"Oh Boy, un caffè a Berlino" (Oh boy) di Jan Ole Gerster. Con Tom Schilling, Friederike Kempter, Marc Hosemann, Katharina Schütler, Justus von Dohnanyl, Ulrich Nothen, Michael Gwisdek e altri. Germania 2012 ★★★½
L'aspetto positivo di questo periodo di sospensione tra una stagione cinematografica e l'altra è che si riesce a recuperare qualcuna delle pellicole perse in quella precedente e così, fortunatamente, sono riuscito a intercettare quest'opera prima di Jan Ole Gerster, all'esordio nella regia ma già assistente di Wolfgang Becker in "Goodbye, Lenin" (2003). Insomma uno che di cinema ne ha sempre masticato tanto, cosa che traspare dalle tante piccole citazioni di "Oh Boy", film che si rifà alla Nouvelle Vague nel suo bianco e nero efficacemente atemporale raccontando, in modo ironico e leggero, una "giornata particolare" nella vita del giovane Niko Fischer, che inizia con il risveglio e il desiderio di lasciare alla chetichella la casa della sua ragazza alla ricerca di un caffè: beccato in flagrante, non sa e non vuole rispondere alla domanda se si rivedranno la sera, e sarà il motivo della rottura del loro rapporto. Da quel momento una serie di vicissitudini, segnate da una costante che l'accompagnerà per tutta la giornata: l'impossibilità, per un motivo per l'altro, di bere quell'agognato caffè. La telecamera lo segue lungo le 24 ore: dal rientro nell'appartamento in cui si è trasferito da poco, dove viene perseguitato dal locatore perché in arretrato con l'affitto, all'incontro con un coinquilino "problematico"; allo sportello bancomat che gli nega il prelievo di contante; alla visita da uno psicologo paranoico che gli nega il nulla osta per riavere la patente ritiratagli per aver superato di poco il tasso alcolemico legale; all'appuntamento con Matz, un attore disoccupato e all'incontro con un'ex compagna di scuola, attrice anche lei in un teatro "off", innamoratissima di lui ai tempi della scuola media ma allora presa in giro ferocemente perché obesa; al set di un mediocre film sull'ultima guerra mondiale; all'incontro su un campo da golf col padre che gli ha tagliato i viveri, bloccandogli il bancomat, perché ha scoperto che da due anni ha abbandonato la facoltà di giurisprudenza a cui era iscritto: "Sei come tua madre", lo accusa: ossia una sognatrice, un'artista, da cui si è separato da tempo. E questo è, Niko: troppo sensibile per accettare la grettezza di un mondo senza poesia, dominato non solo dal denaro ma dal dover rivestire per forza di cose un ruolo. La giornata volge al termine e Niko e Matz vanno a vedere lo spettacolo in cui l'ex compagna di scuola è protagonista: nel dopo-spettacolo c'è una sorta di "resa dei conti" tra i due, quindi un alterco con tre giovani balordi che importunano la ragazza ma vengono sistemati a dovere verbalmente da lei: sarà Niko a subirne le conseguenze; infine la serata finisce solitariamente in una kneipe, davanti a una birra accompagnata da grappa, a parlare con un anziano signore rientrato a Berlino dopo 60 anni di assenza, che gli racconta della sua infanzia in quella stessa strada e di come avesse imparato a condurre la bicicletta proprio durante la "Notte dei cristalli" del novembre del 1938, davanti allo stesso bar. All'uscita crollerà sul marciapiede e Niko andrà con lui all'ospedale e lì si risveglierà all'alba del giorno successivo. L'anziano non è sopravvissuto e di lui da un'infermiera gentile saprà solo il nome di battesimo, eccezionalmente, per via della legislazione sulla "privacy", benché il morto non risultasse avere parenti. In compenso riuscirà finalmente a bere un caffè: del resto è un nuovo giorno, l'indomani di giornata di rese dei conti, col presente, il passato ma anche col futuro, perché il dolce Niko non si adatterà, ne siamo certi, allo squallore generale Bravi gli attori, particolarmente credibile il protagonista, Tom Schilling; puntuali ed efficaci i dialoghi, gradevole e azzeccata la colonna sonora. Approvato: alla prossima!
