del ciclismo, ma anche e soprattutto quello che vi ruota attorno: il caravanserraglio dei media, gli sponsor, la medicina e la farmacologia, la finanza, le assicurazioni, tutto un mondo che non poteva non sapere e la cui omertà ha consentito che l'imbroglio rimanesse sotto silenzio, il tutto al fine di contribuire alla creazione della "Leggenda", quasi un Supereroe. Da questo punto di vista la pellicola, più che una biografia, può essere letta come una crime story, che ha al centro un personaggio ossessivo nella sua megalomania di vittoria a tutti i costi: lui, Lance Armstrong, dotato di un fisico non adatto alle corse in salita che caratterizzano le grandi gare a tappe come il Tour, il Giro e la Vuelta, prima sconfigge un cancro ai testicoli e sopravvive a una cura micidiale a base di chemio pesantissime; poi aderisce al "programma di allenamento personalizzato" di Michele Ferrari, un medico sportivo italiano in seguito radiato per l'uso di farmaci vietati oltre che di sangue riciclato e sistemi per evitare che venga scoperta l'assunzione di sostanze dopanti riuscendo a battere tutti gli avversari. Lo fa grazie a una squadra creata apposta per portarlo alla vittoria nella corsa più prestigiosa, la Grande Boucle, la statunitense United Postal guidata del direttore sportivo Johan Bruyneel, interpretato dall'efficacissimo Denis Ménochet. Convincenti come lui sono Ben Foster nei panni di Armstrong, maniacale al punto di arrivare a convincersi delle menzogne che raccontava, non soltanto disposto a tutto pur di vincere ma anche di minacciare gli altri corridori oltre a sfruttare i propri compagni di squadra e costringere ad aderire allo stesso "programma" dopante, e Chris O'Doud in quelli del giornalista irlandese del Sunday Times David Walsh, il primo a subodorare il marcio e a cui venne tentato di impedire di fare il proprio lavoro. Frears si conferma bravissimo a raccontare storie, ed è a suo agio quando per farlo deve descrivere i personaggi.In questo caso si sbaglierebbe però chi pensasse che intenda mettere sotto accusa il mondo del ciclismo in quanto tale, perché gli serve per parlare d'altro: nel suo mirino sono in generale l'inganno al servizio di ambizioni smisurate, la mancanza d etica e di senso del limite, il trionfo dell'apparenza e dell'effimero. Consigliato caldamente a chi ama il ciclismo (si basa anche su filmati d'archivio e su un documentario sulla carriera di Armstrong) e per chi apprezza il lavoro Frears.
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