"Non essere cattivo" di Claudio Caligari. Con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia D'Amico, Roberta Mattei, Elisabetta Di Vito e altri. Italia 2015 ★★★★★
Fa rabbia e tristezza pensare che questo film postumo, presentato fuori concorso al Festival di Venezia a nemmeno tre mesi dalla scomparsa di Claudio Caligari, sia soltanto il terzo di una carriera nel lungometraggio iniziata nel 1983 con Amore tossico e intervallata da L'odore della notte, uscito 15 anni dopo: è stato Valerio Mastandrea, il protagonista di quest'ultimo, nonché amico intimo del regista, a produrre "Non essere cattivo" ad altri 17 anni di distanza, visto l'ostracismo del mondo cinematografico nostrano nei confronti di Caligari. Anche in questo film, ambientato lungo il degradato Litorale di Ostia nel 1995, il regista descrive il mondo marginale delle periferie romane, e lo fa raccontando l'amicizia, "tossica" ma non solo, tra Vittorio e Cesare, due coetanei pressoché fratelli che, dopo un'esistenza passata tra piccolo spaccio, traffici vari, nottate adrenaliniche tra scorribande in discoteca e corse in auto, si trovano a fare scelte diverse: Vittorio (Alessandro Borghi, il "Numero Otto" del recente Suburra, ambientato anch'esso negli stessi luoghi ma ai nostri giorni) conosce Linda, una ragazza madre con un figlio dodicenne, e vi trova la famiglia che non ha mai avuto riuscendo, non senza ricadute, a impostare un'esistenza "regolare" mentre Cesare (uno strepitoso Luca Marinelli), nonostante venga coinvolto e incoraggiato dall'amico a cambiar vita, e pur provandoci, non ce la fa a uscire dal gorgo e dalla dimensione di coatto, sbandato e senza speranza cui sembra condannato da un destino ineluttabile: lui una famiglia ce l'avrebbe, ma disastrata, composta da una madre distrutta dalla morte per AIDS della figlia, contagiata da un tossicomane, e della nipotina, malata in modo irrimediabile anch'essa. Con le due donne della sua vita, Cesare è di un'attenzione, tenerezza e premura infinita, e lo è anche nei confronti di Viviana, altra emarginata come lui con cui va a vivere e che nutre progetti per un futuro: Cesare non sarebbe cattivo, ma è l'ambiente che lo circonda e da cui non riesce a intravvedere una via d'uscita a costringerlo a tirare fuori il lato peggiore di sé stesso per sopravvivere in quella giungla putrescente, e per lui finisce inevitabilmente male. Ma una speranza rimane ed è incarnata dal figlio che avrà, a futura memoria, da Viviana e dall'amicizia e dall'affetto dell'amico fraterno, che non verrà mai meno. Una regia sicura, mai manierista, forte, senza timori e che regge un ritmo incessante sottolineato da un perfetto sottofondo sonoro, e che si avvale di una fotografia esemplare: un bellissimo film, intenso e a tratti commovente per quanto sgradevole, soprattutto per chi non vuol vedere e non vuol sapere. Come coloro che non hanno consentito a Claudio Caligari di esprimersi come e quanto sarebbe senz'altro stato in grado di fare: ora non c'è più e il rimpianto è ancora più grande.
Fa rabbia e tristezza pensare che questo film postumo, presentato fuori concorso al Festival di Venezia a nemmeno tre mesi dalla scomparsa di Claudio Caligari, sia soltanto il terzo di una carriera nel lungometraggio iniziata nel 1983 con Amore tossico e intervallata da L'odore della notte, uscito 15 anni dopo: è stato Valerio Mastandrea, il protagonista di quest'ultimo, nonché amico intimo del regista, a produrre "Non essere cattivo" ad altri 17 anni di distanza, visto l'ostracismo del mondo cinematografico nostrano nei confronti di Caligari. Anche in questo film, ambientato lungo il degradato Litorale di Ostia nel 1995, il regista descrive il mondo marginale delle periferie romane, e lo fa raccontando l'amicizia, "tossica" ma non solo, tra Vittorio e Cesare, due coetanei pressoché fratelli che, dopo un'esistenza passata tra piccolo spaccio, traffici vari, nottate adrenaliniche tra scorribande in discoteca e corse in auto, si trovano a fare scelte diverse: Vittorio (Alessandro Borghi, il "Numero Otto" del recente Suburra, ambientato anch'esso negli stessi luoghi ma ai nostri giorni) conosce Linda, una ragazza madre con un figlio dodicenne, e vi trova la famiglia che non ha mai avuto riuscendo, non senza ricadute, a impostare un'esistenza "regolare" mentre Cesare (uno strepitoso Luca Marinelli), nonostante venga coinvolto e incoraggiato dall'amico a cambiar vita, e pur provandoci, non ce la fa a uscire dal gorgo e dalla dimensione di coatto, sbandato e senza speranza cui sembra condannato da un destino ineluttabile: lui una famiglia ce l'avrebbe, ma disastrata, composta da una madre distrutta dalla morte per AIDS della figlia, contagiata da un tossicomane, e della nipotina, malata in modo irrimediabile anch'essa. Con le due donne della sua vita, Cesare è di un'attenzione, tenerezza e premura infinita, e lo è anche nei confronti di Viviana, altra emarginata come lui con cui va a vivere e che nutre progetti per un futuro: Cesare non sarebbe cattivo, ma è l'ambiente che lo circonda e da cui non riesce a intravvedere una via d'uscita a costringerlo a tirare fuori il lato peggiore di sé stesso per sopravvivere in quella giungla putrescente, e per lui finisce inevitabilmente male. Ma una speranza rimane ed è incarnata dal figlio che avrà, a futura memoria, da Viviana e dall'amicizia e dall'affetto dell'amico fraterno, che non verrà mai meno. Una regia sicura, mai manierista, forte, senza timori e che regge un ritmo incessante sottolineato da un perfetto sottofondo sonoro, e che si avvale di una fotografia esemplare: un bellissimo film, intenso e a tratti commovente per quanto sgradevole, soprattutto per chi non vuol vedere e non vuol sapere. Come coloro che non hanno consentito a Claudio Caligari di esprimersi come e quanto sarebbe senz'altro stato in grado di fare: ora non c'è più e il rimpianto è ancora più grande.
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