L'aspetto positivo di questo periodo di sospensione tra una stagione cinematografica e l'altra è che si riesce a recuperare qualcuna delle pellicole perse in quella precedente e così, fortunatamente, sono riuscito a intercettare quest'opera prima di Jan Ole Gerster, all'esordio nella regia ma già assistente di Wolfgang Becker in "Goodbye, Lenin" (2003). Insomma uno che di cinema ne ha sempre masticato tanto, cosa che traspare dalle tante piccole citazioni di "Oh Boy", film che si rifà alla Nouvelle Vague nel suo bianco e nero efficacemente atemporale raccontando, in modo ironico e leggero, una "giornata particolare" nella vita del giovane Niko Fischer, che inizia con il risveglio e il desiderio di lasciare alla chetichella la casa della sua ragazza alla ricerca di un caffè: beccato in flagrante, non sa e non vuole rispondere alla domanda se si rivedranno la sera, e sarà il motivo della rottura del loro rapporto. Da quel momento una serie di vicissitudini, segnate da una costante che l'accompagnerà per tutta la giornata: l'impossibilità, per un motivo per l'altro, di bere quell'agognato caffè. La telecamera lo segue lungo le 24 ore: dal rientro nell'appartamento in cui si è trasferito da poco, dove viene perseguitato dal locatore perché in arretrato con l'affitto, all'incontro con un coinquilino "problematico"; allo sportello bancomat che gli nega il prelievo di contante; alla visita da uno psicologo paranoico che gli nega il nulla osta per riavere la patente ritiratagli per aver superato di poco il tasso alcolemico legale; all'appuntamento con Matz, un attore disoccupato e all'incontro con un'ex compagna di scuola, attrice anche lei in un teatro "off", innamoratissima di lui ai tempi della scuola media ma allora presa in giro ferocemente perché obesa; al set di un mediocre film sull'ultima guerra mondiale; all'incontro su un campo da golf col padre che gli ha tagliato i viveri, bloccandogli il bancomat, perché ha scoperto che da due anni ha abbandonato la facoltà di giurisprudenza a cui era iscritto: "Sei come tua madre", lo accusa: ossia una sognatrice, un'artista, da cui si è separato da tempo. E questo è, Niko: troppo sensibile per accettare la grettezza di un mondo senza poesia, dominato non solo dal denaro ma dal dover rivestire per forza di cose un ruolo. La giornata volge al termine e Niko e Matz vanno a vedere lo spettacolo in cui l'ex compagna di scuola è protagonista: nel dopo-spettacolo c'è una sorta di "resa dei conti" tra i due, quindi un alterco con tre giovani balordi che importunano la ragazza ma vengono sistemati a dovere verbalmente da lei: sarà Niko a subirne le conseguenze; infine la serata finisce solitariamente in una kneipe, davanti a una birra accompagnata da grappa, a parlare con un anziano signore rientrato a Berlino dopo 60 anni di assenza, che gli racconta della sua infanzia in quella stessa strada e di come avesse imparato a condurre la bicicletta proprio durante la "Notte dei cristalli" del novembre del 1938, davanti allo stesso bar. All'uscita crollerà sul marciapiede e Niko andrà con lui all'ospedale e lì si risveglierà all'alba del giorno successivo. L'anziano non è sopravvissuto e di lui da un'infermiera gentile saprà solo il nome di battesimo, eccezionalmente, per via della legislazione sulla "privacy", benché il morto non risultasse avere parenti. In compenso riuscirà finalmente a bere un caffè: del resto è un nuovo giorno, l'indomani di giornata di rese dei conti, col presente, il passato ma anche col futuro, perché il dolce Niko non si adatterà, ne siamo certi, allo squallore generale Bravi gli attori, particolarmente credibile il protagonista, Tom Schilling; puntuali ed efficaci i dialoghi, gradevole e azzeccata la colonna sonora. Approvato: alla prossima!
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